La storia-simbolo di MEDUSA è rilevante per il riconoscimento di ciò che neghiamo di noi stessi, ma soprattutto per il potere trasformativo che tale aspetto presenta dentro ogni vita.
Oggi, tuttavia, non ci soffermeremo su questioni psicologiche o su possibili strumenti analitici e terapeutici che questo mito ci offre. Semplicemente vi riproponiamo un testo, da noi riassunto, in modo che tutti, amici o lettori, siano a conoscenza di questo importante "racconto" simbolico. Le versioni del mito sono diverse, l'importante è che la nostra sintesi vi possa incuriosire e dare uno stimolo alla ricerca. Cominciamo quindi con la lettura del mito per inoltrarci, nelle prossime pubblicazioni, nelle profondità della potenza trasformatrice di MEDUSA. Buona lettura! Re Acrisio regnava ad Argo. Non riuscendo ad avere un erede maschio, preoccupato per la sorte del suo regno, decise di recarsi a Delfi per consultare l'oracolo nella speranza di trovare una soluzione. L'oracolo, sfortunatamente, non predisse solamente che il re non avrebbe mai avuto figli maschi, ma anche che un giorno sarebbe morto per mano di suo nipote, il futuro figlio di sua figlia Danae. Il re tornò terrorizzato ad Argo dove diede ordine di far rinchiudere subito la figlia e la nutrice. Le due donne furono sepolte nell’oscurità, in una stanza sotterranea appositamente costruita. Zeus, che dall’alto dell’Olimpo seguiva le vicende dei mortali, impietosito dalla sorte toccata alla giovane fanciulla, ma soprattuto innamoratosi della stessa per la sua bellezza, entrò nella cella sotto forma di pioggia, in gocce d’oro, e le diede un figlio: Perseo. Il bambino fu allevato segretamente con la complicità della nutrice. Cresciuto, Perseo, giocava con gioia e, sfortunatamente, attrasse l’attenzione di Acrisio un giorno che lo stesso passava nei pressi della stanza sotterranea. Scoperto l’inganno il re fece uccidere la nutrice e obbligò la figlia a confessare di chi fosse il bimbo. Quando Danae disse che il padre era Zeus non fu creduta e Acrisio, crudelmente, la fece rinchiudere con il figlio in un'arca di legno che venne gettata in mare alla deriva. La sorte di Danae e del figlio Perseo sarebbe stata la morte se Zeus non avesse sospinto la cassa verso le rive dell’isola di Serifo, nelle Cicladi, dove il pescatore Ditti la trasse a riva con una rete. Aperta l’arca Ditti scoprì che la donna ed il bambino erano ancora vivi. Danae raccontò la sua vicenda al pescatore che le credette e le diede dimora nella sua umile casa. In un secondo momento il povero pescatore rivelò al fratello Polidette, re dell’isola, la loro presenza e provenienza. Passarono gli anni e Perseo crebbe circondato dall’amore della madre. Re Polidette, invece, si invaghì della bella Danae, come s'invaghiva di tutte le donne, e cercava in ogni modo di possederla ma lei resisteva e rifiutava caparbiamente. Perseo la difendeva con forza, ormai si era fatto fiero e robusto e disse che sua madre avrebbe sposato solo chi avesse voluto. In occasione del matrimonio di Polidette con Ippodamia, il re chiese ad ognuno degli invitati, tra i quali Perseo, di fargli come dono nuziale un cavallo. Polidette era conscio che Perseo non avrebbe mai potuto fargli un simile regalo, sperava che ne avrebbe provato vergogna e che il giovane avrebbe lasciato l'isola lasciandogli via libera per la conquista di Danae. Ma Perseo, forte e imprudente, sfidò il re dicendo che gli avrebbe procurato la testa di Medusa, la bella trasformata in mostro dalla dea Atena, l'unica mortale tra le Gorgoni. Polidette ne approfitto e accetto la sfida certo del fallimento del giovane; nessun mortale era riuscito in una simile impresa, era risaputo che chi incrociava lo sguardo di Medusa, come delle altre Gorgoni, rimaneva pietrificato. Inoltre, senza la presenza di Perseo, Danae si sarebbe trovata indifesa e avrebbe ceduto ai suoi desideri. L’avventura che Perseo s’accingeva ad affrontare era impossibile e non sarebbe riuscito a superarla con la sola forza della spada acuminata se Atena, Ermes e Ade non fossero accorsi in suo aiuto esaltati dal carattere coraggioso del ragazzo. La prima gli diede uno scudo lucente e ben levigato dal quale osservare la Gorgone ed evitare così di essere pietrificato dallo sguardo diretto; il secondo gli diede dei calzari alati per volare veloce; il terzo offrì il suo elmo, che rende invisibili, e una sacca magica nella quale deporre la testa di Medusa. Perseo non conosceva dove si trovassero le tre sorelle Gorgoni e nemmeno Ermes e Atena erano a conoscenza di dove dimorassero i tre terribili mostri. Gli dei suggerirono al giovane di recarsi presso le tre Graie, le più anziane divinità insieme con le Moire, che certamente gli avrebbero indicato il cammino. Le Graie erano tre vecchie sorelle dall'aspetto repellente. Avevano il corpo di cigno e possedevano insieme un solo dente ed un unico occhio che si scambiavano vicendevolmente per mangiare e vedere. Perseo, che oltre ad essere forte era intelligente e molto astuto, le raggiunse presso la loro dimora e si nascose. Indossò l'elmo di Ade, si avvicinò invisibile, attese che una di loro si togliesse l’occhio dalla fronte per passarlo