La bisaccia è l’oggetto che Perseo utilizza per riporre la testa appena tagliata di Medusa, un contenitore che rappresenta, simbolicamente, un “luogo” dove imparare a contenere la parte distruttiva del proprio vissuto: una allegoria motrice che ci offre una visone di spazio interiore ben articolata. La metafora del κιβισις, tramandata durante i secoli, e sostenuta da indagini recenti a supporto della comprensione profonda del nostro modo di essere, ci spinge ad esplorare i meccanismi della nostra psiche sempre in una nuova chiave, così da poter sostenere una lettura integrata di se stessi nel proprio presente. Oggi si è molto legati all’idea di autenticità come ad una forma di emancipazione che rifugge da comportamenti stabiliti dall’esterno, in un continuo rifarsi alla propria individualità. Come se l’Io potesse essere tanto produttore quanto fruitore di se, completamente libero, spinto dalla presunzione di poter costruire la propria migliore performance. In tale dilagante ottica autoreferenziale la diversità ha poco spazio ed è contemplata, in misura minore, solo quando sia comunque conforme al sistema vigente. In una vignetta immaginaria un pavone, in tutto il suo sfolgorante ego, con la ruota del piumaggio aperta al massimo, domina il giardino. Un passero, piccolo ed intimidito, gli sta di fronte guardandolo ipnotizzato ed il pavone gli dice:“ora parliamo di te”. Del pavone potremmo dire che è come un individuo affetto da un disagio narcisistico di tipologia grandiosa, caratterizzato appunto da una esagerata visione di se, preoccupato da fantasie di successo illimitato, di potere, di brillantezza, di bellezza o di amore ideale. Un individuo che crede di essere "speciale" e unico, di poter essere compreso solo da altre persone Altrettanto speciali o di alto livello. Una persona che richiede eccessiva ammirazione, che manca di empatia, che è spesso invidioso degli altri e che mostra comportamenti arroganti ed altezzosi. Questa logica del vincente, che impera al giorno d’oggi, alimenta dinamiche narcisistiche tanto del tipo descritto sopra, quanto di colui che ha una dinamica contraddistinta da una palese vulnerabilità, il Passero: altamente sensibile a ciò che dicono gli altri, ascolta con attenzione e amplifica le offese, o le critiche sottili; inibito, timido, evita di essere al centro dell’attenzione ed è incline alla vergogna ed ai sentimenti feriti. Entrambi i volatili rappresentano versioni diverse della medesima problematica. In ambedue vengono boicottati elementi di verità legati ad una voce alternativa, anche se il loro schema è supportato da una visione apparentemente rigorosa, riconducibile ad elementi presenti nei fatti, o nei vissuti dell’individuo e della società, nel loro insieme. La realtà, però, risulta tradotta attraverso moduli di riferimento che inquadrano assunti statici. Il meccanismo fondamentale è dato dall’auto esaltazione o attraverso la grandiosità di se stessi (il pavone), oppure tramite la vulnerabilità che porta le persone a sentirsi migliori degli altri per ciò che sentono (il passero). Il problema che sottende tali dinamiche sta nella difficoltà ad essere intimi nelle relazioni poiché, la vicinanza con l’altro, crea vergogna. Nei social media tale aspetto è molto esaltato e, unito all’idea che per essere apprezzati bisogna risultare vincenti, alimenta modalità che portano l’ego a crescere in modo smisurato a discapito della dimensione reale del soggetto. I continui paragoni, stabilitesi tra esseri umani, fanno si che l’esperienza del diverso come elemento formativo risulti piuttosto impraticabile. “L’imperativo dell’autenticità genera una coazione narcisistica. Il narcisismo non è identico al sano amor proprio, il quale non ha nulla di patologico, dal momento che non esclude l’amore per l’altro. Il narcisismo invece è cieco di fronte all’altro. L’altro viene così lungamente piegato finché non si riconosca: il soggetto narcisistico percepisce il mondo soltanto nelle sfumature di se stesso.” (B. Chul- Han,”L’espulsione dell’Altro”, Ed Saggi, p.35) Secondo Alain Ehrenberg, “il diffondersi della depressione è una conseguenza del perduto rapporto con il conflitto. L’attuale cultura della prestazione e dell’ottimizzazione non ammette alcuna gestione del conflitto, poiché essa richiede molto tempo. L’attuale soggetto di prestazione conosce soltanto due condizioni: funzionare o rinunciare. In ciò somiglia alle macchine. Anche le macchine non conoscono conflitto. O funzionano perfettamente o sono guaste.” (B. Chul- Han,”L’espulsione dell’Altro”, Ed Saggi, p.37) Questo modo di funzionare porta inevitabilmente a non riconoscere i lati utili del conflitto sul piano della stabilità psichica, come la creazione di identità più solide in grado di affrontare la lotta interiore necessaria al consolidamento di se stessi. L’idea imperante di felicità viene confusa con il soddisfacimento istantaneo, con il godimento immediato che è in grado di minare quella spinta propulsiva a cercare motivazioni di vita più profonde, le quali hanno bisogno di tempi e modi diversi. Alcuni elementi