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Le storie controverse e imprevedibili della scienza saranno ciò che ci confonde nel capire il mondo?

28/10/2021

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“Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, del giovane autore Benjamin Labatut, è un testo ricco di aromi e colori, di atomi e scoperte scientifiche.
Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Benjamin Labatut, Adelphy, Blu di Prussia, Studio Pancallo, psicologia, psicoterapia, libro
Foto di Daniel Hannah da Pixabay
Come l'odore di mandorla dolce che emette il cianuro, quel veleno che gli alti capi del Reich “gustarono” quando stavano per essere soggiogati dalla sconfitta.
Oppure quella “fragranza” che si usava ad Auschwitz nelle camere a gas, che ha il suo antecedente nel blu di Prussia, che fu il primo pigmento sintetico moderno - certamente più economico del blu prodotto con la macinazione degli lapislazzuli - che si diffuse fino a ricoprire le uniformi della fanteria dell’esercito prussiano, e ad apparire in famosi dipinti come “La notte stellata” di Van Gogh o “La grande onda di Kanagawa” di Hokusai. 

Il creatore del “colore del cielo”, Johann Jacob Diesbach, non sapeva che la sua ricerca chimica per produrre una nuova tinta sarebbe stata utilizzata per arrivare a produrre il cianuro e a seguire, grazie all'ebreo tedesco Fritz Haber, per fabbricare il pesticida Zyklon (ciclone), usato poi dai nazisti “per assassinare sua sorellastra, suo cognato, i suoi nipoti, e così tanti altri ebrei che morirono accovacciati, con i muscoli rigidi e la pelle coperta di macchie rosse e verdi” (nel libro).

Haber capì che il mondo non sarebbe più stato lo stesso, perché con l'estrazione dell'azoto dall'aria si aveva alterato l'equilibrio della natura. Per colui che fu noto come “il padre della guerra chimica”, il mondo futuro sarebbe stato popolato da piante, non da esseri umani, e la terribile vegetazione avrebbe distrutto tutte le forme di vita.

Come la produzione di un vaccino contro una malattia dilagante, l’azoto di Haber cambiò le sorti dell’umanità. Egli, realmente, non stava ricercando un prodotto per l’agricoltura, le sue ricerche si svolgevano in ambito militare poiché doveva fabbricare esplosivi e polvere da sparo per la guerra. 

Con lo stesso metodo innovativo utilizzato per ottenere azoto dall’aria lo scienziato costruì la prima arma di sterminio di massa, un gas nocivo utilizzato per la prima volta nel 1915 ad Ypres. Arma chimica le cui modifiche, nel 1917, avrebbero portato al “gas mostarda” e, alcuni decenni successivi, ai primi farmaci antitumorali e alle basi della chemioterapia..
Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Benjamin Labatut, Adelphy, Blu di Prussia, Studio Pancallo, psicologia, psicoterapia, libro
Passando ad un’altra storia, nella sequenza del libro, ci viene raccontato come nel 1915 Albert Einstein ricevette una lettera dal più giovane professore di Germania, l’astronomo, fisico, matematico e tenente dell’esercito tedesco Karl Schwarzschild. 

Nella lettera Schwarzschild risolveva per la prima volta le equazioni della teoria della relatività generale dimostrando che la massa di una stella deforma lo spazio e il tempo circostanti. Eppure, quelle soluzioni mettevano in luce qualcosa di strano: una massa troppo grande concentrata in un’area piccola non deformava lo spazio e il tempo, li lacerava. Un fenomeno che venne conosciuto come “La singolarità di Schwarzschild”.

La singolarità adduceva che se una persona fosse riuscita ad arrivare al centro del buco nero senza essere disintegrata avrebbe visto tutto il passato congelato in un attimo e tutto il futuro accelerato alla velocità della luce. Ciò implicava che ci fosse una sola ed unica storia passata e futura. Vent’anni dopo la comunità scientifica accettò le idee di Schwarzschild.

