La possibile imminenza di una terza guerra mondiale, la questione del credere in un Dio, la morte e la vita, la prospettiva di un mondo guidato dalla "tecnica", sono alcuni temi affrontati nell'intervista del marzo 1959, che Carl Gustav Jung (1875-1961), psicoanalista svizzero, concesse a John Freeman per il programma televisivo della BBC "Face to Face".
L'attualità delle parole e dei concetti espressi con grande potenza e chiarezza da Jung, fanno di questo documento uno stimolo interessante per qualsiasi persona.
Lo spezzone, che noi abbiamo trascritto e proponiamo nelle pagine delle News di Studio Pancallo è una parte. Nell'intervista integrale, che si può trovare su You Tube, Jung parla con umiltà ed onestà di numerosi temi, quali la sua infanzia, la famiglia, la scuola, l'incontro con Sigmund Freud, il rapporto con i suoi genitori, la religione, il futuro del mondo.
L'intervista venne trasmessa in Gran Bretagna il 22 ottobre dello stesso anno e in seguito al successo ottenuto la BBC propose a Carl Gustav Jung un'altra conversazione; ma egli non poté accettare per la sua avanzata età. Questa, dunque, è tra le ultime splendide testimonianze dello psicoanalista zurighese.
Ha l'impressione che sia probabile una terza guerra mondiale?
Non ho indicazioni precise al rispetto, ma i segni sono così tanti e vari che non si capisce più che cosa ci sta davanti. Sono alberi o è la foresta? È difficile dirlo, perché nei sogni della gente si nota un'inquietudine, capisce, ma è molto difficile decidere se davvero alludano a una guerra, perché l'idea della guerra è in cima ai pensieri di tutti. L'altra volta è stato molto semplice. Allora la gente non pensava alla guerra e quindi era piuttosto chiaro il senso dei sogni. Oggigiorno non più. Siamo così pieni di apprensioni, di paure, che non si sa esattamente a che cosa si riferiscano i sogni. Una cosa però è sicura: è imminente un grande cambiamento del nostro atteggiamento psicologico. Questo è certo. E come mai? Perché ci serve di più … abbiamo bisogno di più psicologia. Abbiamo bisogno di capire meglio la natura umana. Perché l'unico vero pericolo esistente è l'uomo stesso. È lui il grande pericolo, e purtroppo non ce ne rendiamo conto. Non sappiamo niente dell'uomo, o troppo poco; dovremmo studiare la psiche umana, perché siamo noi l'origine di tutto il male a venire. Secondo lei è necessario che l'uomo viva con l'idea di peccato e di male? Fa parte della nostra natura? Mi sembra ovvio. E di un redentore? Quella è una conseguenza inevitabile. Dunque non è un concetto che sparirà via via che diventiamo più razionali; è qualcosa che … Senta, non credo che l'uomo si allontanerà mai dallo stampo originario del suo essere. Idee del genere ci saranno sempre. Per esempio, se uno non crede direttamente in un redentore personificato, come è stato il caso di Hitler o del culto della personalità in Russia, allora si tratterà di un'idea, un idea simbolica. Lei ha scritto, in varie occasioni, alcune frasi sulla morte, che mi hanno lasciato un po' sorpreso. Ricordo per esempio che lei ha detto che la morte psicologicamente è altrettanto importante della nascita e, come la nascita, fa parte integrante della vita. Ma come fa a essere la nascita, se è una fine? Si è una fine, ma su questo non siamo del tutto sicuri, perché, vede, la psiche possiede facoltà particolari per cui non è del tutto confinata entro lo spazio e il tempo. Si possono fare sogni o avere visioni del futuro, si può vedere attraverso i muri e via dicendo. Solo gli ignoranti negano questi stati di fatto, è assolutamente evidente che questi fatti esistono e sono sempre esistiti. Ebbene, essi mostrano che la psiche, almeno in parte, non è soggetta a queste categorie. E allora? Se la psiche non soggiace all'obbligo di vivere esclusivamente nello spazio e nel tempo, e questo è pacifico, allora in certa misura la psiche non è soggetta a quelle leggi; il che significa in pratica una continuazione della vita in qualche forma di esistenza al di là del tempo e dello spazio. Lei personalmente crede che la morte sia la fine di tutto o crede che … ? Ecco, non saprei. Vede, la parola "credere" mi crea sempre difficoltà. Io non "credo"; devo trovare una ragione a sostegno di certe ipotesi. Oppure so una cosa, e allora la so, e non ho bisogno di crederci. Io non mi permetto, per esempio, di credere in una cosa per il gusto di crederci. Non ci riesco. Ma quando esistono sufficienti ragioni a favore di una certa ipotesi, allora la accetto … naturalmente. È come se dicessi:"dobbiamo tener conto della possibilità della tal cosa" … capisce? In pratica, lei ci ha detto che dovremmo considerare la morte come una meta … Si! … e che ritrarci davanti a questo fatto è eludere la vita e privarla di scopo. Si, si! Che consiglio darebbe alle persone negli ultimi anni della loro vita per aiutarle in questo atteggiamento quando, per la maggior parte, probabilmente credono che la morte sia la fine di tutto? Ho avuto in trattamento molte persone anziane ed è molto interessante osservare come reagisce l'inconscio di fronte all'apparente minaccia di una fine totale. Ebbene … non la considera. La vita si comporta come se dovesse continuare; perciò io penso che sia meglio per una persona anziana continuare a vivere, guardare con attesa al giorno dopo, come se avesse secoli davanti a se; allora quella persona vivrà nel modo giusto. Ma quando ha paura, quando non guarda avanti, ma all'indietro, si pietrifica, diventa rigida e muore prima del tempo. Mentre se vive guardando piena di aspettativa alla grande avventura che la attende, allora vive, e questo è appunto ciò che l'inconscio vuol fare. Beninteso, è chiaro che tutti moriremo un giorno e che questo è il triste finale di tutto; ma ciò nonostante c'è qualcosa in noi che a quanto pare non ci crede. Ma questo è solo un dato, un dato psicologico, non dimostra niente. È così e basta. Per esempio, anche se non sappiamo perché il sale è necessario, in genere preferiamo mangiare salato, perché ci fa stare meglio. Allo stesso modo, quando si pensa in un certo modo, si sta meglio e secondo me se si pensa come ci porta a fare la natura, il nostro modo di pensare è giusto. E questo mi conduce all'ultima domanda che volevo rivolgerle. Nella misura in cui il mondo diventa più efficiente tecnicamente, si direbbe che la gente abbia sempre più bisogno di adottare comportamenti comuni e collettivi. Ebbene, secondo lei è possibile che il culmine dell'evoluzione umana sia di affrontare la propria individualità in una sorta di coscienza collettiva? Non mi sembra possibile. Credo che ci sarà una reazione. Si instaurerà una reazione contro questa dissociazione collettiva. Vede l'uomo non sopporta all'infinito il proprio annullamento. Prima o poi ci sarà una reazione e già la vedo iniziare. Se penso ai miei pazienti, loro vogliono tutti trovare la propria esistenza e garantirla contro questa totale atomizzazione verso il nulla o verso l'assenza di senso. L'uomo non può sopportare una vita priva di senso. 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