Siamo stati abituati a ritenere che all'uomo, in quanto essere dotato di razionalità, sia sufficiente tenere a freno l'istinto e l'emotività per essere in grado di valutare in modo obiettivo le situazioni che deve affrontare e di scegliere, tra varie alternative, quella per sé più vantaggiosa. Gli studi sul processo decisionale condotti ormai da molti anni dal premio Nobel Daniel Kahneman hanno mostrato quanto illusoria sia questa convinzione e come, in realtà, siamo sempre esposti a condizionamenti - magari da parte del nostro stesso modo di pensare - che possono insidiare la capacità di giudicare e di agire lucidamente. (1) Per tale motivo risulta piuttosto importante valutare alcuni aspetti:
Illustrando i risultati della sua ricerca, Kahneman ci guida in un'affascinante esplorazione della mente umana e ci spiega come essa sia caratterizzata da due processi di pensiero ben distinti: uno veloce e intuitivo (sistema 1), e uno più lento ma anche più logico e riflessivo (sistema 2). Se il primo presiede all'attività cognitiva automatica e involontaria, il secondo entra in azione quando dobbiamo svolgere compiti che richiedono concentrazione e autocontrollo. (1) Noi c'illudiamo spesso di farci guidare dal Sistema 2, di prendere le decisioni dopo un'attenta riflessione, mentre in realtà è il Sistema 1 a controllare la nostra vita per la maggior parte del tempo. Anche perché il Pensiero Lento è "pigro", si affatica presto. Lui stesso, il Sistema 2, adora abbandonarsi al suo fratello veloce, i cui automatismi gli risparmiano un bel po' di energie. Il premio Nobel evita nel libro l'uso di termini negativi come "irrazionalità", riconosce anche al Pensiero Veloce delle qualità e dei meriti. "Il vero eroe di questo libro è lui", sostiene Kahneman. Se è indiscutibile che il Sistema 1 è all'origine della maggior parte dei nostri errori, è anche vero che produce tante "intuizioni esperte" per prendere decisioni importanti in poche frazioni di secondo.
Quando fidarsi dunque della propria intuizione? Kahneman propone di valutare due aspetti:
La competenza non è una singola abilità: è un insieme di abilità, e lo stesso professionista può essere altamente esperto in alcuni compiti del suo campo pur rimanendo un novellino negli altri. Pensiamo come sia facile commettere errori di valutazione proprio perché forti delle proprie competenze in un determinato campo dove si è riusciti ad eccellere. Quasi che la mente sia abituata a riportare lo stesso tipo di schema applicativo in tutti gli aspetti della propria vita. Kahneman mette in guardia da tali errori sottolineando l'importanza dello sviluppo della propria conoscenza all'interno dei limiti posti dal nostro modo di funzionare. Sottolinea come i limiti non riconosciuti di una competenza professionale possano portare a sicurezze piuttosto lacunose in altri campi e persino nel proprio. Questo testo anche se piuttosto complesso nella lettura è in grado di fornire alcuni stimoli per riflessioni profonde sul funzionamento umano. Pensiamo come sia diffuso oggi un linguaggio psicologico nel sociale che porta ad una illusione di competenza non confermata dai dati sul disagio contemporaneo. Inoltre, il riconoscimento di una incongruenza incorporata nella struttura della nostra mente ci dice qualcosa di fondamentale circa la percezione degli eventi, ci porta a comprendere come i vissuti personali risultino essere fortemente spostati sul senso di insoddisfazione e sulla difficoltà a riconoscere le proprie ambivalenze. Il riconoscimento della propria imperfezione nel modo di funzionare, può contenere una difesa ad oltranza ed una integrità di posizioni e modalità che non trova riscontro negli accadimenti personali, e prendere confidenza di tali modalità non rappresenta una lesa maestà nei confronti del nostro orgoglio ma l'indice di una complessità imperfetta, per così dire. (2) L'errore che le persone commettono nell'illusione di focalizzazione consiste nell'attenzione per momenti selezionati e nella disattenzione per quello che accade in altri momenti. La mente è abile a costruire storie, ma non pare essere concepita per gestire il tempo. Negli ultimi dieci anni abbiamo appreso molti fatti nuovi in merito alla felicità, ma abbiamo anche imparato che la parola felicità non ha un significato semplice e non dovrebbe essere usata come se lo avesse. A volte il progresso scientifico ci lascia più perplessi di quanto non fossimo prima. Siamo pronti dunque a spostare lo sguardo? A muoverci verso un'idea di felicità che accolga l'incongruenza ed il limite piuttosto che voler essere rassicurati rispetto a ciò? Una conoscenza di noi che guarda la parte debole al fine di sostenerla, una prospettiva affascinante in una società competitiva che sembra allontanare da tali concetti, e nel contempo chiamata a fare i conti continuamente con l'imperfezione di ciò che produce. È a questo che poi ogni essere umano è chiamato a rispondere nel quotidiano e potersi sorreggere, grazie ad un linguaggio più articolato di se stessi, rassicura. La bella notizia è: non moriremo solo performati o performanti, c'è spazio per la vita! (2) Biografia Daniel Kahneman (Tel Aviv, 5 marzo 1934) è uno psicologo israeliano, vincitore, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per l'economia nel 2002 "per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza". Le ricerche di Daniel Kahneman permisero di applicare la ricerca scientifica nell'ambito della psicologia cognitiva alla comprensione delle decisioni economiche. Collaborò per anni assieme con Amos Tversky, dimostrando tramite brillanti esperimenti che i processi decisionali umani violavano sistematicamente alcuni principi di razionalità, mentre le teorie microeconomiche assumono che il comportamento degli agenti decisionali siano razionali e finalizzati ad una massimizzazione dell'utilità. Professore all'Università di Princeton, è uno dei fondatori della finanza comportamentale. Nella comunità scientifica è noto per essere il secondo psicologo (il primo è stato Herbert Simon nel 1978) ad aver ottenuto il Premio Nobel in economia. (4) Letture correlate:
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