Singolare è anche che, in tempi più recenti, sia stato osservato da un gruppo di ricerca dell'Università imperiale di Tokyo, che la prevalente composizione attorno a un buco nero supermassiccio sia di acido cianidrico, cioè quell’elemento derivante dalle scoperte di J. J, Diesbach nella sua ricerca del blu di Prussia. Presenza che sarebbe causata dal riscaldamento ad alta temperatura dell'ambiente che circonda il buco nero. (Wikipedia)

Invece, entrando in un'altra storia di scoperte, Werner Karl Heisenberg, negli anni ‘30, aveva prodotto una teoria in cui gli elettroni non erano propriamente né onde né particelle, gli elettroni avevano una natura indeterminata, non analizzabile con le leggi note. Il suo maestro, Niels Bohr, gli aveva suggerito che il linguaggio del fisico doveva esprimersi come quello del poeta: poteva riportare metafore e suscitare connessioni mentali, ma non necessariamente descrivere realmente i fatti. Heisenberg, anche grazie a questa ispirazione, realizzò così la prima formulazione della meccanica quantistica.

Quando Einstein vide il lavoro di Heisenberg gli sembrò che il ‘caso’ si fosse insinuato nella sua ordinata disciplina. 

Louis-Victor Pierre Raymond, il settimo duca di de Broglie, trattando di contrastare gli studi id Heisenberg, che secondo lo stesso Einstein andavano ostacolati, riuscì a dimostrare che ogni atomo, non solo ogni particella di luce, aveva natura sia ondulatoria che corpuscolare, una natura che poteva essere studiata con le leggi fisiche conosciute al tempo. 

A quel punto Heisenberg fu chiamato a confrontarsi con le idee di Raymond e constatò, però, che l’elettrone invece di formare una particella o un’onda, come lui stesso aveva precedentemente sostenuto, formava una nuvola. Era approdato così a un mistero ancora più problematico di quello che il Duca di de Broglie aveva formulato per smontare le tesi dello stesso Heisenberg. 

Le idee nel mondo hanno un prezzo da pagare, quello del fisico austriaco Schrödinger fu di realizzare l’esatto opposto di ciò che avrebbe dovuto fare.

Schrödinger si concentrò sulla ricerca di una formula che avrebbe permesso di racchiudere tutti insieme e contemporaneamente gli stati di un elettrone, fondò così la “funzione d’onda Ψ”, uno dei  fondamentali contributi alla meccanica quantistica, grazie alla quale vinse il premio Nobel per la fisica nel 1933.

Schrödinger sapeva nondimeno che pochi avrebbero potuto capire appieno quella funzione, non per i difetti nel metodo o negli strumenti utilizzati, ma perché al suo interno vi era l’”infinito vero e proprio”. 

Comunque, Heisenberg mise insieme le sue idee con quelle del fisico austriaco e dimostrò che uno stesso elettrone esisteva in più luoghi, si spostava a più velocità, possedeva diverse energie e si muoveva in più tempi. Di osservazione in osservazione, però, la particella mostrava solo uno dei suoi possibili stati. 
Come veniva selezionato di volta in volta quello stato che si prestava all’osservazione? A caso, totalmente a caso. 

Labatut, evoca anche la vita e le idee di Alexander Grothendieck, il principe illuminato della matematica, che ancora vaga con i suoi assiomi verso spazi infiniti e
chiude l'opera con l'autore stesso nel suo frutteto, un veleno su un sentiero vicino a casa, una triste storia nel mezzo, e un uomo che si aggira di notte nei giardini.

Così è come Benjamin Labatut, in quest’opera di finzione basata su fatti reali, riprende le biografie di numerosi scienziati e le riporta in un testo che suscita riflessioni distinte in ogni lettore. 

Attraverso un talento sorprendente nell’inanellare una storia nell’altra, nel congiungere tra loro le vicende, con un andirivieni dei fatti e dei concetti che mostrano la genialità del narratore, racconta queste storie rendendo evidente quanto vicine siano nello stesso tempo alla scienza e alla società, e cosa può stare a significare questa contiguità.

