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Se solo il mio cuore fosse pietra, uno sguardo sulla shoa attraverso i bambini

18/1/2023

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La giornalista Titti Marrone nel Gennaio 2022 ha pubblicato un libro su una vicenda poco conosciuta: l’arrivo nel 1945 nella campagna inglese di circa una trentina di bambini provenienti dai campi dì concentramento di Terezín e Auschwitz, da nascondigli, da un orfanotrofio o dal convento.
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Il posto scelto per accogliere i bambini era una villa situata a Lingfield, nella campagna inglese del Surrey messa a disposizione da Sir Benjamin Drage, un ebreo che fin dal 1939 aveva cercato di sensibilizzare tutti pubblicando articoli sul Times in cui lanciava un allarme per i bambini ebrei in tutta Europa, sollecitando una legge che li portasse al riparo in Inghilterra. Le foto pubblicate dalla rivista LIFE del 7 maggio 1945 avevano purtroppo fugato tutte le incertezze:
“le fosse nella terra riempite di corpi nudi secchi come pertiche e attorcigliati come vermi che i nazisti non avevano fatto in tempo a bruciare o a seppellire. [...] Le facce grigie dei pochi bambini ancora vivi, calvi e senza sorriso. Molti di quelli più piccoli e deboli sarebbero morti dopo poco. E c’era poi il grande problema: i bambini trovati nei lager erano vissuti in baracche separate, divisi da genitori di cui i più piccoli avevano dimenticato i nomi, così come avevano dimenticato il proprio, il paese e la lingua di origine. Quasi tutti erano coperti di piaghe, soffrivano di malattie gravi, erano mangiati da pidocchi e pulci.”
(LIFE, 7 maggio 1945, p.16)


In questo momento storico drammatico, sotto la guida esperta di Alice Goldberger, collaboratrice di Anna Freud a Lingfield, inizia il lavoro di lento recupero dei bambini sopravvissuti al dramma dell’Olocausto.

Alice Goldberger, morta nel 1986 ad ottantanove anni, si dedicò poi tutta la vita ai bambini bisognosi, era nata a Berlino dove era capo dell’”Obdach”, un rifugio per bambini e loro famiglie, resi indigenti dalla crisi economica tedesca del 1930. Il centro era un’istituzione statale che fu gestita diversamente con l’avvento al potere di Hitler, la Goldberger fu costretta a rinunciare al suo incarico riuscendo miracolosamente a trasferirsi in Inghilterra mentre la sua famiglia era scomparsa nei campi di concentramento. Fu internata come prigioniera sull’Isola di Mann dove iniziò ad organizzare una scuola materna per coloro che erano internati come lei.

Il successo di questa impresa fu riportato da un quotidiano, Anna Freud figlia di Sigmud il padre della psicoanalisi, pensò a Lei per organizzare un ambiente residenziale nel periodo della guerra. Fu così che Alice Goldberger partecipò ad un corso di formazione indetto dalle Hempstead Child-Therapy Clinic (Notizie tratte da “Bulletin Anna Freud Center”).

Tra Marzo e Dicembre 1946 i bambini scampati allo sterminio nazista furono accolti in questo centro di recupero e Alice Goldberger lavorò sotto la supervisione di Anna Freud con uno staff composto da Sophie Huster, Edith Lauer, Geltrude Dann, Ruth Fellner, Manna Weindling ed altri.

I bambini avevano vissuto situazioni terribili: dalla separazione dalle loro madri, agli stenti, alle violenze. Fu organizzato un lento lavoro di recupero della memoria e delle abitudini del quotidiano, lavorando per far adottare i bambini che avevano perso le famiglie, o farli riunire con le loro famiglie d’origine che erano scampate all’Olocausto. Nel 1948, con alcuni dei bambini rimasti, il centro fu trasferito a Londra a Lingfield House, fino alla sua completa chiusura avvenuta nel 1957.
In seguito la Goldberger si dedicò all’insegnamento presso la Hempstead Child-Therapy Clinic e nel 1978, ad 81 anni, in una trasmissione televisiva, si riunì sotto gli occhi delle telecamere con alcuni dei bambini che aveva seguito. Il commentatore Eamonn Andrews la accolse con queste parole:

​“Per 50 anni il tuo amore e la tua cura li hanno portati fuori da quell’incubo e hanno dato loro la volontà di vivere di nuovo”.