della ricerca di Daniel Kahneman, psicologo Premio Nobel per l’Economia, con lo studio “Pensieri Lenti e Veloci”, ci spiegano in maniera più approfondita il perché di una modalità narcisistica dilagante anche in una chiave funzionale. Kahneman distingue due sistemi di funzionamento (1 e 2) entrambi attivi da svegli. Il numero 1 funziona in maniera automatica mentre il 2 interviene con una piccola percentuale della sua capacità. Quando tutto funziona senza intoppi il sistema 2 adotta i suggerimenti del sistema 1 (impressioni, sensazioni, intuizioni, etc.). Quando al sistema 1 sorge un interrogativo, allora il sistema 2 si attiva appena un evento contraddice il modello di riferimento del sistema 1. Il sistema 2 articola giudizi spesso appoggiando idee e sentimenti del sistema 1, ma non è lì solo per questo, ci aiuta anche a non avere comportamenti inappropriati, la sua capacità di concentrare l’attenzione risulta indispensabile. Quindi potremmo dire che il sistema 2 interviene quando le cose si fanno difficili ed a quel punto ha l’ultima parola. Il problema, oggi, sta nel fatto che il sistema 1 viene allenato in modo spropositato e ciò ha determinato un suo eccessivo sviluppo che risulta essere pervasivo rispetto al sistema 2, determinando, così, molti errori sistematici nella formazione delle nostre intuizioni. Le riflessioni che stiamo apportando mettono in luce come la rinuncia, o la difficoltà, ad uno scambio più articolato dentro di noi, alimenti questa sofferta allergia al far veicolare informazioni su piani diversi, quindi anche sul piano dell’Altro, in quanto diverso da me. Tale deficit diviene fonte di un disagio in grado di destabilizzare il Se a favore di una marcata centratura dell’Io. Kahneman ci conferma questa lettura portando l’esempio dei team che si prefiggono l’obiettivo di convergere verso un obiettivo, per andare in tale univoca direzione, i dubbi del gruppo vengono progressivamente soffocati e trattati come una mancanza di fedeltà e rispetto al leader, con lo scopo di risultare più efficaci o efficienti. Ma bloccare i dubbi alimenta un’eccessiva sicurezza da parte del team dei sostenitori, mettendo da parte quella che lo scienziato definisce l’esperienza del pre-mortem, la quale, incoraggiando le perplessità, stimola a verificare se quanto proposto sia effettivamente da perseguire. Quel sano senso critico collettivo, che quando viene annullato, porta ad eliminare una più articolata visione della realtà, maggiormente in linea con la complessità che anima la vita di gruppo e, conseguentemente, le sue azioni. Un’altra considerazione, che può risultare utile nel ragionamento che stiamo proponendo, è quella in merito al benessere raggiunto attraverso il denaro. La conclusione a cui è giunto il sondaggio Gallup (società di analisi americana nota per i sondaggi in tutto il mondo) negli Stati Uniti, pubblicato su Nature nel 2018, è che essere poveri rende sicuramente infelici, ma, che essere ricchi, pur aumentando la soddisfazione per la qualità della propria vita, non migliora il benessere esperito. Per quale motivo? La risposta risiede nel fatto che, oltre un certo appagamento dovuto al reddito, si perde in parte la capacità di godere grazie ad esperienze meno costose ma in grado di dare valore alla soddisfazione di vita. Potremmo dire che ciò da cui traiamo appagamento risiede nella capacità di modulare uno spettro più ampio di modi d’essere. Il fatto ad esempio di avere una modalità polare, e poterla rispettare, diviene un elemento decisivo in merito alla soddisfazione di vita. “Chi lega a sé una Gioia Distrugge la vita alata; Ma chi bacia la Gioia in volo Vive nell'alba dell'Eternità.” (W. Blake, “Eternità - Il Giardino d’Amore”) Attraverso l’immaginazione si conosce il mondo, la materialità distrugge la vita. L’anima può perdersi nel peso del mondo materiale, e William Blake credeva nell’apprendimento della vita. L’opera del poeta, che visse ai tempi della rivoluzione industriale in Inghilterra, tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, è preziosa perché testimonia come si stava facendo strada allora, il soccombere dell’uomo spirituale, attraverso il rituale quotidiano della produttività SU grande scala. Con l’affermazione di tale prospettiva l’uomo moderno venne chiamato a partecipare alla produzione e al lavoro materiale e il suo valore, da allora, sarà sempre più determinato dalla realizzazione del suo successo economico, cioè dal guadagno. Oggi possiamo notare che i benefici connessi a tale visione hanno richiesto un dispendio di energie psichiche molto alto da parte degli individui. La dimensione implicita, che chiamiamo immaginazione e che muove l’istinto di Blake, come quello degli artisti in genere, è presente in ogni vita e si muove dentro ognuno di noi. La capacità di cogliere e dare forma all’implicito è la radice di ogni psicoterapia. ”Un poeta non respinge un’immagine che ostinatamente ma accidentalmente appare e rovina il suo progetto; egli rispetta l’intrusa e scopre d’improvviso qual’è il suo progetto, vale a dire, scopre e crea se stesso.” (Perls