Nel paragrafo precedente abbiamo ragionato sulla difficoltà a sintonizzare il tempo interno con quello esterno e su come, questo aspetto, necessiti di una rimodulazione verso un equilibrio. Ora passeremo ad esplorare il tema dell’ereditarietà e dei bisogni che la animano dentro di noi. Gli argomenti relativi all’ereditarietà s’intrecciano per alcuni versi con ciò che è stato esplorato nel capitolo de “La forza del Pensiero Magico”, dove abbiamo approfondito la funzione del magico intesa come bisogno di ottimismo. L’esperienza dell’umano nella sua interezza apre al mondo magico e ci consegna alla nostra storia in un universo più fluido, meno certo, ma in grado di dare significato a vissuti molto profondi che animano i nostri bisogni. Il magico assolve ad una esigenza di ottimismo di cui l’individuo ha necessità per attraversare l’esperienza e, questo aspetto, ci stimola in modo più o meno imperioso a collegarci con la storia che è alle nostre spalle. Ma il magico, nell’esperienza umana, è anche la capacità di riconoscere che somigliamo a ciò che è stato allontanato dalle storie familiari: una ripetizione inconscia che serve ad avviare un processo di completamento. “L’uomo è antiquato”, il titolo di un noto libro del filosofo tedesco Günther Anders (1902 - 1992), conferma la natura dell’umano che rimane sempre lui con i vissuti, che lo animano, come delle costanti nelle molte mutazioni. Ed è proprio questo che ci porta a spaziare dentro la storia di quelli che ci hanno preceduto, come pure nella nostra. In alcuni momenti, infatti, il senso dell’esperienza ordinaria si sfilaccia, dando spazio a un’altro piano di realtà, la fessura che schiude un mondo molto più ampio si avvicina, e ciò che è distante diviene attinente, ciò che è sconosciuto allenta la morsa dell’anima. “Non adesso, forse, ma prima o poi arriverà una storia in cui capiremo che ognuna delle nostre ossa è impastata con il sudore di tutti, viene dal pallido freddo in cui un miracolo ha bucato il nulla ed è cominciato il mistero in corso, la vita di ognuno ora così tremante e bisognosa di soccorso. Non adesso, forse, ma capiremo che non dobbiamo sprecare il tempo che passiamo assieme, il tempo di un sorriso, di una passeggiata. Guardiamoci, parliamoci con bella, commovente, serietà. Curiamoci.” (F. Arminio, La Cura dello Sguardo, Bompiani, 2020, p. 45) La contiguità con il nostro passato stimola la nostra anima rendendola capace di cogliere ciò che appare lontano o scontato. Penetrare l’orologio del tempo consente dì riappropriarci di una parte del nostro funzionamento e, sopratutto, cessare l’identificazione con i nostri antenati che hanno sofferto. Come una porta che si apre, scorgiamo lo scorrere del tempo che riporta a galla meccanismi sempre presenti e bisognosi di modificazioni, c’è un momento in cui ci si rende conto che rifiutare la propria storia, e, in un certo senso allontanare il destino, richiederebbe pagare un prezzo troppo alto. “Le cicatrici del trauma che abbiamo ereditato assumono una loro forma singolare. Come in un lavoro investigativo, la nostra coscienza segue le tracce che quei fantasmi lasciano nella nostra mente. Questa consapevolezza lentamente getta luce sul modo in cui il passato controlla e influisce su quello che siamo attualmente.” (G. Atlas, L’Ereditá Emotiva, Raffaello Cortina, 2022, p. 263-264) Come sottolineava Jung, “L’intreccio della radici è la madre di ogni cosa” (Simboli della Trasformazione): cosa ci voleva dire con queste parole? Sicuramente che, se riusciremo ad assemblare la nostra storia in maniera adeguata, troveremo il senso del dove siamo e il perché dobbiamo attraversare alcune prove. Riannodare i fili della memoria aggiunge comprensione al presente quando ci appare un pò oscuro e indecifrabile, certo bisogna avere una mente allenata a dare valore al riconoscimento di questi aspetti, per poterne usufruire al meglio. Il materiale emotivo che non è stato elaborato fa capolino nelle nostre vite affamate di futuro, ci obbliga a rallentare per dare un volto a ciò che appare frammentato. Le storie si ripetono richiedendo nuove connessioni, maggiormente in linea con il pensare odierno, nonostante, spesso, i traumi emotivi richiedano un tempo lungo per venire rielaborati. Accettare di riconoscere i “sospesi” è il primo passo. “Più invecchio, più realizzo che aveva ragione mio padre, mi sento sempre meno vero e sempre meno falso. C’è qualcosa lì in mezzo. Ho imparato ad avere fede nelle cose che accadono due volte, che rimangono sospese a metà di un’alternativa. Quando mi sento felice, per esempio la mattina appena sveglio, immagino che dita sottili e invisibili, delicate come dovrebbero essere quelle degli angeli, abbiano sciolto durante la notte i nodi delle contraddizioni e delle decisioni. Forse nei sogni che faccio e dimentico ci sono coppie di eventi che volteggiano nell’anima come colombe innamorate, come note ribattute.” (E. Trevi, La Casa del Mago, Salani, 2023, p. 31-32) La storia di Emanuele Trevi, di cui la citazione, è molto singolare. Al riguardo, suo padre, Mario Trevi, è stato un affermato psicoanalista allievo di Bernhard, che era un allievo di Jung, ed ha guarito anime per oltre cinquant’anni. Scomparso, ad ottantasette anni, i figli decidono di mettere