Gli eventi centrali delle storie raccontate nel libro sono ampiamente accertati ma, come informa l’autore, all’interno della narrazione si trovano elementi di fantasia. 

Il libro da un lato genera qualche malumore per coloro che amano le biografie pure, dall’altro, offre un invito ai lettori più vicini ai generi romanzati. In ogni modo è notevole che il quesito retrostante posto dallo scrittore mantenga una certa tensione e si presenti costantemente al lettore in ogni capitolo del libro: abbiamo smesso di capire il mondo?

No, se pensiamo che il mondo l’abbiamo compreso sempre e mai, si potrebbe conclude al termine della lettura.

Un aspetto strabiliante del libro, infatti, è proprio che nello scorrere delle pagine e delle storie non sappiamo con chiarezza dove iniziano e finiscono la realtà o la finzione. Così la tecnica narrativa si dimostra funzione nel tentativo estremo di decifrare cosa sia la vita per come ci appare.

“Quando abbiamo smesso di capire il mondo” è un album di figure eccezionali, studiosi eccentrici e disadattati, spiriti liberi e visionari inattuali in lotta contro il proprio tempo e tra di loro. 

Ciascuno di loro sembra tendersi come un elastico, tra slanci, scatti e scarti, intuizioni e visioni impossibili da comunicare sacrificando l’amore, il sonno e i rapporti sociali di una vita “normale”. 

Personaggi che chiedono tutto alla scienza e la scienza glielo fa pagare carissimo: un potere distruttivo che ricade sull’umanità intera ma che è la naturale conseguenza di una realtà che ci riconduce sempre a se stessa anche quando non possiamo capire.

Quindi, perché abbiamo smesso di capire il mondo?

“Forse perché riteniamo di averlo già letto tutto, o forse perché pensiamo che rileggerlo non sia una cosa così entusiasmante. Allora pensiamo sia meglio cercare sempre qualcosa di nuovo senza, però, tenere in conto che è proprio da una rivisitazione del già detto che si forma una concatenazione di stimoli e considerazioni innovativi. 
I personaggi che descrive Labatut, chiedono tutto alla scienza e la scienza si ribella in prima battuta: una nuova visione richiede anche un cambio di paradigma mentale. Una modalità scientifica che palesa una certa staticità e che ricade sull’umanità intera, ma che è la naturale conseguenza di un processo storico che fatica a dare spazio ed il giusto equilibrio alla polarità vecchio/nuovo, ha bisogno di un tempo a volte lungo, per una adeguata via di legittimazione.”

(Anna Pancallo)

Benjamin Labatut è nato a Rotterdam, Paesi Bassi, nel 1980. Ha trascorso la sua infanzia a L'Aia, Buenos Aires e Lima, e all'età di quattordici anni si è stabilito a Santiago del Cile. Il suo primo libro di racconti, è stato pubblicato in Messico, dove ha vinto il Premio Hunt for Letters 2009, assegnato dall'Università Autonoma del Messico (UNAM) e dalla casa editrice Alfaguara. Lo stesso libro è apparso in Cile nel 2012 e un anno dopo ha vinto il Premio Municipale di Santiago. Il suo secondo libro, After the Light, pubblicato nel 2016 dalla casa editrice Hueders, consiste in una serie di note scientifiche, filosofiche e storiche sul vuoto, scritte dopo una profonda crisi personale. Il suo terzo libro “Un terribile verdor” (nella versione originale del titolo), oltre ad Anagrama, sarà pubblicato nel 2020 da Suhrkamp (Germania), Adelphi (Italia con il titolo “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”), Éditions du Seuil (Francia), Atlas Contact (Paesi Bassi), Pushkin Press (Regno Unito, Australia , Nuova Zelanda) ed Elsinore (Portogallo).

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    La Dr.ssa Anna Pancallo, psicologa-psicoterapeuta è iscritta all’Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma.

 Svolge l’attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.

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La Dr.ssa Anna Pancallo,  psicologa psicoterapeuta iscritta all'Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma. Svolge l'attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.
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