Viviamo in un tempo che celebra l’estroversione, la disinvoltura:
Un primato negativo della rappresentazione dovuto ad una mancanza totale di frequentazione della propria interiorità, che porta a fuggire da se stessi come dal proprio peggior nemico. E di mancanza di interiorità si muore.
L'abitudine a sfuggire alla noia, al disagio connesso al pensare, allontana da se stessi. Bisogna creare le condizioni giuste per poter pensare a ciò che si sente, per dare corso a quella visione creativa che lo stare con se stimola.
Riempiamo i nostri figli di impegni, quasi che il loro annoiarsi fosse l'altra faccia di un essere cattivi genitori, sconfitti agli occhi del mondo, dei perdenti.
Il prezzo che si paga per questo è tutt'altro che banale; una Mente impoverita dalle sue reali possibilità. Se accettiamo il presupposto che si è in grado di trovare soluzioni a seconda della padronanza della propria complessità, dobbiamo poi riconoscere che l'alfabeto interiore è semplificato, ci sono minori possibilità di trovare delle soluzioni. La disinvoltura, come tutto il resto degli atteggiamenti umani, non può essere un dato stabile nel proprio comportamento, siamo figli di un sentire in continuo movimento e non è possibile azzerare tale modalità. Si parte per il Viaggio quando si riconosce che l'interiorità e la sua cura non sono una malattia, fanno parte di una parabola esistenziale, di quell'allenamento che forma ad una abilità importante al fine di attraversare la vita. Siamo viaggiatori nostro malgrado, e bisogna riempire il bagaglio del necessario, per andare oltre, rispetto al punto di partenza. Guarire dai traumi infantili è un percorso obbligato per sviluppare altri aspetti della nostra interiorità, la possibilità di curare ognuno la propria ferita di base porta ad una trasformazione della nostra infermità infantile divenuta così segno individuante e che caratterizza il nostro agire nel mondo piuttosto che ostacolarlo. Infatti, diventiamo persone quando il dolore del passato illumina le nostre caratteristiche personali donando loro particolari sfumature che ci contraddistinguono e ci definiscono. La Mia vita era stata - Un Fucile Carico
La vita come un fucile carico, pronto a far erompere la propria energia non appena qualcuno, o qualcosa, la risveglia dagli angoli in cui è poggiata, inerte. Da quel momento segue il suo padrone nel vagabondaggio in mezzo alla natura. Il fucile diventa la voce di chi lo porta con sé; spara nella caccia alla cerva, facendo risuonare l'eco delle montagne con una splendente e vigorosa luce che somiglia all'eruzione di un vulcano che lasci libera la sua gioia di erompere.
Il bisogno di recuperare un proprio nucleo interiore, quel centro di calore ed energia che alimenta le nostre vite è uno dei punti di partenza. Esso è legato al riconoscimento di uno degli aspetti più insidiosi da attraversare: la dipendenza. Tutto il vivere umano è legato alle dipendenze, ne è quasi intessuto, in quel continuo crearle, dal momento della nascita fino alla morte. Non si può vivere senza essere dipendenti.La nostra forza psicologica consiste, però, nel crescere interiormente in modo che queste dipendenze si riducano sempre di più.
La Dipendenza non riguarda solo la sfera affettiva ma tutte le sfere della nostra vita, anche avere un lavoro è in certo senso essere dipendenti. Dobbiamo vivere le Dipendenze per creare quel senso di appartenenza che ci permette di esistere. La sfida sta nel riuscire a convivere con la Dipendenza senza divenire troppo deboli e condizionati.
Come si riconosce il limite giusto rispetto a questo? Cosa fa dire che siamo troppo condizionati? Sicuramente l'anelare ad uno stato di grazia infantile che faceva si che fossimo protetti e dipendenti dall’altro, uno stato che riguarda tutti. Ad un certo punto della nostra esistenza si ha voglia di ignoto perché le spinte al cambiamento dentro noi divengono molto forti e non possono più essere ignorate. Quando il senso di estraneità tra le nostre esigenze e ciò che siamo giorno per giorno affiora imperioso, lì inizia il viaggio! Perseo rifiuta il peso del vissuto altrui che gli impediva di decidere di cosa era fatto e dove stavano i suoi bisogni. Decide di partire per sfuggire all'immobilismo degli altri che nel tempo sarebbe potuto divenire anche suo. Vuole sfuggire ad un destino tracciato che non permette lo sviluppo di alcuni suoi bisogni. Desidera mettere alla prova la sua forza per gestire la paura dell'ignoto e del mostro. Molto spesso non abbiamo la reale possibilità di scegliere se partire o meno come illusoriamente pensiamo, la malattia infatti, in molti casi non è che la perdita della capacità di elaborare il nostro inconscio trovando soluzioni nuove. Rendersi conto, ad esempio, che il partner, che non riusciamo a lasciare, rimanda a un aspetto importante di noi stessi, al nostro rapporto con la figura genitoriale teneramente amata nella nostra infanzia, sebbene vissuta come distante, rifiutante, significa poter spezzare una coazione a ripetere, e riappropriarci della nostra vita, essere in grado di effettuare nuove scelte affettive, più adulte e gratificanti.
Si tratta di reinterpretare la propria storia, ciò che sta dentro di noi: vissuti, sentimenti, immagini, tutto ciò che attende di essere letto per poter avere una spinta propulsiva. Un passato da reinterpretare, un presente da condurre per altre vie, un futuro immaginato che deve riuscire ad incrinare il presente per essere propulsivo.
Perseo decide di partire e basta, segue il bisogno, poi dopo aver percorso poca strada inizia a trovare gli strumenti magici, trova cioè la possibilità di compiere il cammino nella giusta condizione interiore. Nel momento in cui capiamo profondamente di dover andare verso qualcosa ci mettiamo nella condizione reale di poter compiere il Viaggio. Inizia così la separazione da qualcosa, che altro non è che un problema di percezione interna non di distanza reale, significa riconoscere i confini che ci limitano dall'altro con accettazione e senza troppo disagio. Ci separiamo per non morire, per compiere una rinascita necessaria alla nostra stessa sopravvivenza. Tutto questo equivale a dare un significato profondo, in un tempo ed in un luogo, a ciò verso cui devo rispondere, che non esclude necessariamente l'altro ma spinge verso il bisogno di sentirsi soli ed unici al fine di caratterizzare la propria esistenza.
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