Nel mito di Perseo e Medusa, la necessità dell’eroe di costruire un regno dopo il rientro dalla propria avventura sancisce l’aver sviluppato la capacità di gestire gli aspetti difficili che albergano nella propria anima e, attraverso questo processo, essere riusciti a soddisfare in modo efficace i bisogni interiori che la movimentano. L’unicità del protagonista riflette, fin dall’inizio del racconto, quel bisogno di individuazione che rende Perseo altamente attraente agli occhi di una visione contemporanea: un individuo che lotta per far emergere in sé qualità umane più in linea con le complessità che albergano nella propria anima. Questa condizione, nel corso del racconto mitico, è sottolineata dal superamento di prove che, via via, danno risalto alla sua capacità psicologica di adattamento, attraverso ciò che scaturisce dal confronto con lo sconosciuto e l’ignoto. Riempire l’anima d’immagini, e poterle elaborare, è ciò che il lavoro sul mito permette: far rinascere una materia morta, ridarle vita e, nel contempo, consentire quel ponte di collegamento con il vissuto ancestrale e profondo, insito in tutti gli esseri umani, nel quale è necessario abbeverarsi per rilanciare una prospettiva evolutiva dell’esistenza. In un tempo come il nostro, fortemente permeato dall’istante, dominato dall’immediatezza che trasborda in forme ansiose, pare anacronistico rispondere alle domande che il mito ci pone: cosa c’era prima di noi? cosa vuole dirci il racconto mitologico? Sembra difficile trovare in questa proposta dei collegamenti, o delle assonanze, capaci di dare risposte efficaci al disagio contemporaneo. Ma se guardiamo alla storia di Perseo e Medusa, con i suoi simboli che riprendono vita allorché vengono stimolati, ci accorgiamo che tutta la sequenza di avvenimenti dentro il racconto rappresenta una sorta di mappa che permette all’interiorità sia di orientarsi, sia di differenziare il sapere intellettuale dalla sperimentazione creativa, favorendo un nuovo percorso che conduce a se stessi. Perseo, nel suo intraprendere il viaggio verso Medusa, invoglia la ricerca di un senso nuovo per la propria esistenza. Il ritorno a casa, come conclusione del suo percorso, dopo aver incontrato Andromeda, rappresenta la possibilità di esprimere ciò che ha appreso grazie all’esperienza reale della paura, del disagio, dell’insicurezza; un saper dare importanza agli strumenti interiori acquisiti tramite l’esperienza diretta, passaggio necessario per poter decifrare gli accadimenti ai fini della propria trasformazione. La nuova visione di Perseo sta nell’aver sviluppato la capacità di tradurre gli eventi in modo più articolato, attraverso l’ascolto di sé, ed essere, per questo, in grado di frequentare la propria anima. Diceva Friedrich Nietzsche: “[…] circondatevi di uomini che siano come un giardino; o come musica sopra le acque, al momento della sera, quando la musica diventa ricordo: scegliete la buona solitudine, la libera animosa leggera solitudine, che vi dà anche un diritto di restare ancora, in qualche modo, buono.” (Al di là del bene e del male). Perseo ci riporta a un’immagine di individuo atto a ricucire i propri contrasti, a riflettere su pensieri e azioni, a diventare attivo e innovativo, vero centro creativo del processo vitale. Un persona che lotta per dare spazio e significato alla propria fragilità, trattata come aspetto di se stesso, da ascoltare e comprendere, al fine di compiere un’intima e benefica rigenerazione. Agganciare l’anima, e stabilizzarla, comporta poter sviluppare l’attitudine ad accogliere parti di sé che sono state esiliate, e che, spesso, si trovano in questa condizione poiché vengono respinte dalla paura, come, anche, da memorie familiari non elaborate. Attivare queste abilità consente di dirigere i propri bisogni profondi. Rifarsi a ciò che ci ha preceduti, e poterlo far rivivere in una prospettiva nuova, rappresenta un ponte verso il futuro collegato a una visione armonica dell’interiorità, un fluire di forme che si muovono dentro l’individuo, senza fondersi con alcuna di esse. Il regno si costruisce attraversando lo stimolante mondo mitico, popolato di mostri e di tutte quelle creature partorite dall’immaginazione greca, passabile di riletture diverse a seconda del tempo che opera su di esse. Un processo che muove verso possibilità non ancora realizzate, ma in cui ognuno può identificarsi ed essere un nucleo che inizia, e collabora con gli eventi, per riempire di spessore l’esistenza. Il racconto mitico, con l’idea della fondazione di un regno, esprime la raggiunta capacità di farsi guidare dai temi simbolici, atti