[...] la mente umana è come uno specchio ineguale, che accoglie e riflette i raggi delle cose secondo gli angoli della propria sezione e non in una superficie piana; e che ogni uomo ha nella sua educazione, nei suoi studi e nella sua natura particolare una intima forza di seduzione, che è quasi un demone familiare che inganna e turba la mente con vani e vari spettri. Perseo arriva da Medusa con un’arma, quello scudo regalato da Atena che, dal Mito, sappiamo essere talmente lucido da sembrare uno specchio. Quale dunque la funzione metaforica di questo oggetto per la Psiche? Lo scudo ricorda che dobbiamo proteggerci. Lo specchio dice che per proteggerci veramente dobbiamo imparare a guardare le nostre ferite. In fondo nasciamo feriti, non perché sempre una ferita ci venga inferta precocemente, la ferita è data dalla necessità che abbiamo di dover trasformare sempre il nostro passato in memoria, ed è questo movimento dal passato alla memoria che ci ferisce. Attraverso tale ferita guardiamo il mondo e lo assimiliamo, molto spesso non ci rendiamo conto di questo processo, ma accade per tutti e ferisce. Il mostro si crea all’interno di questa altalena, spesso non lo vediamo anche se sappiamo sempre che c’è. I Greci non raccontavano mai le loro storie a caso. Il Mito di Perseo e Medusa è la storia di una fiducia incrollabile nelle capacità dell’uomo di acquisire conoscenza su se stesso e di riuscire a cogliere gli aspetti formativi del brutto o negativo, che la mostruosità di Medusa ispira. Non è una fiaba ma la rappresentazione delle prove esistenziali alle quali sottoporsi, per domare l’aspetto difficile della propria natura. Nascondiamo la nostra ferita innanzitutto a noi stessi, coadiuvati in questo dall’incessante lavoro del mondo. Perseo dunque non sa ancora di avere una ferita, lo scopre guardando il volto di Medusa nello specchio, in quel momento si collega ad un vissuto profondo e questa sensazione lo fa divenire empatico verso di lei. È come essere sdraiati su un tavolo nudi, coperti di sale. Il sale pesa su ogni centimetro del nostro corpo. Ma nel punto in cui abbiamo una ferita aperta, oltre a pesare brucia. Cosi impariamo questo del sale: che brucia in quel punto. Non ci viene in mente che potrebbe essere un problema nostro. Il sale è quella cosa che brucia lì. Più o meno è il modo in cui parliamo della vita fino a quando non prendiamo consapevolezza della nostra ferita. Solo alla fine di un lungo cammino capiamo che il dolore per il contatto con il sale non ci dice molto del sale, ci dà piuttosto un’informazione precisa e preziosa su noi stessi: siamo feriti. Raccontare nuovamente la storia di Perseo e Medusa, è un modo per parlare di questa ferita e poterla trasformare: La verità non si inventa, si trova nel tempo. Il tempo muta ora, per Perseo e per noi che lo guardiamo, è essenziale questo momento, siamo come in un film, la differenza con la vita sta nel fatto che mentre viviamo cerchiamo una soluzione, ora che stiamo narrando cerchiamo il problema che sta dietro. Quando racconti una storia guardi il mondo. Lo guardi con un’emozione o con un’idea, con un progetto. Abbiamo un’idea da perseguire, tuffarci anima e corpo in una storia che non è nostra ma è come se lo fosse. Questo ci fa diventare testimoni di qualcosa che si compie, più abitiamo la storia e più emerge il nostro sommerso, una verità ora, molto più concreta di prima, non riusciamo a trattenerla più di tanto. La storia siamo noi e le ferite sono molteplici da: invasione, abbandono, privazione, vergogna, tradimento. La figura di Medusa le incarna tutte. Nel momento cruciale in cui Perseo la guarda le intuisce tutte, la contorsione dolorosa e senza controllo di Medusa lo fa palpitare, il cuore è un torrente in tumulto, il sudore che gli imperla la fronte è espressione di una tensione mai avuta prima, il fiato corto gli dice che il momento è ora. La figura precedente scompare per lasciare spazio ad altro, la sua anima apre Perseo al mistero, come Bella la protagonista della fiaba “La Bella e La Bestia”, quando si innamora di Bestia, sgorga il suo bisogno e si fa strada modificando il vissuto precedente. L’immaginazione psicologica procede lentamente in ognuno di noi e per successive trasparenze che svelano la necessità di ogni Anima del contatto con il reale. Quando sono disperato, non voglio che mi si parli di rinascita; quando mi sento invecchiare e decadere, e la civiltà attorno a me sta crollando per un eccesso di sviluppo, che è poi un eccesso di potere distruttivo, non posso tollerare la parola 'crescita'[...]