(Tratto da Jewish Chronicle Reporter)


I disegni dei bambini seguiti da Alice Goldberger sono conservati presso il “Memorial Museo”dell’Olocausto a Washington DC, disegni come quello riportato nella foto di apertura della recensione.
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Tra questi bambini figuravano le sorelle Bucci, Andra e Tatiana, italiane e cugine di Sergio De Simone, assassinato assieme ad altri diciannove bambini ebrei nei sotterranei di una scuola di nome Bullenshuser Damm nel cuore di Amburgo. Un medico delle SS, Kurt Heissmeyer, li aveva portati nel Lager di Neuengamme e utilizzati come cavie per i suoi esperimenti sulla tubercolosi. All’arrivo degli alleati ad Amburgo, i bambini furono visti come prove compromettenti da parte dei tedeschi e quindi soppressi. Presentavano incisioni sulla pelle, iniezioni di batteri della TBC nelle ghiandole ascellari, e altro. Furono impiccati la notte tra il 20 e il 21 Aprile 1945, e i loro corpi cremati così da cancellarne le prove.Tutto questo fu scoperto grazie ad un giornalista tedesco di nome, Gunther Schwaberg che dopo anni di denunce ottenne l’incriminazione di Arnold Strippel, capitano delle SS rimasto impunito fino al 1983; gli articoli di  Gunther Schwaberg pubblicati da “Der Stern” e il libro “The SS Doctor and the Children”, hanno portato alla coscienza dei più i crimini di guerra del campo di Neuengamme e della scuola di Bullenshuser. 

Con sua moglie, l’avvocatessa Barbara Hüsing, Gunther ha rintracciato i parenti dei bambini divenendo poi presidente dell’”Associazione de I bambini di Bullenshuser Damm”. Ricordava che la prima volta che era sceso nella cantina di Bullenshuser, una volta risalito assieme alla moglie, un’anziana signora li abbracciò dicendo loro queste parole:“Non basta piangere bisogna lottare”. 

A Bullenshuser si trovava Sergio De Simone di Napoli la cui mamma è stata rintracciata proprio dal giornalista tedesco nel 1986, qualche anno prima della sua scomparsa, avvenuta nel 1988.

Le ricerche della giornalista Marrone sono partite proprio della sorelle Bucci e dal loro cugino Sergio, attraverso alcune informazioni di cui è venuta a conoscenza, le successive ricerche poi l’hanno indirizzata al centro di recupero di Lingfield.

Il lavoro di metabolizzazione del trauma svolto da Alice Goldberger è stato di grande pregnanza terapeutica. Fin dal loro arrivo i bambini non rispondevano in modo adeguato alle sollecitazioni, anche una mano tesa a porgere loro qualcosa, veniva interpretata come una minaccia. Questo spinse la Goldberger a guardare la realtà attraverso lo sguardo dei bambini, così da accogliere il loro trauma piuttosto che cercare subito di farlo assorbire, una pressione psichica quest’ultima, che seppur a fin di bene, sarebbe risultata intollerabile.

Il trauma principale di questi bambini rientra in parte nella categoria presente nel DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders), come disturbo da Stress Post Traumatico, che inizialmente era stata diagnosticata come Sindrome del Sopravvissuto, le cui caratteristiche sul piano sintomatologico sono però molto peculiari:
  1.  rivivere l’evento traumatico continuamente attraverso ricordi, sogni, stati dissociativi durante i quali ci si comporta come se l’evento fosse ancora presente, vedi la mano tesa; 
  2. attenuazione generale della reattività che porta ad evitare pensieri, sentimenti, conversazioni, attività o persone;
  3. presentare sintomi d’ansia, difficoltà ad addormentarsi, incubi notturni, irritabilità, risposte di allarme a stimoli normali. Senso di Colpa per essere sopravvissuti, difficoltà di concentrazione. 
  4. la compromissione perdura per molti decenni e, come sappiamo oggi, in modo inequivocabile è trasmessA alle generazioni successive. In generale tutte conseguenze di un evento estremo mai registrato prima e al di fuori di un esperienza umana comune.

