Quando il grande Iósif Aleksándrovich Brodsky dal podio di Stoccolma, in quel lontano 1987, nella lettura del suo discorso per l'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura, testo che ha assunto un significato altamente simbolico nel definire questo poeta, affermò che "l’estetica è la madre dell’etica", tutti avvertirono un fremito benefico che scosse tutto il corpo. Così, almeno, riportarono i commentatori presenti. Ma cosa avranno precisamente capito in quell'istante i presenti, e i posteri, di tale affermazione atomica? Cosa c'è di vero, di contraddittorio o manipolato in tale editto? E poi, che solco traccia nelle nostre menti tale frase e quale spunto di riflessione ci fornisce se la vogliamo analizzare e se abbiamo il coraggio di andare oltre l'avvincente narrazione dell'artista? Avranno capito ciò che il gioco magico dello scrittore nell'uso delle parole avrà fatto passare nelle loro menti, eludendo un ragionamento filosofico un po' più profondo e contemporaneo, se vogliamo crudamente logico, ma pericoloso per qualsiasi artista. Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché l’estetica è la madre dell’etica. Le categorie di 'buono' e 'cattivo' sono – in primo luogo e soprattutto – categorie estetiche che precedono le categorie del 'bene' e del 'male'. In etica non tutto è permesso, proprio perché non tutto è permesso in estetica; perché il numero dei colori nello spettro solare è limitato. Il bambinello che piange e respinge la persona estranea che, al contrario, cerca di accarezzarlo, agisce istintivamente e compie una scelta estetica, non morale. Brodski fa una evidente speculazione artistica, essendo lui un "giocoliere" della parola, il grande poeta. Poeta ma uomo, e in quanto tale vittima della propria esperienza estetica, quindi etica e quindi morale, di russo e statunitense, avendo conosciuto l'esilio dalla sua madre patria l'Unione Sovietica, e avendo provato sulla propria anima la polarità di due mondi estremamente distanti tra loro. Il poeta utilizza la parola estetica facendola saltare al di qua e al di là della sottile linea del suo significato, che normalmente ci spinge verso il concetto del bello visibile più che del visibile in sé. Ma dopo questo primo momento potente cade il poeta nel gioco delle sue illusioni e la parola estetica, in quanto bello quindi buono, quindi bene, diviene la forma espressiva principale per salvare o salvarsi, soprattutto nell'elogio della sua stessa arte, come vedremo. Ogni nuova realtà estetica rende ancora più privata l’esperienza individuale; e questo tipo di privatezza, che assume a volte la forma del gusto (letterario o di altro genere) può già di per sé costituire, se non una garanzia, almeno un mezzo di difesa contro l’asservimento. Infatti un uomo che ha gusto, e in particolare gusto letterario, è più refrattario ai ritornelli e agli incantesimi ritmici propri della demagogia politica in tutte le sue versioni. Il punto non è tanto che la virtù non costituisce una garanzia per la creazione di un capolavoro: è che il male – e specialmente il male politico – è sempre un cattivo stilista. Quanto più ricca è l’esperienza estetica di un individuo, quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero – anche se non necessariamente più felice – sarà lui stesso. Ma cosa sarà il gusto e come si forma in una persona? Esiste un gusto sbagliato e uno corretto? E l'esperienza estetica dovrebbe essere ricca nella bellezza o l'esperienza in generale è sempre una esperienza estetica in sé? Siamo sicuri che il male, soprattutto quello politico, sia sempre un cattivo stilista? Se accogliessimo con libertà ideologica e morale le espressioni di Joseph Brodsky vedremmo come le contraddizioni rispetto a cosa volesse dire il poeta utilizzando la parola estetica sono palesi. Sta parlando il poeta della bellezza estetica o di una forma estetica, di qualsiasi estetica? È la bellezza, e quindi la bellezza estetica, che è la madre dell'etica o è l'estetica