Alfred Rosenberg e "Il diario perduto del Nazismo" La recente pubblicazione degli scritti di Alfred Rosenberg, con l'avvicinarsi annuale della giornata della memoria del 27 gennaio, riportano l’attenzione sull’immane tragedia dell'Olocausto, come pure sugli interrogativi che tutto questo suscita ancora oggi. Di quali uomini parliamo quando ci riferiamo ai membri del comitato direttivo del Terzo Reich? Quale era la loro visione dell'uomo? In che modo avevano nutrito le proprie personali convinzioni? Il ritrovamento del diario di Alfred Rosenberg, l'ideologo di Adolf Hitler, apre uno squarcio su un modo di guardare se stessi e gli altri. Ci racconta di come la personale e limitata visione di un uomo come Alfred Rosenberg, abbia stimolato al meglio i vissuti paranoici di Hitler donando loro una ulteriore forma di legittimazione. Molto è già stato detto sull'argomento ma, in questo contesto, si vuole proporre una riflessione di stampo psicologico che porti a ripensare ulteriormente su ciò che accade alla mente quando non può riconoscere le proprie difficoltà. Una prima riflessione riguarda il fatto che la psiche, davanti a ciò che rasenta l’eccesso, tende a rimanere incredula creandosi convinzioni alternative in modo da continuare a coltivare le proprie abitudini. Così accadde che gli ebrei faticarono a riconoscere la "notte che scende", pensando piuttosto alle minacce di un gruppo di esagitati, confidando inizialmente che la presa al potere di Hitler avrebbe calmato le cose. I capi ebraici predicavano calma e pazienza senza rendersi conto che ciò, come articola bene Hanna Harendt nel suo libro "La Banalità del Male", sarebbe risultato fatale. Modificare un sistema di pensiero diviene più difficile quando la propria visione del mondo risulta essere radicata in una determinata realtà, fanno capolino dentro la persona alcuni aspetti difficili da gestire: le radici, l'incredulità, la propria stabilità e una visione ingenua del potere. Dall’altra parte, la ferma ostinazione di Rosenberg nel non voler prendere in considerazione visioni differenti dalla sua sul genere umano, divenne uno degli elementi fondanti della politica del Terzo Reich, fu ciò che meglio si prestava ad una celebrazione dell’assolutismo divenuto pratica operativa. "Il Mito del XX Secolo" scritto dal filosofo/ideologo era il libro che celebrava la sua personale visione del mondo e divenne l'apice del pensiero tedesco: Ogni razza coltiva il suo ideale più alto. Se vi s’infiltra una massiccia dose di sangue alieno e idee aliene, questo fenomeno viene scambiato o sconvolto, e l’esito di tale trasformazione interiore sarà il caos e, col passare delle epoche la catastrofe. Le sue affermazioni ci fanno comprendere quanto ambiva al ruolo di profeta del Reich pronto a educare e difendere sia i gerarchi che il popolo da tutte le possibili contaminazioni che la storia aveva sino ad allora prodotto. Il mondo, ripulito da tutto ciò che era considerato veleno, ai suoi occhi appariva libero e gioioso. "Dopo una lunga lotta siamo riusciti ad acquisire la gemma della saggezza interiore", questa frase espressa in uno dei discorsi di Rosenberg fa comprendere quanto il bisogno assoluto di controllare il difforme da se doveva essere combattuto e annientato; quando i nazisti iniziarono a mettere in atto le minacce contro gli ebrei, in parte nate da quelle idee, l'ideologo aspira ad una "rivoluzione di pulizia biologica globale". Siamo davanti ad una mente tenacemente convinta nella propria visione, totalmente incapace di uscire dal guscio della propria rigidità, a cui la mistica farneticante del pensiero aveva dato una legittimazione assoluta da praticare senza remore nella realtà. Il senso costante di minaccia che Rosenberg provava dentro di se era stato trasferito all’esterno, ciò che avvelenava la sua mente era ora davanti a lui: un nemico da abbattere per riprendere orgogliosamente possesso della sua vita. Per onorare quei milioni di scomparsi è importante anche riconoscere quegli aspetti di devianza che la mente può praticare nella normalità. Combattere costantemente contro qualcuno o qualcosa è una di quelle stereotipie a cui la psiche si appoggia per non sprofondare nel burrone delle proprie contraddizioni, il faro che illumina un luogo di pace, dove non dover più venire a patti con le proprie paure, le proprie impotenze, i cambiamenti difficili.