Assolutamente condivisibile quanto esplicitato da Micol Ascoli (“Lager Nazisti”: una ricerca psichiatrica presente sul sito web www.nicolalalli.it, 2007) quando afferma che :

“Negli ultimi cinquantasette anni il problema dell’Olocausto ha gradualmente assunto una posizione di primo piano nella coscienza occidentale. Un aspetto che lo rende differente da altri eventi storici è senz’altro la generale preoccupazione per la memoria che ne resterà e per la possibilità che le generazioni future ne comprendano appieno la portata. In questo processo di trasmissione della memoria, la figura del sopravvissuto gioca un ruolo importantissimo.[...] La nostra percezione dei reduci è una componente fondamentale della nostra concezione della Shoah.”
(Micol Ascoli, “Lager Nazisti” 2007)


Per questo motivo libri come quello di Titti Marrone, risultano molto preziosi, inoltre, la storia per così dire in presa diretta, degli effetti del trauma sui bambini, porta a delle riflessioni articolate su come l’abuso possa venire recepito da una mente infantile.

Ecco un passaggio che descrive le riflessioni di Alice Goldberger:

“Per effetto di quella tragica guerra lei e le sue assistenti si trovavano ad avere a che fare con il materiale umano più delicato e più danneggiato mai passato al vaglio di qualsiasi analista. E avrebbero dovuto accompagnare quei bambini nel ritorno alla vita. Mille volte Alice sarebbe stata presa dallo sconforto, anche perché toccava a lei guidare le altre in quell’impresa. Non poteva mostrarsi fragile, incerta. Estrasse altri fogli dalla cartella che portava con sé. Tra i documenti, spiccava un dettagliatissimo diario sui mesi passati in uno dei primi campi di accoglienza con annotazioni fatte da tutti gli addetti all’assistenza dei bambini, che la dottoressa Freud aveva raccolto e arricchito con sue considerazioni. Quello che dobbiamo fare è disegnare una specie di mappa del tesoro. Dovremo imparare a decifrare gli indizi, se vogliamo arrivare alla tappa finale, cioè la serenità di questi bambini.”
(Titti Marrone, “Se solo il cuore fosse pietra”, p. 38-39)


E gli indizi non sono sempre facili da decifrare come la scena dei cucchiai dove i bambini per mangiare utilizzavano esclusivamente cucchiai che tenevano sotto le maglie perché così facevano nel campo dì concentramento di Terezin, avere un cucchiaio o meno in quel luogo faceva la differenza tra sopravvivere oppure perire.

Altro brano tratto dal libro:

“Stamattina mi sembrava di essere la commessa di un negozio di abbigliamento alle prese con una clientela difficile da accontentare,” disse Alice uscendo con Edith dalla stanza dei sei bambini più piccoli. Erano stanchissime, lavarli e vestirli aveva richiesto molta energia e infinita pazienza. I bambini si erano nascosti sotto i letti, si erano strappati i vestiti di dosso rintanandosi negli angoli come animali braccati. Ma alla fine, con l’aiuto di qualche caramella, le due donne ce l’avevano fatta.”
(Titti Marrone, “Se solo il cuore fosse pietra”, p.43)


Il quotidiano a Lingfield era scandito da attività apparentemente di normale amministrazione che a tratti divenivamo inaccessibili. I bambini poi non sapevano assolutamente giocare, e quando venne allestita una stanza piena di giochi si svilupparono le reazioni più strane: nessuno intanto si azzardava e ad entrare in quella stanza, e quando lo facevano assieme alle educatrici utilizzavano i giochi in modo improprio perché non avevano mai giocato. Spostavano sedie e sgabelli riunendoli al centro delle loro camere, prendevano lo schienale di una sedia e la utilizzavano come pala per poi trascinare lungo la stanza la sabbia, insomma invece di giocare con i giocattoli trasportavano sabbia perché era ciò che avevano visto nei Lager.I particolari di ciò che i bambini avevano vissuto emergevano attraverso il gioco. La musica fu un’altro linguaggio che orientò il recupero diventando un rituale per tranquillizzarli. 