in sé, ossia l'esperienza del visibile, di una tal cosa, di un contesto, di un paesaggio umano, siano essi belli o brutti, a definire un'etica? Nel prosieguo del suo discorso il poeta propende per una estetica "bella" che determina il bello, o buona che determina il bene, e non tanto per una estetica in sé, come sembra dalla sua frase ad effetto: "l’estetica è la madre dell’etica". La differenza è sostanziale poiché la bellezza, il gusto e una tal estetica bella, buona, giusta, presuppongono una forma mentis e un pensiero giudicante, morale e moralizzato, in grado di essere poi la madre ispirante di una certa etica del bene, del buono, del giusto. Così la intende il poeta che in questo caso ci sembra vicino, almeno per assonanza spirituale, al pensatore Hegel, autore di una delle linee di pensiero più profonde e complesse della tradizione occidentale. Quel Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831), filosofo e teologo tedesco, considerato il rappresentante più significativo dell'idealismo tedesco; la visione del mondo che riconduce totalmente l'essere al pensiero, negando esistenza autonoma alla realtà, ritenuta il riflesso di un'attività interna al soggetto. Autonomia della realtà che, invece, troviamo risplendente nella frase iniziale nella prima parte del discorso di Brodski - "l’estetica è la madre dell’etica" - e che perdiamo nel prosieguo della lettura del suo testo a favore di un pensiero idealista appunto, dove si apprende che dovrebbe essere un'estetica del bello, di un certo gusto, che implica già una visione morale delle cose, a modellare un'etica del bello, ossia del bene, del buono, del positivo. Proprio in questo senso – in senso applicato piuttosto che platonico – dobbiamo intendere l’osservazione di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo, o l’affermazione di Matthew Arnold, che la poesia ci salverà. Probabilmente è troppo tardi per salvare il mondo, ma per l’individuo singolo rimane sempre una possibilità. Nell'idealismo è generalmente implicita una concezione etica fortemente rigorosa e, in un senso più ampio, il termine è stato utilizzato in riferimento anche a diversi altri sistemi filosofici che privilegiano la dimensione ideale rispetto a quella materiale, affermando così che l'unico vero carattere della realtà sia di ordine spirituale. Nell’uomo l’istinto estetico si sviluppa con una certa rapidità, poiché una persona, anche se non si rende ben conto di quello che è e di quello che le è realmente necessario, sa istintivamente quello che non le piace e quello che non le si addice. In senso antropologico – ripeto – l’essere umano è una creatura estetica prima che etica. L’arte perciò, e in particolare la letteratura, non è un sottoprodotto dell’evoluzione della nostra specie, bensì proprio il contrario. Se ciò che ci distingue dagli altri rappresentanti del regno animale è la parola, allora la letteratura – e in particolare la poesia , essendo questa la forma più alta dell’espressione letteraria – è, per dire le cose fino in fondo, la meta della nostra specie. Sul principio che l’identificazione della poesia come sfera privilegiata dell’arte possa cogliere il vero, o se l'arte possa essere lo specchio vitale dell'esistente, ritorneremo più avanti, per ora ricordiamo la prospettiva storicistica del pensiero hegeliano, ossia il riconoscimento del limite intrinseco delle manifestazioni artistiche nello sviluppo delle società umane - in questo caso in contraddizione con Brodwski - che discute il modo in cui "l’arte è progressivamente andata oltre se stessa" (Hegel). Il cheeseburgers del presidente e le donne obese della Mauritania Quale sarà la profondità etica, quindi il valore dell'esperienza estetica vissuta e proposta come immagine di massa, di quel presidente statunitense che fu immortalato a mangiare cheeseburgers, estremamente felice, in vari fastfood degli USA? Il presidente Obama e i cheeseburger: una storia d'amore Mi aveva colpito profondamente