et Al. “Teoria e pratica della terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento della personalità umana.” p.374) Questa visione inclusiva di ciò che si percepisce viene oggi sostenuta dalle ricerche intergenerazionali legate al trauma, le quali sottolineano come il passaggio da una generazione all’altra di vissuti, credenze, valori, segreti e miti che non sono stati metabolizzati, passino alle generazioni successive in modo non verbalizzato. Ovviamente questo non serve a ricondurre tutto alle generazioni precedenti, ma risulta importante per dare un volto più articolato alla dimensione dell’implicito e alle sue conseguenze per ciò che riguarda il funzionamento della psiche. Serve altresì a comprendere come l’aver sbilanciato il proprio modo di rapportarsi alla realtà, con una prassi più veloce in termini di evoluzione, possa aver rappresentato un elemento cardine a favore di una maggiore sofferenza collettiva. Già Freud parlava di trasmissione intergenerazionale quando affermava che noi procediamo dall’ipotesi di una psiche collettiva e facciamo sopravvivere per molti millenni il senso di colpa collegato e causato da un’azione. Lo facciamo restare operante per generazioni e generazioni, che di questa azione non possono aver avuto nozione alcuna. Quello che facciamo, attuando tale modalità, è proseguire un processo emotivo. Oggi, l’epigenetica, che studia ciò che influenza il comportamento dei geni, tende a confermare questa ipotesi quando rende evidente come un organismo venga influenzato, non tanto dai geni che possiede, quanto da quelli che utilizza. “I tre punti cruciali di questi studi sono: in primo luogo, le segnature epigenetiche sono influenzate dall’ambiente; in secondo luogo, sono trasmissibili alle generazioni successive; in terzo luogo, sono reversibili.” (G. Francesetti, T. Griffero, “Psicopatologia e Atmosfere”, p. 187) Francesetti sottolinea due elementi fondamentali: che il DNA è influenzato dalle esperienze e che tutto questo viene trasmesso alla generazione successiva, come pure la possibilità che tale modo di funzionare possa venire riorientato, Ecco quindi che il ricorso al Mito e ai Greci, rappresenta una esperienza di straordinaria attualità, come se il racconto di Perseo e Medusa fosse lì, presente oggi e perpetuato nei secoli, a testimoniare la necessità trasformativa che si oppone alla stasi performante nella vita di ognuno. Un percorso formativo in grado di evocare ciò che temiamo e che spesso assume forme così frazionate e frammentate da non poter venire efficacemente riconosciuto, anche se silenziosamente, affianca sempre il respiro delle nostre personali esistenze. Agire dunque per creare, poiché il vero nemico non è la morte ma l’oblio. È così, che attraverso il racconto di Medusa, stimoliamo le opportunità di trasformazione dell’Essere. “Vorrei, pioggia d’autunno, essere foglia che s’imbeve di te sin nelle fibre che l’uniscono al ramo, e il ramo al tronco, e il tronco al suolo; e tu dentro le vene passi, e ti spandi, e si gran sete plachi. So che annunci l’inverno: che fra breve quella foglia cadrà, fatta colore della ruggine, e al fango andrà commista, ma le radici nutrirà del tronco per rispuntar dai rami a primavera. Vorrei, pioggia d’autunno, esser foglia, abbandonarmi al tuo scrosciare, certa che non morrò, che non morrò, che solo muterò volto sin che avrà la terra le sue stagioni, e un albero avrà fronde. (Ada Negri, “Pioggia d’autunno - Vespertina”, Ed. Marsilio) I Greci non avrebbero mai considerato esperienza il rapporto con l’oggetto, esperire passava attraverso lo stare nelle cose, imparare dal confronto, da ciò che l’uomo coglie e da ciò da cui viene toccato: tutto quello che perviene all’individuo, e che la percezione registra, nella grazia di un incontro. Perseo, porta con se la sacca con la testa del mostro per consentirsi uno scambio, la voce dell’invisibile non più soffocata diviene la voce di una presenza. Perseo, da secoli stimola le nostre menti dando voce agli insegnamenti passati in un ottica di miglioramento e crescita. Ci ricorda che ciò che è stato non è solo memoria storica, ma un tempo fatto di esperienze individuali e collettive interiorizzate che necessita sempre di nuove e più mirate acquisizioni per poter comprendere e valorizzare il presente. Tra ciò che ci precede e l’oggi esiste una relazione alla quale concedere una valenza. Per il mito tale continuità viene resa esplicita attraverso il tentativo costante di dare una forma a ciò che appare caotico e senza senso, così da poter affermare il significato più profondo dell’individualità umana. Perseo è l’eroe che incarna il nostro bisogno di celebrare la vita attraverso l’avvicinamento dell’inconsueto, in questa metafora riconosciamo un sentimento universale di forza e pienezza straordinariamente avvincente. Difatti, solo nel cambiamento l’uomo respira la propria libertà, dando spazio all’energia creatrice e sviluppando, nel contempo, una capacità riparativa fondamentale per attraversare l’esistenza. Letture correlate:
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