. Che dire invece di una cura attraverso la somiglianza, dove il simile cura il simile? Ho bisogno di uno sfondo adeguato al fallimento della vita. Ho bisogno che mi si parli di quegli Dei che sono serviti 'da', prosperano 'su' e possono offrire uno sfondo archetipico (modello originario) 'a' e anche una connessione erotica 'con' la sconfitta, il decadimento e lo smembramento, perché queste dominanti rifletterebbero la psiche 'sperimentata'[...] Parliamo a questo punto di un eroe che vuole sviluppare la sua coscienza attraverso la prova. Jung guarda all’eroe e al mostro come la stessa cosa, sono più vicini di quello che appariva all’inizio e dal momento in cui il destino dell’uno si intreccia con quello dell’altro, divengono la medesima cosa. Medusa è il demone della psiche istintuale, è forma della vita nella sua primordialità; è la primordialità stessa che può trasformarsi in molteplici realtà; è una potenza, una numinosità, ha una originaria risonanza religiosa; rappresenta la saggezza del passato, come un nostro antenato, o quella del mondo sotterraneo; [...] Se si allontanasse da Medusa, Perseo perderebbe il suo acume, la sua capacità di saggezza e profondità. L’EVENTO che ha attraversato la storia del Novecento, quello dell’Olocausto, ci ha fatto scoprire un Dio non solo luce e non solo buono, e a noi che siamo tutti figli di tale accadimento ha anche aperto la strada ad una riconsiderazione dei Miti come quello di Medusa. Non possiamo rimanere solo pietrificati dall’effetto estremo di tale fatto e dai racconti che ne sono susseguiti. Attraverso l’immaginazione possiamo restituire un ruolo a questo EVENTO, togliere quel senso di estraneità perturbante per sviluppare una riparazione all’offesa. Gunther Anders un filosofo che ha indagato in profondità il momento di passaggio tra la fine della seconda guerra mondiale e la nuova moderna età del benessere sostiene che l’Olocausto si è prodotto perché risultavano già presenti nella società elementi di separazione tra la capacità tecnologica e l’immaginazione morale. È il deficit di immaginazione a produrre consuetudini dannose, la realtà che la percezione, orfana dell’immaginazione, riesce a cogliere, e oltre la quale non riesce a spingersi, è sempre già fatta, tecnologicamente prefabbricata e operata. In questo deserto immaginativo non c’è posto per i pentimenti, i fremiti e le riconciliazioni, è solo nel momento del riscatto del potere immaginativo che qualcosa muta: mentre guardiamo lo stupore di Perseo che guarda nello scudo, qualcosa da lui passa a noi. Perseo guarda nello scudo e la sua vita si colora diversamente. Noi che partecipiamo allo snodarsi di questa storia ora entriamo dentro, siamo lì anche noi, siamo entrati in relazione, il racconto ci viene incontro con tutte le sue sorprese e noi guardiamo attraverso Perseo. Lo scudo diviene allora lo SGUARDO CHE SI GUARDA, metafora di uno specchio che non significa soltanto veder apparire ma di uno vedere esterno ed interno coincidenti. Il senso reale dello scudo di Perseo è questo: [...] l’intelligenza del mito è chiara: il problema dell’identità psichica e dell’identità sociale [...], sono due facce della stessa medaglia. Inotre, Lo specchio sintetizza il processo per cui ciò che è presso di sé va in un altro per poi tornare presso di sé. Si sopprime così la distanza tra ciò che la persona vede di se stessa e quello che non riesce a vedere, un nuovo senso di unità viene celebrato. Si è quello che si è in rapporto a ciò che non si credeva essere e tutto questo è frutto anche di un ambiente che ci ha forgiati. Ciò che ha valore per i Greci e per noi tutti non è il senso temporale degli eventi; l’importanza sta nell’interiorità atemporale dell’uomo che il Mito celebra e tramanda per sempre. Un tempo una donna e uno specchio divennero amici, e lo specchio piangeva di compassione per lei quando le sue lacrime erano sincere. Finalmente, il suo riflesso le chiese: 'Di che cosa hai paura ancora?'. E La Vecchia rispose: 'Ho ancora paura della morte, ho ancora paura del cambiamento'. E lo specchio fu d’accordo. 'Si sono spaventosi. La morte è una porta chiusa', declamò, 'e il cambiamento è una porta che non si chiude'. 'Si, ma la paura è una chiave', rise la vecchia 'e di paure ne abbiamo ancora'. Sorrise.”
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