Il mitico serpente a due teste Anfesibena ci suggerisce un aspetto molto rilevante sul piano del funzionamento umano: come lavorare la polarità affinché risulti dialogante. A questa possibilità daremo il nome di DECLINAZIONE poiché questo assetto implica tanto una distanza quanto una ridistribuzione. Riportiamoci ad Anfesibena, o Anfisbena, ed al Mito per un momento. Serpente assai velenoso, dotato di una testa in ciascuna delle due estremità (ἀμφικάρηνος, Nicandro, Theriaka’,V.373), che può incedere nei due sensi, all'occorrenza, e non ha veramente una coda. Così Eliano (Nat. an. 9, 23) descrive l'Anfisbena, contrapponendola ad altri animali "favolosi" come l'Idra o la Chimera di Licia, e dunque suggerendo di credere alla sua reale esistenza. Il dotto romano spiega, sempre seguendo Nicandro di Colofone (II sec. a. C., autore dei Theriakà), che la pelle dell'Anfisbena, avvolta attorno ad un bastone, ha la proprietà di scacciare gli animali (compresi i serpenti) che uccidono senza mordere; trattasi anche di animale piccolo e lento, di colore terreo, punteggiato da macchioline, e debole di vista; la pelle di questo serpente, disseccata e avvolta intorno ad un bastone, viene usata dai boscaioli contro i lividi e il torpore causato dal gelo. Durante tutto il Medioevo e oltre, la sua immagine avrà una vasta fortuna come motivo ornamentale e simbolico. Etimologia da ἀμφισ- βάτης, "che incede da entrambi i lati". Viene citata anche da Dante nel canto 24 dell'Inferno, da Borges nel suo Manuale di zoologia fantastica, da Francesco Guccini nel suo album “L’ultima Thule”. L’Anfisbena (var. anfesibena) è anche l’Uroboro, il mitico serpente che si morde la coda e che rappresenta l’universo, la rigenerazione, la rinascita, l’unità, l’eternità, la perfezione, la resurrezione. Il Mito sembra suggerire che ogni rinascita è preceduta da una polarità integrata per cui ci riporta alla realtà di una polarità come elemento costitutivo per l’Anima. L’araldica, studio degli stemmi, sembra suggerire un’ipotesi simile. La rappresentazione araldica ordinaria dell'Anfesibena, detta più correntemente "Anfisbena", è quella di un serpente disposto a forma di 5 o di S, inanellato e con una seconda testa al termine della coda. Le due teste gli permettono di procedere sia in avanti che all'indietro senza differenza. Quando una testa dorme, l'altra resta sveglia in guardia. Le due teste sono abitualmente di smalto, oro o argento quella superiore, e nero quella inferiore. Questa rappresentazione simboleggia la vittoria del bene sul male. Nella sua forma più completa l'Anfisbena mostra la parte luminosa alata e quella oscura membrata, cioè con un paio di zampe scagliose. Quando è rappresentata con le due teste unite, queste non sono differenziate e, dunque, lo smalto non ha rilevanza. L'Anfisbena può essere blasonata sia con gli attributi dei carnivori sia con quelli degli uccelli. Presso i neoplatonici di Alessandria i due principi, buono e malvagio, che si disputano l’impero del mondo, quello delle anime, si riflettono nell’Uroboro che si avvolge su se stesso – letteralmente: "che si divora la coda". Fra gli altri significati che esprime, l’Uroboro è il simbolo anche del tempo che si riproduce perpetuamente. Il serpente, animale eterno a causa della sua facoltà di mutare la propria pelle in primavera, veniva accostato alla vegetazione che muore e che rinasce, tanto più che era convinzione diffusa che esso si nutrisse di terra. Esso, d’altra parte, soprattutto sotto forma di lucertola, ha anche la possibilità di ritrovare la coda perduta. Si credeva perciò che, ripiegandosi su se stesso e risucchiando la propria coda, l’Uroboro ritrovasse le forze che gli garantivano la vita. Proprio nella coda si sarebbe trovato un principio vitale che, assorbito con tale sistema, gli avrebbe permesso di rifare se stesso ex novo. È questo il senso degli Uroboro che si vedono su certi manoscritti di alchimia conservati nel tesoro di San Marco a Venezia: non per niente la città lagunare era in costante contatto commerciale con l’Egitto. [...] Le vediamo comparire, rispettivamente, come Anfisbena nella zona mesopotamica, come Uroboro nella zona egiziana [...]" Osservandola bene Anfesibena riporta tanto alla lettera S quanto al numero 5; riguardo alla lettera, una citazione linguistica chiarisce bene il significato. In latino graficamente S – un serpente a mo' di spirale. Essa fornisce l'idea della doppia elica che sembra si completa a vicenda. È anche il SIGMA dell’alfabeto greco che ha per significato simbolico il tema della variazione. La verità non è venuta nuda nel mondo, ma è venuta in simboli ed immagini. Non la si può afferrare in altro modo”. Questo concetto esprime con chiarezza il senso della nostra ricerca. La lettera S viene associata in diverse rappresentazioni antiche al numero 5: [...] il numero 5, come tutti i numeri dispari genera attività, nella forma positiva di evoluzione, di movimento progressivo di elevazione, oppure in quella negativa di involuzione, di discesa e di degradazione. Il quinario collega l’alto con il basso e può far tendere verso uno di questi poli. Il suo valore positivo o negativo è ben rappresentato dalla figura geometrica del Pentagramma. Quando il Pentagramma è dritto si identifica con l’uomo (stella a cinque punte), nella sua valenza positiva; quando invece è capovolto assume un valore negativo, attributo delle forze del male. Questi aspetti ci sottolineano come il mitico serpente a due teste richiami alcuni concetti fondamentali:
