Ermete Trismegisto, filosofo venerato in età preclassica come messaggero di Zeus, diceva: “Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dèi”. Questa frase esprime con semplicità il legame profondo tra l’individuo e i simboli interiori custoditi dentro di sé. È un invito a guardarsi dentro, a scoprire che ciò che ci muove, ci plasma e ci orienta ha radici che vanno oltre l’apparenza. Portiamo dentro una sorgente unica e in parte sconosciuta: lo spirito vitale. La sua funzione si esprime attraverso il corpo e si manifesta secondo un codice simbolico, antico e universale. Per orientarsi in questo magma in movimento continuo, serve consapevolezza. Serve una regia. Una direzione interna che non sia controllo rigido ma capacità di armonizzare, ascoltare, integrare. Una regia per la nostra salute e per la nostra evoluzione. Questa orchestrazione non è un ideale astratto, ma una condizione concreta per attraversare l’esistenza in modo più efficace e connesso; è su questo piano che inizia la nostra riflessione. Spesso tendiamo a descrivere il corpo solo nei suoi aspetti funzionali, cercando di capire cosa fa bene e cosa no. Ma non possiamo ignorare che ciò che ci fa bene è anche ciò che ci parla. L’alimentazione, il respiro, il movimento... tutto ciò che nutre il nostro benessere ha il potere di metterci in contatto con la nostra anima. Questo intreccio va accolto con attenzione, va ascoltato e compreso in modo più articolato. Dentro di noi vive un essere spirituale che non coincide con l’identità quotidiana, né con la nostra origine geografica o sociale. È un nucleo profondo che risponde a simboli antichi, presenti in ogni cultura, in ogni epoca. Nel mito di Medusa ne ritroviamo alcuni: i serpenti, la spada, l’acqua, i sotterranei della terra. Sono simboli potenti, immagini primordiali che rappresentano il potere della conoscenza. Un sapere che non si apprende, ma si risveglia. Che non si impone, ma si libera. Il dialogo tra il corpo organico e il corpo simbolico ci invita a muoverci su due piani: da un lato l’umano, cioè la conoscenza dei nostri “ingranaggi” fisici; dall’altro il simbolico, ovvero la capacità di riconoscere nel corpo stesso una morfologia legata all’albero della vita. Una visione che lega le radici del corpo alla crescita dell’anima. Scrive Annick de Souzenelle: “Partendo dai piedi, l’uomo vivente deve crescere, come un albero, e raggiungere la testa dove si moltiplicheranno i suoi frutti. «Crescete e moltiplicatevi». Questo è l’ordine che Adamo riceve dal momento della creazione. Sul piano fisico, i piedi potenzializzano il corpo dell’intero uomo. Per questo l’arte dell’agopuntura, in una delle sue applicazioni al corpo, è praticata a livello dei piedi, le cui emergenze energetiche, punte con esattezza, risuonano sui meridiani corrispondenti a livello della totalità del corpo. In questa ottica, le dita dei piedi corrispondono alla parte cefalica del corpo, il tallone al fondamento.” (Il simbolismo del corpo umano, Paris, 1997) Connettersi al corpo vuol dire anche riconoscerne l’aspetto simbolico. È questo che permette di vivere su più livelli, collegando l’umano al divino. Aprire, come diceva la stessa de Souzenelle, la Porta degli dèi. Accogliere ciò che ci abita e comprendere le ragioni metafisiche che ci attraversano significa dare una direzione alla nostra umanità. In questo percorso, anche i capelli assumono un significato particolare. Considerati in molte culture simbolo di forza divina, diventano nella figura di Medusa il luogo dove la conoscenza si manifesta come ambivalenza: potere e distruzione. Esperienze traumatiche possono riflettersi proprio lì, nella crescita dei capelli, segnalando un indebolimento energetico. Un esempio concreto di come corpo e psiche si influenzino: gli ormoni tiroidei – noti per regolare l’umore – giocano un ruolo anche nella salute dei capelli. Tutto è connesso. Esiste dentro di noi una forza che dialoga con i principi dell’universo, una forza che possiamo onorare imparando a prenderci cura di ciò