in vendita la sua casa, ma senza riuscire a trovare un compratore. Allora, Emanuele, il figlio, decide di andarci a vivere e la ribattezza la Casa del Mago. Entrando in questa dimora, che ha un certo sapore di mistero, decide di affrontare l’inquietudine che lo attraversa nello stare in contatto con il senso di una vita: segue le tracce disseminate negli oggetti, negli appunti, nei libri preferiti del genitore. Ogni vita è illuminata da un bagliore anche laddove si pensa di sapere già quasi tutto, o laddove questa luce ci appare molto flebile, e si lascia che questa traccia guidi verso una trama densa del significato di una vita. “Ogni momento è un equilibrio imprevedibile di forze contrarie, una configurazione unica del caso nella fuga di specchi della possibilità, un oracolo cinese. È solo lì che, come il più terso dei diamanti in cima alla corona del visibile, splende intatta la realtà - ma basta un nulla, un battito di ciglia, e si è già stufata di aspettarci, è andata a giocare da qualche altra parte.” (E. Trevi, La Casa del Mago, Salani, 2023, p. 244) È come dire che gli opposti si saldano anche dopo generazioni in quanto il congiungere ha una dimensione di tipo temporale: flash di momenti passati, la sensazione di aver già conosciuto un luogo, o di non essere capitati a caso in un determinato contesto, il desiderio di nutrirsi del passato, tutte esperienze che sanciscono il nostro legame con le cose. Gli opposti danno un senso ad una circolarità dell’esperienza, che consente il passaggio da una passività inconscia a uno stato di attività cosciente, in modo che ogni individuo possa stabilire un colloquio con gli individui del passato. La storia, non è che una dialettica, tra rimozione e ritorno di ciò che è stato rimosso, e che attende di venire riconosciuto. “La cultura, come memoria, plasma la memoria inconscia dell’individuo e pertanto gli trasmette un tesoro immenso di stimoli alle sue possibilità creative”. (M. Trevi, Per uno junghismo critico, G. Fioriti, 2000, p. 55) Così scrive Mario Trevi, padre di Emanuele, e da queste parole scorgiamo come ci sia una forte assonanza nel bisogno di memoria che ha animato la sua ricerca come psicoanalista, il quale, muove il bisogno del figlio di perdersi nello stupore di riconoscere ciò che attendeva di venire riconosciuto. Il rinnovamento dell’uomo che cerca di prodursi nella vita di ogni singolo, avviene con l’aiuto di una parte considerevole di organi ereditari. Capire a fondo i limiti di una vita richiede di poter approfondire tale aspetto. Esistono capacità preesistenti che formano le nostre peculiarità, e che, ad esempio, si evidenziano attraverso i sensi, capaci di venire attratti nell’immediatezza da qualcosa che determina i nostri gusti proiettandoci verso esperienze di un tipo o di un’altro. La struttura dei sensi lavora massicciamente alla nostra visione istintiva del mondo e, qualunque essa sia, non vi è dubbio che le forze ereditarie operano come aiuto, verso una ricostruzione che è una componente essenziale della natura umana. “L’inconscio umano ci riporta in continuazione nel luogo originario in cui le cose sono andate male con il desiderio di rifare tutto d’accapo, di riparare il danno e risanare quelli che sono stati danneggiati e feriti. Ci identifichiamo con le generazioni precedenti: con quelli che sono stati offesi, che sono stati umiliati, che sono morti. Nella nostra fantasia, curare loro significa anche curare noi stessi. […] La verità emotiva della nostra mortalità, della nostra intrinseca vulnerabilità e dei limiti umani ci rende umili, consentendoci di analizzare chi siamo veramente, accogliendo future possibilità e crescendo con dignità la generazione successiva.” (G. Atlas, L’Eredita Emotiva, Raffaello Cortina, 2022, pp. 264-265) Tutto questo ci proietta in una dimensione evolutiva come quella odierna, dove è possibile affermare che il trauma è intergenerazionale. Altrettanto vero è che il lavoro psicologico, operando attraverso una sorta di modellamento delle linee di tendenza emotive, modifica i circuiti cerebrali consentendo di liberare sempre una forma di speranza. È a questa speranza di rinnovamento che i greci si rifanno attraverso le storie mitiche e, pur essendo in un passato lontano, basta allungare la mano e sentire come sono vicini a noi, con la loro filosofia di vita che ha plasmato la concezione del mondo, aprendo la nostra visione ad un’evoluzione senza fine. “Ero un bambino di cinque anni dentro un vestitino di velluto blu e camicia bianca a fronzoli. Tenuto per mano da mio padre, entravamo al suo circolo per la pesca di beneficenza a favore dell’Ospedale Civico. Nel salone c’erano scaffali pieni di giocattoli e, guardandoli, la prima cosa che vidi era una locomotiva nera a righe gialle. Pochi minuti e quello splendore era mio.Un trucco di mio padre? Non l’ho mai saputo, ma da allora l’esperienza di trovarmi nelle mani cose desiderate senza aver mosso alcunché per averle è stato un susseguirsi costante; una vita fortunata, ricca di lampi di sole a illuminare i tanti buchi neri che per natura costellano i percorsi dell’esistenza.” (F. Montanari, Un suono che la memoria potrà conservare, All’Insegna del Mare, 2021, p. 255)
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