Il comportamento umano non è basato sul funzionamento fisiologico o intrapsichico degli individui, e nemmeno su ciò che accade nell’ambiente, ma sull’incontro dell’individuo che ha dei bisogni e che si muove nell’ambiente secondo una rappresentazione mentale o mappa di questo e che va a costituire il campo, infatti: "... non è l’ambiente che decide a cosa partecipare, piuttosto è l’organismo basato sulla sua esperienza che crea una Gestalt (da una forma all’esperienza).". Analizziamo dunque l’andamento di tale processo per capire l’importanza della declinazione. Quando entriamo in contatto con qualcosa, da uno sfondo emerge una figura che cattura la nostra attenzione (ricordate gli esempi delle immagini artistiche? QUI!) in maniera consapevole, sulla base dei miei bisogni o interessi. L’emergere di questa figura/bisogno crea una dialettica con uno sfondo, cioè con ciò a cui io lo posso riferire dentro di me, come bagaglio esperenziale, a cui attingo. Nel fare questo, opero una traduzione che mi costringe ad una flessibilizzazione del mio carattere, altrimenti non riuscirei ad integrare il processo dentro di me costruendo una nuova acquisizione. Ho definito questo processo, declinazione delle polarità, poiché il maggior problema per l’essere umano non è rappresentato dall’avere a che fare con la sua dualità quanto piuttosto dal sapersi muovere dentro di essa. Ciò che ho inteso descrivere è che questo movimento può risultare difficoltoso ma è assolutamente intenzionale, lo è sia in termini di presente, quanto di esperienze passate. Questo movimento è rappresentato esclusivamente da una percezione che diviene significato a processo concluso, ecco perché risulta importante avere fiducia in ciò che si prova qualunque cosa si provi. Se ciò che proviamo viene esplorato senza connetterlo ad un giudizio porterà ad una nuova forma di conoscenza di noi. La visione non è ottimistica di per se, piuttosto riconosce la natura di un processo biologico che tende a trovare sempre nuovi adattamenti al fine di rimanere in equilibrio. Inoltre risulta essere un processo di adattamento creativo con sue peculiarità: La creatività è il carattere distintivo della nostra specie e ha come fine ultimo la comprensione di noi stessi: che cosa siamo, come siamo diventati così, e quale destino, se esiste, determinerà le tappe future della nostra traiettoria storica. Possiamo dunque concludere che qualunque cosa accada, qualsiasi esperienza abbia fatto una persona, il processo stesso del vivere tenderà a una direzione positiva, e ... [...] una persona sicura non si rende mai conto di esserlo, ma sente sempre di correre dei rischi ai quali sarà adeguata. [...] Questo processo per me è l’immagine del mare che con le sue onde, se non ci opponiamo ad esse, ci porta naturalmente a riva. Mi fa venire in mente il modo meraviglioso con cui i greci si salutano ancora oggi dopo essersi incontrati: να πας το καλò , vai nel bene. L’Anfesibena con i suoi richiami al passato mitico sembra dirci che il modo di procedere della natura umana è nel movimento, lo è per il passato, il presente e il futuro, i quali riuniti nel ciclo del tempo creano il senso della vita.
2 Commenti
Irma
19/2/2021 07:30:02
Estoy muy de acuerdo con la visión dialéctica que se le da al mito de la Anfesibena, realmente la conducta del ser humano trata de una construcción perpetua que dota de sentido a la propia existencia. Sin embargo, hay algo que no me ha quedado del todo claro, y es el que: “La conducta humana no se basa en el funcionamiento fisiológico o intrapsíquico de los individuos, ni en lo que sucede en el entorno, sino en el encuentro del individuo que tiene necesidades y que se mueve en el entorno según una representación o mapa mental de este.” Y, a riesgo de malentender esto porque estoy leyendo la traducción por defecto que hace google, me parece un poco extraño pensar en algo que determine la conducta más allá de los procesos fisiológicos, intrapsíquicos y ambientales del individuo, ¿es que acaso estamos hablando sobre que es determinada por algo más allá de las causales ya mencionadas? Y, si es así, ¿entonces cuáles son esas que la determinan?
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Anna Pancallo
22/2/2021 23:43:26
IT
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