Noi uomini nuovi, senza nome, difficilmente comprensibili, noi figli precoci di un avvenire ancora non verificato, abbiamo anche bisogno di un nuovo mezzo per un nuovo scopo, cioè di una nuova salute, una salute più vigorosa, più scaltrita, più tenace, più temeraria, più gaia di quanto non sia stata fino a oggi ogni salute; [...] una salute che non soltanto si possiede, ma che di continuo si conquista e si deve conquistare, poiché sempre di nuovo si sacrifica e si deve sacrificare. Nietzsche mostra la necessaria rivalutazione a monte del concetto di guarigione. Spesso ci si inoltra nel bosco dello spirito perché spinti da un grande dolore: la morte di una persona cara, la malattia, una separazione. Non trovando riposte e soluzioni altrove si cercano appigli nel trascendente, nel metafisico, nel favoloso mondo interiore. Si studiano e si approfondiscono tecniche interessanti e trasformative, presi dal guarire e dall'ansia di recuperare la salute. Anche qui, che il fine del lavoro su di se sia la guarigione è un concetto recente, proprio della società occidentale, del tutto assente nella filosofia orientale e nella tradizione esoterica. Se, cioè, è piuttosto diffusa l'idea che la malattia sia il modo attraverso cui il corpo richiede attenzione, finisce spesso in secondo piano il fatto che lo scopo della malattia non consiste nel restaurare uno stato di salute precedente, in accordo con la radice germanica var-, "coprire", "proteggere", da cui proviene il terrine guarire.
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