Come ci suggerisce il dr. Ascanio Polimeni nel recente podcast “Il New Trend della Medicina Rigenerativa”, parlando degli straordinari effetti della proteina Klotho: “Chi è stressato, obeso, chi mangia e dorme male, chi non pratica attività fisica ha più facilmente livelli depressi di questa proteina (klotho), al contrario di chi ha uno stile di vita migliore.”. Le sue informazioni ci fanno intravedere la straordinaria correlazione tra movimento e sistemi biologici sottostanti. L’ormesi, il meccanismo di controllo dei sistemi biologici, è infatti una delle spie maggiormente rappresentative delle capacità riparative del nostro organismo, a cui una pratica del movimento dà un suo notevole contributo. Le informazioni frutto degli approfondimenti che riflettono le veloci evoluzioni della scienza dell’invecchiamento ci danno sempre maggiore conferma di come un esercizio fisico coordinato da un’attività mentale, in grado di leggere e sostenere il corpo, risulti di fondamentale importanza, perché in grado di smuovere meccanismi complessi che interagiscono tra loro dando come risultato un maggiore o minore grado di deterioramento. Uno degli elementi maggiormente trascurati quando si parla di allenamento risulta essere il richiamo all’esercizio consapevole. Spesso si vedono individui alle prese con attività fisiche noncuranti circa il modo in cui muovono il corpo. Tale abitudine, nel tempo, tende a potenziare le posture acquisite e, in seconda battuta, abitua la mente a tenere lontana una pratica di allenamento che porti il soggetto a modificare il rapporto con il proprio limite. Ci si abitua in definitiva a muoversi in determinate maniere, automatizzando l’esercizio e generando a livello psichico queste modalità:
Questi due aspetti risultano di fondamentale importanza poiché si legano al concetto di lavorare con il corpo per esperire e dunque ampliare la coscienza che si ha di se stessi, integrando nuovi significati in modo che l’esperienza del nuovo venga assimilata. Tale quesito comporta il non rimandare le difficoltà che s’incontrano nei movimenti, allenandosi in modo da cogliere ciò che si pone come ostacolo (rigidità e movimenti ristretti) per poterlo modificare. Nel tempo, tale pratica porta ad un sensibile miglioramento delle posture, dotando il corpo di una maggiore resistenza, e la mente della capacità di orientarsi nel corpo con maggiore facilità. Verso un approfondimento del concetto di movimento Partiamo dal presupposto che il movimento volontario si distingue dai riflessi (involontari e stereotipati) poiché inizia con una rappresentazione mentale cognitiva, perciò cosciente, oppure si sviluppa attraverso un ricordo dettato dalla memoria. Tale rappresentazione consta di tre fasi:
Il movimento così descritto è pertanto la risposta ad uno stimolo, in cui entra in gioco la volontà verso il compimento di un obiettivo, mentre successivamente il medesimo può essere modulato e raffinato attraverso la pratica. La pratica però non garantisce un’azione finale perfetta, perché se l’esecuzione non è corretta si automatizza anche l’errore. Per garantire un gesto tecnico corretto sotto il profilo biomeccanico è consigliabile un ritmo d’esecuzione lento con esercizi di isolamento delle singole parti in modo da avvicinarsi al punto di massimo sforzo. Il termine Time Under Tension (TUT) indica infatti il rallentamento di un gesto in movimenti ad alta sinergia, al fine di aumentare il tempo di contrazione del muscolo. In questo modo si costruisce una forma di memoria procedurale che porta al consolidamento di un compito motorio specifico attraverso la ripetizione, che è alla base dell’apprendimento motorio. Vediamo quali elementi risultano importanti per potenziare la memoria muscolare:
Per distinguere nella pratica i movimenti lenti da quelli veloci è necessario che sia la mente a costruire tale opportunità. Non dimentichiamoci inoltre del fatto che per passare ad una abilità maggiormente articolata e complessa risulta necessario che la mente allenti i pensieri parassiti, imparando a sciogliere quella fissità mentale che si rileva in un corpo poco armonico. Questo passaggio richiede un processo dove la lentezza iniziale dell’esecuzione risulta fondamentale per dirigere la mente nel corpo. Nella narrazione corporea la mente è chiamata ad abitare uno spazio, a creare le condizioni per stare con sé affrontando il problema dello scoordinamento, meccanismo tipico di quando si è abituati a dissolversi in un movimento continuo: la caratterizzazione di uno spostamento all’esterno che cronicizza la fuga dello sguardo da se stessi cercando in questo modo di aggirare i propri limiti e le proprie precarietà. “Abitare felicemente la durata esige che ci si confonda precisamente con la propria storia, accettando il confronto con l’ambivalenza del mondo.” (D. Le Breton, Fuggire da sé, Cortina, 2023 pg. 80) In definitiva dobbiamo divenire capaci di costruire salute all’interno di uno scenario ben definito, in grado di contribuire a creare cambiamenti profondi. Solo questo può permettere ad ognuno di noi benefici duraturi e profondi in linea con ciò che la scienza dell’invecchiamento sta cercando di comunicarci. “Il tempo che passa ti aiuta a capire che la vita procede in disordine e a volte puoi trovarti in mezzo al disordine o puoi produrlo. Se pensi questo ti arrivano le forze per ripulire, per fare il bene che ancora non hai fatto.” (F. Arminio, La cura dello sguardo, Bompiani, 2020 p. 17) Anna Pancallo e Simone Diotallevi Letture correlate:
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