La speranza è il tentativo di riformulare esperienze fondamentali con altre valutazioni. Porsi davanti alla realtà e lottare per trasformarla, prendendo coscienza come sottolinea sempre Aldo Carotenuto: Non è dunque la natura che noi dobbiamo combattere, ma il mondo della cultura con le sue regole, che non ci vengono date biologicamente, ma che dobbiamo imparare man mano nel nostro ambito. Lottare per affermare ciò che si sente come importante per il proprio miglioramento, per dare una forma chiara a ciò che arde dentro il nostro spirito indomito. Sperare di modificare la propria vita passa attraverso le emozioni, veri pilastri del cambiamento, esse supportano qualunque rinascita consentendo il distacco da realtà ormai pietrificate in uno schema fisso e dolente. Seguire il proprio bisogno consente di scoprirsi interiormente per volgere lo sguardo altrove, lì dove prima non era. Gli occhi dell'anima sanno guardare ben oltre l'aspetto superficiale dell'apparenza, e consentono all'individuo di superare le difficoltà dell'esistenza con un insostituibile arricchimento interiore. Infine, tornare ad una solitudine che silenziosamente ci accompagna è il vero grande motore di ogni trasformazione. La solitudine porta a scoperte conoscitive, consente sopratutto di imbastire nuovamente ciò che abbiamo dentro, per tornare a provare desideri verso l'esterno in virtù di un'evocazione che si cristallizza in immagini chiare. Questa potenza creativa è tale da espandersi e desiderare il contatto. Vivere la solitudine e conoscersi sembrano pertanto essere due processi che si snodano lungo la medesima traiettoria, perché l'uno necessita dell'altro per potersi realizzare; prendere contatto con le personali emozioni, e saperle così far proprie e manifestarle, rappresenta una elevata conquista evolutiva per l'individuo, conquista che solo l'instaurarsi di un profondo dialogo può concedere. La solitudine come momento per riappropriarsi della capacità di soffermarsi sulle cose e poter dare loro il giusto valore dentro si se. La solitudine come momento in cui diventiamo unici per il nostro sguardo; occhi che penetrano dentro come potenza rigenerativa di un anima pronta a danzare leggera. La solitudine dell'ascolto come possibilità straordinaria di ridefinire il senso e il peso ricostruttivo di quello sguardo. Mi ricompongo qui o anche altrove poco importa - se non sono morta - ritrovo la mia testa i frutti suoi perduti e scomparsa la mia rigida parvenza di nuovo abitano in me i succhi, il mio vigore di nuovo nelle ossa s'infonde il calore. Ancora una parte della mia mente si rammenta dell'opera tenebrosa che sono stata degli steli segreti di un'ultima realtà linea vacua inghiottita dal più spento deserto da rovine che non respirano più non hanno ricordi fino al limite della sete senza cuore senza voce. Cerca i suoi occhi ritrova il suo sguardo Oh di nuovo potere vedere. Occhi negli occhi di nuovo guardare e ah sì esser guardata. Svagata di un tranello racconta della visita di un dio dunque ancora ricordo, io ma adesso vuole dimenticare. Voglia meravigliosa di diventare oblio. Acqua paradiso bianca come un angelo che erra sulla terra nell'anarchia dei sogni strascico nuvoloso in cerca delle tracce fatte di bene di male d'occipitale oblio una volta altera di gioie inerti oblio e di nuovo sanguina la vita i suoi alveoli commossi ritornano. Lei ritrova gli strati della pelle. Il suo viso è una nube e senza fatica sulla sua notte criminale un silenzio immutabile s'allunga senza rabbia senza sabbia un silenzio senza più storia agitato da un tiepido vento di non-memoria. (da Medusa Suite di Sheila Concari) Letture correlate: Comments are closed.
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