quell'immagine di Obama in compagnia dell'allora vicepresidente Joe Biden - attuale candidato per i democratici, che con Donald Trump si contenderà le elezioni presidenziali Usa 2020 - che mangiava a gran bocconi un cheeseburgers in un fastfood americano, durante una campagna di investimenti infrastrutturali che l'amministrazione statunitense promuoveva nel 2014. Percepivo quell'immagine non solo come un'icona populista da dar in pasto agli elettori, al popolo delle classi meno abbienti o ai lavoratori delle fabbriche, la percepivo soprattutto come un modo d'essere profondo, una forma mentis organica di quel politico. Appresi poi che il mio sentire veniva confermato dagli articoli apparsi nella stampa di tutto il mondo: ad Obama piacciono veramente i cheeseburgers e tutto ciò che rappresentano profondamente nella cultura americana. Wataburgher e Mc Donalds sono simboli estetici, morali e moralizzanti. L'esempio di gente che si è fatta da sola, dal basso, che ha scalato il sogno americano, simboli d'uno stile di vita "on the road", libero, semplice, accessibile; simboli di un modo d'essere, e Obama è uno di noi, noi siamo Obama. Spingendoci un po' più in la, Trump è uno di noi e noi siamo Trump. Obama ha un aspetto fisicamente piacevole e può permettersi quello che considera un piacere o un eccesso, forse non propio una consuetudine, poiché non è obbligato a mangiare tutti i giorni alimenti economici e di basso profilo nutrizionale. Avere migliori possibilità economiche, oltre a farti stare in salute, può permettere di avere un corpo più armonioso, più magro, più potente anche in senso estetico. Invece, un gran numero di americani soffrono di obesità, di diabete, di problemi cardiovascolari e non possono spendere montagne di soldi nella sanità privata o in assicurazioni che potrebbero garantire loro l'accesso alle cure mediche. Il corpo e la sua estetica, sia fisica che adornata, sono il mezzo per la rappresentazione idale di una certa classe sociale, di uno status, che può essere riportato quindi ad un valore esistenziale, a un valore etico: il bello del corpo è simbolo di potere, ricchezza e benessere. Non è uguale il senso del bello nelle zone rurali della Mauritania, del Sahara Occidentale e del sud del Marocco dove, ancora oggi, le donne grasse sono considerate le più belle. La pratica del leblouh, di origine arabo-berbera, consiste nel far mangiare enormi quantità di cibo, se necessario a forza, alle bambine e alle ragazze tra i 5 e i 19 anni, spesso prima del matrimonio, in quanto l’obesità è tradizionalmente considerata segno di bellezza e prosperità. In quella parte del mondo essere grassi significa essere in salute e ricchi. Una ragazza magra non solo rischia di restare senza marito, ma è anche una vergogna per la famiglia specialmente nelle zone rurali più remote. Le giovani ragazze che vivono nelle città si oppongono a questa pratica tradizionale sostenendo che l’epoca delle tende e della vita nel deserto è passata. Secondo loro, nell’era della globalizzazione, la pratica del leblouh ha perso di significato. Molte donne sono anche preoccupate dalle conseguenze dell’obesità per la loro salute psico-fisica e sociale. L’ingrassamento si accompagna a matrimoni precoci e le famiglie, a volte, pagano ingrassatrici professioniste per assicurarsi che il peso delle figlie aumenti rapidamente. Faccio mangiare loro molti datteri, moltissimo couscous e altri cibi grassi. Le faccio mangiare, mangiare e mangiare e poi bere tantissima acqua per tutta la mattina e poi possono riposarsi. Si ricomincia di pomeriggio. Facciamo così tre volte al giorno, mattina pomeriggio e sera. A volte le bambine piangono e urlano ma si abituano alla fine. Arrivano a pesare tra i 60 e i 100 chili. Ho visto partorire ragazze di 10 anni. Dieci anni! Quando sono grasse e belle, possono servire bene i loro mariti. Tuttavia, l'effetto della globalizzazione e dell'omologazione fa assumere altri valori, e dopo una prima fase di reazione