Quante volte uscendo da una mostra o da un concerto, o alla fine di un libro, dinanzi a un quadro ci si sente in qualche modo appagati, più sereni o talvolta turbati? In effetti è facilmente comprensibile come l’espressione artistica scateni in chi la osserva qualcosa che va oltre l’esperienza diretta, qualcosa di profondo. Potremmo dire che l'esperienza diretta, sia di creazione che di fruizione dell'arte, ha un ruolo che va oltre l'arte stessa, un ruolo che normalmente non vediamo. Per esempio, nel libro "L'arte come terapia" (Guanda), di Alain de Botton e John Armstrong, gli autori cercano in questo senso di dimostrare la natura strumentale dell’arte e individuano quelle che secondo loro sono le sette funzioni per dare un senso metodologico all'utilizzo della stessa come terapia: memoria, speranza, dolore, riequilibrio, conoscenza di sé, crescita e apprezzamento. Botton e Armstrong provano pure a proporre nuovi approcci riguardo a come si dovrebbe fare arte, come si dovrebbe acquistare e vendere, come studiarla e come esporla. Il libro, del quale consigliamo la lettura, sviluppa pure una proposta per come mettere in pratica il metodo, analizzando un campione di situazioni tra le più comuni, di fronte alle quali si manifestano stati emozionali e mentali impegnativi - amore, denaro, natura e politica - e lo fanno aiutandosi con gli esempi di decine di opere di diverse epoche e correnti, dall’arte primitiva a quella contemporanea. Le suggestioni, o teorie, che scaturiscono dalla piacevole e scorrevole lettura del libro, accarezzano un concetto che appartiene in modo intrinseco all'arte anche quando la stessa rappresenta, nelle sue svariate forme, la crudeltà e le parti più "basse" dell'esistente: la bellezza. La bellezza è sempre presente, anche nelle sette presunte funzioni individuate dagli autori, come se l'arte ci spingesse a costruire bellezza su più piani. Allora, è importante comprendere che il nostro senso della bellezza è qualcosa di collegato al nostro modo di funzionare, dentro ognuno di noi si cela un insieme di meccanismi nascosti, connessioni che rendono possibile dare alla nostra vita un volto estremamente personale. Anche se il cervello è un organo che pesa circa un chilo e mezzo, le sue straordinarie capacità rendono possibile la qualità della nostra vita. Come sostiene David Eagleman (La Vita Segreta della Mente): (...) il nostro senso della bellezza è impresso a fondo (e in maniera inaccessibile) nel cervello, all'unico scopo di realizzare qualcosa di biologicamente utile. Accettiamo dunque l'idea che gestire il nostro invecchiamento deve essere anche in funzione di un bisogno di bellezza che rimane rilevante nel nostro funzionamento. Probabilmente il frazionamento dei saperi, tende a limitare molto spesso le corrette informazioni, ma un buon scambio corpo-mente risponde a bisogni profondi e importantissimi ai fini di una qualità di vita, non fosse altro perché gli atti più naturali sono sempre presenti in noi: l'attrazione sessuale, l'empatia, i sentimenti di gelosia, paura ecc... Sappiamo che gli ormoni governano in parte i circuiti che riguardano la bellezza, donne e uomini risultano più attraenti con un tasso ormonale equilibrato che consente parametri più adeguati sia dal punto di vista fisico che da quello psichico. Lavorare dunque nella direzione di un'unità dialogante corpo-mente arricchisce il senso della bellezza nella nostra vita e questa rimane una necessità fondamentale per tutti gli esseri umani. Ecco perché Elizabeth Blackburn, il premio Nobel per la medicina del 2009, punta tutto su quello che chiama effetto Goldilocks, ovvero Riccioli d'Oro. Il nome arriva da una vecchia favola dell'ottocento inglese che narra di una curiosa bambina dai boccoli biondi che si introduce nella casetta di tre orsi e dopo averne provato colazioni (troppo calde o troppo fredde), sedie (troppo grandi o troppo piccole) e letti (troppo duri o troppo morbidi) apprende la lezione: l'importanza del giusto mezzo per una crescita (invecchiamento) adeguati. La morale della fiaba, tradotta nel mondo della ricerca oncologica dalla Blackburn, che evidenzia come le patologie siano frutto di uno squilibrio, si concretizza nell'ambizioso traguardo di riuscire a bilanciare l'attività della telomerasi che non deve essere né eccessiva, né difettosa; l'enzima telomerasi deve mantenere la stabilità dei telomeri affinché le cellule abbiano un funzionamento adeguato. Accrescere il senso di bellezza, per collegarci al nostro argomento centrale, comporta dunque uno stato di salute adeguato ed equilibrato; non conta solo l'età anagrafica, conta sopratutto quella biologica, è a questa che rispondiamo in ogni momento e, va da se, che l'età biologica è determinata dall'equilibrio corpo-mente. Stanchezza facile, poca resistenza, lucidità che si appanna, viso stanco con pelle poco luminosa, sono alcuni dei sintomi più diffusi sui quali riflettere per trovare strade adeguate al fine di contrastare il processo di invecchiamento. Lo stesso dicasi per le nostre emozioni che hanno modo di essere apprezzate o coordinate maggiormente a seconda delle situazioni se esiste un livello di salute più profondo. La fruizione d'arte, il fare arte, l'essere artisti della propria vita ha lo scopo di costruire bellezza su più piani. Letture correlate:
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