a una sorella e in quel momento glielo rubò. Le Graie disperate, senza più poter vedere, supplicavano il giovane che si rifiutava di restituire l’occhio se prima non gli avessero indicato come raggiungere Medusa. Terrorizzate dall’idea di restare cieche le sorelle gli indicarono come trovare la dimora dei mostri. Perseo volò veloce con i sandali alati donati da Ermes e raggiunse la caverna nella quale si nascondeva la Gorgone Medusa. Equipaggiato della spada, della sacca, dell'elmo che rende invisibili e dello scudo, Perseo entrò nella caverna dove dormivano Steno, Euriale e Medusa. Il luogo era desolato, pieno di animali e uomini pietrificati. I capelli del mostro erano serpenti sibilanti e rumorosi. Perseo s’avvicinò camminando lentamente all’indietro, guardando l’immagine di Medusa riflessa nell’interno dello scudo lucente come uno specchio, così da non essere pietrificato da uno sguardo improvviso. Non appena le fu vicino, vibrò un colpo mortale e tagliò di netto la testa della Gorgone che mise immediatamente nella sacca, facendo molta attenzione di non guardarla, poiché i poteri di quella testa rimanevano tali anche se mozzata. Dalla ferita del mostro uscirono il cavallo alato Pegaso e il gigante Crisaore, i figli che la Gorgone aspettava da Poseidone. Perseo inforcò Pegaso, che divenne da quel momento suo fedele compagno, e fuggi dalle due Gorgoni che nel frattempo si erano svegliate. Le sorelle di Medusa cercarono d’inseguirlo ma grazie all'elmo di Ade, che lo rendeva invisibile, e al magico e velocissimo Pegaso, il giovane riuscì a sfuggire da quell’isola tetra e nefasta. Facendo ritorno, l'eroe, volò sopra le terre degli Etiopi dove vide una bellissima giovane incatenata ad uno scoglio. La fanciulla era Andromeda figlia del re d'Etiopia, Cefeo, e della sua sposa Cassiopea. La bella Andromeda stava scontando una colpa commessa dalla madre. Cassiopea si era dichiarata più bella delle Ninfe del mare che, offese, avevano chiesto vendetta e aiuto al loro protettore Poseidone. Il mostro marino inviato dal dio dei mari e dei terremoti distruggeva tutto ciò che incontrava. Per placare l’ira delle dee l’oracolo di Ammone ordinò che Cassiopea offrisse sua figlia Andromeda all’orribile creatura marina. Perseo il temerario, folgorato dalla bellezza di Andromeda, si offrì di uccidere il mostro, per mutare il destino della fanciulla, in cambio della sua mano. In groppa al velocissimo Pegaso, si calò come un ombra cercando di ammazzare la terribile bestia con la sua spada affilata ma, quando stava per soccombere, si ricordò della testa di Medusa, aperta la sacca, prese la testa, la rivolse verso il mostro che si pietrificò all’istante. Mentre Perseo liberava Andromeda il sangue di Medusa, che fuoriusciva dalla sacca, a contatto dell’acqua marina si trasformò in corallo. Nel luogo della lotta Perseo eresse tre altari dedicati a Ermes, ad Athena e a Zeus e poi ebbe subito luogo il suo matrimonio con Andromeda in un clima di grande festa. Purtroppo le disavventure non erano finite. All’improvviso fece ingresso nella sala del banchetto Fineo, accompagnato da una moltitudine di alleati. Fratello del re, Fineo, era il promesso sposo d'Andromeda e reclamava la giovane pur avendone perso il diritto avendola lasciata nelle grinfie del mostro. Si scatenò una cruenta lotta e Perseo, ancora una volta, mostrò la testa di Medusa che pietrifico i suoi nemici uno dopo l'altro. Stanchi e sconfortati, Perseo e Andromeda, decisero di lasciare la terra degli Etiopi per ritornare a Serifo. Il matrimonio al quale re Polidette costrinse nell'assenza di Perseo sua madre Danae stava avendo luogo, quando il giovane si presentò. Polidette non credeva che Perseo avesse mantenuto la promessa di tornare con la testa di Medusa e disse al popolo, riunito per l'occasione, che era stato ingannato dal giovane e ordinò alle sue guardie di arrestarlo. Davanti al popolo che appoggiava il re e alle spade alzate delle guardie reali il giovane mostrò la prova e tutti rimasero pietrificati. Perseo donò la testa della Gorgone alla dea Atena che la mise sul suo petto apposta sull'egida. Restituì i calzari alati, il copricapo di Ade e la sacca. Con Andromeda fece ritorno alla terra natale, Argo, dove ormai non regnava più Acrisio che se n'era scappato in un altra isola temendo di essere ucciso dal nipote che, invece, lo raggiunse per riconciliarsi. Acrisio e Perseo stavano finalmente per ritornare ad Argo, ma il vecchio re volle assistere alla festa della pace durante la quale i giovani locali giocavano a lanciare il disco. Perseo partecipò alla competizione, prese il disco, e lo scagliò lontano con tutta la sua forza e abilità ma, tragicamente, l'oggetto cadde tra la folla e colpì il piede di un vecchio. Sfortunatamente si trattava di Acrisio suo nonno, che morì. Si era compiuta così la premonizione dell'oracolo di Delfi. Letture correlate:
1 Commento
Paolo Iori
27/5/2019 22:03:58
E' dovuto passare tempo perchè comprendessi come le risposte alle domande che mi venivano poste dovessero avere un senso prima di tutto per me, piuttosto che essere giuste in sè o per altri.
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