che siamo. Non solo mentalmente. Anche fisicamente. Alimentazione, esercizio fisico, integrazione, diagnosi personalizzata. Sono strumenti, non risposte assolute. Eppure le persone spesso seguono protocolli rigidi, schemi fissi, senza interrogarsi sui segnali reali del proprio corpo. Questo accade perché manca flessibilità mentale, e senza flessibilità non c’è evoluzione. Un corpo che non evolve, che non si rinnova, riflette la rigidità interiore del suo proprietario. Evolvere significa riconoscere i propri limiti, accettare gli insuccessi, valorizzare i successi. Prendiamo ad esempio la stanchezza cronica: spesso è il risultato di un uso insufficiente del corpo. Il corpo, allora, attiva meccanismi di risparmio energetico. Ma la mente, invece di reagire con movimento, tende a coltivare la pigrizia. È un circolo vizioso. Ci sono anche casi opposti: persone che si allenano, fanno cardio ogni settimana, eppure non ottengono risultati. La risposta non sta solo nell’allenamento, ma in una comprensione più ampia del metabolismo. È qui che entra in gioco l’apparato muscolo-scheletrico, spesso sottovalutato. Il muscolo non è solo struttura, è una vera e propria infrastruttura della salute:
Aumentare la massa muscolare sana cambia non solo il nostro corpo, ma anche il modo in cui il corpo utilizza cibo ed energia. Alleniamo i muscoli e potenziamo i mitocondri, le nostre centrali energetiche cellulari. Alleniamo i muscoli e miglioriamo anche il sistema immunitario, grazie ai peptidi rilasciati durante la contrazione, che riducono infiammazione e malattia. Costruire muscolo è costruire un’armatura. È protezione. È trasformare il corpo in un alleato consapevole della nostra evoluzione. Ma c’è di più. La flessibilità fisica, troppo spesso trascurata, è un altro indicatore fondamentale di salute. Studi recenti – come quello pubblicato sullo Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports – dimostrano una correlazione tra indice di flessibilità (Flexindex) e aspettativa di vita. Il tessuto connettivo fibrillare lasso, che compone legamenti e articolazioni, è alla base della nostra elasticità. Corpi rigidi invecchiano prima. Corpi flessibili si adattano, si rigenerano, si evolvono. Non a caso il movimento, anche leggero ma quotidiano, è una medicina potente. Piccoli gesti possono fare la differenza: 10 squat all’ora, salire le scale 10 volte al giorno, usare una fascia elastica alla scrivania, portare uno zaino con un po’ di peso per qualche minuto. Semplici pratiche che sfidano l’inerzia mentale e riattivano il corpo. Il lavoro della dottoressa Gabrielle Lyons offre un contributo prezioso su questi temi, ponendo l’attenzione sulla forza muscolare come fattore chiave anche nella vita quotidiana, non solo in palestra.. I suoi studi aiutano a comprendere il valore di una vita incarnata, vissuta con consapevolezza anche nelle scelte più piccole. Infine, un elemento spesso ignorato ma determinante per l’asse corpo–mente: la voce interiore. Cosa ci diciamo, come ci parliamo, in che modo strutturiamo il nostro dialogo interno. Come ricorda Hélène Loevenbruck nel suo libro Le mystère des voix intérieures, i discorsi con sé stessi:
Quando la voce interiore diventa struttura, prende il nome di endofasia. Non è più rimuginio, ma pensiero identitario. È il filo che collega la nostra immagine passata a quella presente, e ci aiuta a costruire un senso di continuità. La voce interiore è un linguaggio. Se ben allenata, guida. Se lasciata alla deriva, confonde. Non è ciò che facciamo a renderci stanchi, ma come ci occupiamo – o non ci occupiamo – di noi stessi. La vera trasformazione avviene quando impariamo a riconoscere i legami, anche sottili, tra ciò che sentiamo e ciò che viviamo. Tra corpo e mente. Tra simbolo e funzione. Tra passato e possibilità. La tolleranza al disagio è ciò che trasforma le esperienze in opportunità. Forse, il viaggio non è diventare qualcosa, ma imparare ad essere ciò che è già dentro di noi.
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