Al mattino, appena svegli, e alla sera prima di dormire, una lenta riappropriazione della realtà attraverso attività apparentemente normali, ma molto difficili per loro, fino ad arrivare alla possibilità di rammentare quello che gli era accaduto che era come un la ricucitura di una ferita aperta. Come il racconto di Judith e Miriam lasciate dal padre ad una contadina per poterle salvare, mentre ricordano le ispezioni delle SS e di come erano riuscite a salvarsi:

“Sentimmo i loro passi pesanti salire per le scale, la porta della soffitta aprirsi. Noi stavamo in uno spazio piccolissimo, ricavato dietro un armadio dal fondo a scorrimento: non sarebbe stato difficile muoverlo e trovarci. Però l’armadio aveva un’intercapedine al suo interno, e allora io spinsi Mirjam lì dentro. Riuscimmo a nasconderci giusto un attimo prima che le guardie spostassero il mobile e lo aprissero. Rimanemmo ferme, paralizzate, in quello spazio strettissimo. A un certo punto, per la paura Mirjam andò in affanno, cominciò a respirare sempre più velocemente e rumorosamente. Non riusciva a controllarsi. Allora mi tolsi un calzino, glielo ficcai in bocca e le bloccai ogni suono. Quelli se ne andarono e non ci trovarono.”
((Titti Marrone, “Se solo il cuore fosse pietra”)


Con questo passaggio del far riaffiorare i ricordi la “mappa del tesoro” come l’aveva battezzata Anna Freud, si è oramai articolata in maniera ampia e completa, iniziando dall’osservazione dei comportamenti, Alice Goldberger arrivò poi ad effettuare sui bambini dei veri e propri trattamenti analitici per aiutarli ad affrontare nel profondo i loro traumi.

Molto intenso il finale del libro dedicato a Sergio De Simone, mai stato a Lingfield, ma che Titti Morrone rievoca come rappresentante di chi non c’è l’ha fatta:

“[…] per mettersi in ascolto della sua voce che non risuonò mai, per accoglierlo e fargli spazio in queste righe di una storia vera che purtroppo non lo incluse. Per ricostruire, non potendo rendergli la vita che gli fu tolta, almeno i frammenti delle memorie di ciò che poteva essere anche per lui ma non fu: giorni, settimane, mesi e anni lieti che a Lingfield appartennero ad altri bambini. Così forse il suo immaginario cammino si potrà annodare all’esistenza degli altri. Affiancandone il ricordo alla naturale dimenticanza nostra e di quelli per cui la vita è andata avanti. E allora il suo tempo non sarà più mozzato, ma resterà sospeso per sempre a restituircene la memoria. Potrà dirci cose lontane o forse vicinissime. La sua è la voce di un passato che devastò l’infanzia di moltissimi bambini, di una barbarie contro gli esseri umani più indifesi che si ripresenta di continuo ma oggi rischia di perdere parola. Di finire soffocata dal suono balordo emesso dall’insensatezza del nostro vivere quotidiano.”
(Titti Marrone, “Se solo il cuore fosse pietra”, p.243)


Per celebrare la giornata della memoria, un testo autentico, a tratti crudo, ma fortemente intriso di quella passione per la vita che anche l’orrore non riesce a neutralizzare del tutto.

“Qui sosta in silenzio, ma quando ti allontani parla.”
(Epitaffio posto sulla lapide in un giardino di rose, a commemorazione dei 20 bambini ebrei trucidati a Neuengamme dai nazisti la notte tra il 20 e il 21 Aprile 1945.)

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    La Dr.ssa Anna Pancallo, psicologa-psicoterapeuta è iscritta all’Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma.

 Svolge l’attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.

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La Dr.ssa Anna Pancallo,  psicologa psicoterapeuta iscritta all'Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma. Svolge l'attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.
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