sociale del "magro è bello e buono", contro le pratiche tradizionali come il leblouh, si è arrivati senza proteste ad accettare l'obesità passiva, non forzata da una storica imposizione culturale che un senso lo aveva, ma come conseguenza della nuova cultura imperante dell'alimentazione fastfood, a basso costo e con uno scarso profilo nutritivo. Così, l'estetica imposta dalla globalizzazione sarà la madre dei nuovi obesi anche in quella parte del mondo. Ma per ritornare all'esempio del "Cheeseburgers del Presidente", cosa produce l'alimentazione fastfood a braccetto con la sua spinta estetica in quella rappresentazione? Producono una condizione dove l'immagine di felicità proposta dal presidente è ciò che in realtà non si potrà mai raggiungere, un sogno, un ideale lontano dalle masse. Un messaggio che separa e distingue più che avvicinare il potere alla plebe. Mangiare cheesburger non ti farà diventare più magro, più bello e nemmeno più ricco. Quella fotografia, in un modo circolare, darà vita ad un immaginario possibile ma non probabile, di contenuti, di corpi, di una determinata estetica e alla fine della sua amica etica. Tutto ciò in un modo assolutamente inconsapevole, in un certo senso involontario, produrrà una società sempre più obesa e sempre più malata. L'estetica del potere è quella a cui si aspira e non coincide mai con quella dei sudditi. Ecco come l'estetica del corpo dia forma ad una certa etica. Quale? Il male politico e l'omologazione come destino Brodski afferma che il male politico è un cattivo stilista, quindi che il male politico si può rappresentare solo attraverso il brutto. Sarà vero? Se riusciamo a dare giusto valore alle cose, scollegandole dai risultati umani reali, o disumani, anche rispetto alle peggiori ideologie politiche - Brodski pensava all'Unione Sovietca - possiamo affermare che il nazismo, per fare un esempio estremo, si rappresentava con una estetica nei simboli - anche quelli del racconto mitico manipolato - nelle uniformi, nella comunicazione e nella propaganda, nei film (ricordiamo lo straordinario "Olympia" di Leni Riefenstahl che celebra le olimpiadi del '36 a Berlino), nell'architettura, in un modo esteticamente bello, preciso ed efficace. Un estetica potente, simbolo di grandezza ed efficienza, fu la madre di una nuova etica perversa e mostruosa. [...] questi Dei ripuliti dai loro eccessi presentavano una carica mitica di indistruttibilità che ha minato l’educazione alla polarità delle menti. Così ci sembrano dei giochi solo ideali le posizioni di artisti, poeti e scrittori, che affermano la propensione della bellezza estetica a formare, in quanto funzione positiva, i giusti principi etici. Ma se lasciamo stare per un momento i concetti morali di belo e brutto, male e bene, giusto e sbagliato, positivo e negativo e diamo valore alla questione in discussione nel senso di un'estetica in sé, allora la frase di Brodski assume quella potenza che diede grande forza al suo discorso. "L'estetica in SÉ è la madre dell'etica!", ecco la frase con una piccola aggiunta fondamentale. Tutto ciò che viviamo, che si presenta ai nostri occhi, è forma di ciò che siamo profondamente e determina, riformulandole involontariamente, le nostre esistenze - come pensiamo, ciò che facciamo, quello che ci succede, in modo indipendente dalla forma o da una definizione di bene e male preconcetta - spinti dalla nostra parte incosciente, dalla nostra zona d'ombra, disposta a tutto per conservarsi in un vortice d'illusione che solo una certa educazione a se stessi può farci cogliere nel suo significato. Quindi esperienza estetica non tanto come esperienza del bello, quanto come del vissuto in sé che forma e produce un condizionamento della nostra psiche e della nostra etica, dell'idea del mondo specifico di ognuno che, soprattutto nell'"epoca della massima espressione di potenza della tecnica" (Severino), l'epoca che viviamo, prende la forma di un condizionamento totalizzante e naturalmente omologante. L'omologazione non è un fatto positivo o negativo, non è bene o male, l'omologazione è un dato di realtà, un fatto universale, naturale, dove molti singoli danno forma a qualcosa di più grande, di più omogeneo, nella coesione di parti piccole, infinitesimali, diverse tra loro. Queste piccolissime parti, uguali a se stesse, danno forma ai nostri corpi, tutti uguali nelle loro innumerevoli e minuscole diversità. 