a stimolare le possibilità creative del Sé lungo il corso della vita. Un viaggio nel tempo, alla ricerca di significati intimi, un modo per innescare un processo di liberazione verso immagini interiori efficaci e idonee a dirigere l’energia psichica verso possibili evoluzioni. Con la creazione del regno si compie il momento finale della parabola dell’eroe, il tempo in cui si celebra la nascita di un Sé nato due volte: in grado di esprimersi in origine, e, oggi, dotato dell’abilità di guidare le energie dell’istinto. Troppo spesso si identificano i processi evolutivi con la capacità di sviluppare un perenne senso di benessere. Il mito, invece, propone di stimolare l’individuo a radicarsi in se stesso, offrendo una ragione precisa al proprio esistere nel mondo. Quanto più si familiarizza con questo stato, maggiore è la capacità di gestire le conseguenze del disagio che subentra in determinate condizioni di vita. Il regno è un luogo interiore in cui l’anima trova la sua collocazione, risultando accorpata, capace com’è di mantenere i propri bisogni nel confronto con la vita. Si ha accesso al regno quando si riesce a dialogare con ciò che sta dentro di sé, scoprendo che, in fondo, ogni paura scaturisce da un’identità priva di parti che hanno bisogno di essere amorevolmente ricondotte a casa: i mostri del mito sono lì a ricordarci questo. Nonostante le grandi evoluzioni che la società ha saputo compiere, esiste una distanza da quello che ci ha preceduti, che sembra voler affermare l’idea che i bisogni dell’interiorità coincidano, interamente, con ciò che si traduce a livello esteriore. La misura dell’eroe, come ci suggerisce Andrea Marcolongo (La misura eroica, Mondadori, 2018), è rappresentata dall’andata e dal ritorno dal proprio viaggio, dove la forza di lasciarsi andare è strettamente connessa all’aver allenato la capacità di poterlo fare. Perseo torna in patria cosciente di una solidità acquisita, che si è sviluppata grazie al confronto con le prove che ha dovuto superare nel viaggio verso Medusa. Prove che lo hanno portato ad accordare l’anima circa i propri contrasti: punire Polidette, che lo aveva deriso, e perdonare il nonno Acrisio che lo aveva abbandonato. Quante storie umane sono intrise di tali passaggi? Perseo rappresenta l’eroe dell’eterno viaggio e dell’eterno ritorno, l’esempio di chi celebra la pacificazione di due mondi, la descrizione dell’immersione nella propria ambivalenza senza perdersi. Perseo e Medusa, entrambi eroi, capaci come sono di apprendere l’uno dall’altro per proseguire un cammino; due abitanti del tempo mitico, riuniti in un unico luogo, quello del regno, come ci ricorda uno dei più importanti studiosi del mito: “È, e sarà per sempre, finché esisterà la razza umana, la vecchia eterna, perenne mitologia, […] poeticamente rinnovata né di memorie dal passato, né di previsioni future, ma di adesso: indirizzata, vale a dire […] a incitare gli individui alla conoscenza di se stessi.” (J. Campbell, Miti per vivere) La storia di Perseo è, anche, la possibilità di attraversare l’anima senza indietreggiare per dare valore all’invisibile – vedere senza essere visti, nascondersi alle consuete definizioni di se stessi – per accedere a una trasformazione. Poter ristabilire l’importanza di un nuovo equilibrio scaturito dal contatto con l’impatto emotivo distruttivo, e celebrare così, nel proprio regno, la gioia di non essersi persi. Un istante ci separa dai secoli che ci hanno preceduti. L’arte, portatrice di testimonianze che avvalorano un perenne rinnovarsi nel tempo, è, anch’essa, una finestra luminosa verso il passato. Un esempio significativo, portato recentemente alla luce presso gli scavi di Pompei, è il dipinto di “Perseo e Andromeda”, presente nella “Casa dei Pittori al Lavoro” (IV sec. d.C.). In questo affresco, Perseo suggerisce ad Andromeda di guardare nello specchio d’acqua, ai loro piedi, l’immagine riflessa di Medusa mentre, con il braccio, solleva verso l’alto la testa del mostro. Un dipinto estremamente innovativo per la sua epoca, dove il messaggio è trasmesso attraverso una connotazione più intimista: l’eroe è colui che si fa portavoce, non tanto della riuscita dell’impresa, quanto di ciò che questa ha saputo infondergli per poterlo condividere con chi gli sta a cuore. Un viatico, pervenuto fino ai nostri giorni, che ci conduce al centro del cerchio della vita, per stimolare la sintonia con noi stessi fissando, in una rappresentazione pittorica, l’universale bisogno di conoscenza e appartenenza, insito negli esseri umani. Letture correlate:
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