Il potere simbolico della malattia non va ignorato. Certamente l’invecchiamento espone al deterioramento biologico e, al tempo stesso, il dato più significativo oggi circa l’allungamento della vita è che viviamo più a lungo ma da malati. La malattia è però il risultato di relazioni complesse nel funzionamento umano, dove biologia e vissuti s’intrecciano e dunque ogni organo che diviene più debole o reattivo cela la repressione di un messaggio. Dare una definizione di salute come completamente scevra da qualunque male vuol dire non dare valore al sintomo al di là di un mero dato oggettivo, ma il fatto che oggi l’Epigenetica confermi come l’ambiente possa agire sulle condizioni biologiche è un dato non più trascurabile. Allora perché non educare gli individui a confrontarsi con il sintomo piuttosto che reprimerlo affrettandosi a liberarsene senza alcun apprendimento? La medicina Antiaging ci rimanda alla visione di una prostata ammalata a causa dell’aumento degli ormoni femminili con il progressivo procedere dell’età. La stessa etimologia parla della funzione degli ormoni: όρμάω, dal greco, significa “mettere in movimento, azionare”. Sono oramai noti i collegamenti tra gli ormoni e la psiche, la prostata rimanda ad una battaglia aggressiva intorno alla ghiandola di riferimento dei semi. Una prostata che si apre agli agenti, è guidata da una psiche volta a chiudersi mentalmente ad una forma di rinnovamento di se. Pensiamo al fatto che come l’aumento degli ormoni femminili caratterizzanti i disagi alla prostata, possano richiamare il soggetto verso una difficoltà ad esperire nuove caratteristiche per la sua psiche dove rendere più sfumati atteggiamenti fortemente marcati verso una visione maschile dominante. Spesso si assumono atteggiamenti di ritorno, che servono a coprire la realtà di un funzionamento interiore che risulta troppo spostato in una direzione proprio per coprire una vulnerabilità di fondo. I disturbi alla prostata, quanto tutte le problematiche di natura sessuale, pongono problemi di comunicazione e fiducia, poiché dicono che il modello di comportamento sempre tutto d’un pezzo che ci si è prefissati, risulta oramai poco adeguato alle nuove esigenze indotte anche dai cambiamenti ormonali. Spesso a quel punto l’individuo si pone un problema di fiducia in se stesso e negli altri, mentre è arrivato il momento di acquisire saggezza aprendosi a ciò che risulta meno consueto nel proprio modo di approcciare il mondo. Aprirsi alla vulnerabilità può risultare un dato non così semplice quando si è costruita un immagine diversa da ciò che si sente nel profondo, questo meccanismo inizialmente aiuta ma poi espone alla difficoltà di una trasformazione. La malattia, prima che un’alterazione visibile clinicamente, è un’esperienza che ci porta lontano da noi stessi, un’esperienza che ci fa sentire lontani dal nostro corpo: non a caso diciamo “non mi sento bene”.
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