In questa opera delirante l'autore narra di un presunto complotto giudaico-comunista ai danni dell’umanità e, ovviamente della Germania. Teorizza la mistica del sangue e della razza ariana. Nel "best seller" Rosenberg sostiene che Gesù non era ebreo e che siano state le chiese cristiane a falsificare la vera storia. Rosenberg era un intellettuale che aveva esasperato la stessa struttura culturale fino alle estreme conseguenze, contribuendo a trasformare completamente un'intera nazione verso il male assoluto. Un'immensa "fake news", dovutamente redatta e diffusa attraverso i suoi scritti, che ci pone oggi dinanzi alle verità della parola e alla consistenza del pensiero, alle capacità umane e all’accettazione dei propri limiti come elemento fondante della propria evoluzione interiore. Rosenberg, a partire dal 1934 tenne un diario che, finita la guerra, andò disperso. Nell’aprile del 2013, Robert Wittman, ex agente dell’FBI con grande esperienza nel recupero di reperti storici, lo ritrovò. Non ci soffermeremo qui sul racconto del ritrovamento, per quanto questa storia sia molto coinvolgente, ma sottolineeremmo come il diario ritrovato sia un documento unico e prezioso, ricco di riflessioni, conversazioni e progetti condivisi con il Führer. Un racconto intimo che si colloca nel cuore del nazismo e di chi lo governò. Alfred Rosenberg, il filosofo, l'ideologo, aiutò a pianificare l’invasione nazista e la successiva occupazione dell’Unione Sovietica. Nel 1933 fu nominato da Hitler Responsabile Esteri per il Partito. Il ruolo svolto da Rosenberg nel Terzo Reich, le tragiche conseguenze che ne sono derivate, non devono essere sottovalutate: le sue idee hanno gettato le basi per il lavaggio del cervello di un’intera nazione, e fornito a quelle genti il lasciapassare per il massacro di milioni di persone.
Fu il più famoso tra gli accusatori di Norimberga che, non solo nascose in casa sua documenti che avrebbe dovuto depositare negli archivi delle istituzioni statali, ma aiutò pure, in quanto avvocato, la vedova di Goering. Il diario, almeno una parte, Wittman lo ha scoperto con l’aiuto di un archivista del Museo dell’Olocausto negli anni Novanta. Le pagine non erano tutte, erano disordinate ed erano gestite dall’ex-assistente di Kempner. Diversi anni dopo, Wittman, ormai pensionato, ritrovò altre "carte" che completavano il manoscritto ritrovato. Per gli storici entrare nelle stanze segrete della cerchia ristretta di Hitler fu molto importante. Rosenberg racconta infatti, dal suo punto di vista, le motivazioni di certe decisioni prese dal Führer, nonché le dinamiche di potere degli uomini al vertice del Reich. Tornando alla biografia di Rosenberg ricordiamo che era cresciuto in città periferiche e multiculturali come Tallin e Riga, dove abitavano tedeschi, estoni, lettoni, russi, ebrei, che appartenevano all’Impero zarista. Nonostante il contesto multiculturale da cui proveniva, decise che la purezza della razza era l’unico valore assoluto, quasi a rinnegare la propria infanzia e gioventù. Sembra quasi che la società eterogenea porti alcuni individui a far emergere un'esigenza contraria di purezza che in qualche modo, trova humus, terreno fertile, energie nascoste, nelle società borghesi. Sentimenti che ci catapultano ovviamente anche alle nostre società contemporanee sempre più culturalmente diversificate. Rosenberg, come esplicò nelle sue pubblicazioni, considerava gli africani una razza inferiore al pari degli ebrei e delle altre popolazioni semitiche, esprimendo disprezzo anche per gli slavi. Al vertice della gerarchia delle razze individuava, in conformità all'ideologia razziale nazionalsocialista, gli ariani discendenti dalle antiche popolazioni indoeuropee: nordici, mediterranei, dinarici, alpini ed est baltici. Per le sue teorie sulla razza prese spunto da quelle del marchese Joseph Arthur de Gobineau, di Houston Stewart Chamberlain e di Madison Grant, indicando gli ariani come fondatori di tutte le grandi civiltà del passato, da quella persiana ed egiziana a quella dorica e romana. Rosemberg sosteneva che il decadimento di tali civiltà fosse da ricercarsi nella commistione razziale. "L'antisemitismo è l'elemento unificatore nella ricostruzione della Germania.". Emblematico, per dare un'idea del personaggio malefico, fu che durante l'occupazione dell'Europa Orientale, l'ideologo, allora capo del Ministero del Reich per i Territori occupati dell'Est, decise di mettere in pratica l'"Operazione Fieno" dove rapì bambini polacchi per renderli schiavi in Germania. Rosenberg, per non farsi mancare nulla, durante la guerra si occupava anche della razzia delle opere d’arte soprattutto a Parigi e in Francia. Ne "Il diario perduto del nazismo" si racconta bene la natura profondamente corrotta dei gerarchi nazisti in lite tra di loro su come accaparrarsi i tesori delle vittime e su come erano, invece, unanimi sulla soluzione del problema degli ebrei. Nel diario viene raccontato come si parlasse di futuri e terribili pogrom in terre russe e ucraine mentre Hitler ipotizzasse che di fronte ai massacri, l’Europa tutta si sarebbe levata in difesa degli ebrei, e di come i gerarchi nazisti ridessero fragorosamente capendo che quella del Führer era solamente "pura ironia". La storia andò invece diversamente, quel potente meccanismo di distruzione di tutto ciò che non rispondeva a quella visione assolutista mise in moto forze contrarie desiderose di riportare nel mondo il rispetto di ciò che è diverso da noi come valore per tutti. La storia insegna se viene metabolizzata. Ricordare il valore dei limiti può essere l’opportunità che la mente ha per modulare i propri vissuti, anche quelli che creano attrito. Letture correlate:
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