158 Pier Paolo Pasolini e gli oggetti etici Parlando d'estetica come fatto sociale ci viene in aiuto Pasolini che ebbe la capacità di leggere ed interpretare la società italiana negli anni '70 e attraverso tale interpretazione formulare tesi che sono oggi ancora attuali. L'intellettuale colse il cambiamento epocale, che non tutti ancora vedevano, quando il potere del consumismo impose nuovi valori, conseguendo un’omologazione di tutte le classi sociali all’unico modello di vita imposto dalla società dei consumi, che determinò la morte dei valori specifici che caratterizzavano le realtà culturali locali d’Italia: i valori del consumatore divennero l’unico modo d'essere. Ciò che fu molto chiaro a Pasolini è che chi produce non produce solo merce ma anche rapporti sociali e in tal senso gli oggetti rivestono un carattere fortemente pedagogico, sono gli educatori più potenti e invasivi. Gli oggetti s'impongono attraverso la loro estetica e spingono alla loro etica. Pasolini sostenne che le immagini degli oggetti sono segni linguistici che comunicano e che acquistano potenza pedagogica poiché con essi non c’è alcun dialogo e alcuna possibilità di contraddirli. La loro comunicazione non si sovrappone ad altri ricordi. Il loro linguaggio è così autoritario da dare forma immaginifica alle radici d'ognuno e, di conseguenza, l'idea di come si dovrà concepire la propria vita. E tutto ciò succede senza una vera consapevolezza degli individui, soprattutto nei giovanissimi. Quest’educazione dagli oggetti, ma anche dai fenomeni materiali della condizione sociale a cui si appartiene, modellano il corpo, la mente e l'etica delle persone. Con la modernizzazione la produzione dell’oggetto aumenta la quantità e il tipo di bene prodotto, che è fortemente caratterizzato dal suo essere superfluo e sempre più attraente, così da ampliare il propio pubblico di fruitori o sognatori. Ora tutti possono fare uso dei medesimi oggetti a prescindere dalla propria condizione sociale, ma non tutti posso accedere agli oggetti considerati più belli. Pasolini aveva parlato del potere della televisione e di come la stessa amplifichi il concetto di potenza pedagogica, di come essa sia un oggetto dotato di una comunicazione che va oltre la semplice espressione dell’oggetto in se, esercitando una maggiore influenza nel telespettatore rispetto alla semplice cosa. Oggi il tema della potenza pedagogica e di come l'estetica possa essere quindi la madre dell'etica, può e deve offrire nuovi spunti di riflessione anche nei confronti dei nuovi oggetti, come gli smartphone, e del potere che le cose acquisiranno con l'utilizzo dello IOT (internet delle cose) come divulgatori altamente efficaci di nuove forme culturali e di nuovi modelli di vita. Lasciamo a voi stabilire se gli oggetti del consumismo siano l'espressione del male, come credeva Pasolini, di un benessere più diffuso come credono altri, o qualcosa di incontrollabile, una conseguenza naturale dell'esistere, un passaggio evolutivo sospinti dalla naturale omologazione. Quello che vorremmo evidenziare è come, anche se nel ragionamento dell'esimio poeta, pensatore, regista, ci sia sicuramente una volontà deterministica di definire la questione dando di fatto un giudizio morale, l'estetica sia considerata nel suo discorso sociale un principio in sé, ne bello ne brutto, e in quanto tale assolutamente formativo, o automaticamente pedagogico. Possiamo così facilmente intuire come la frase di Fyodor Dostoevsky "il bello ci salverà", citata da Brodski nel suo discorso per il premio Nobel, se collocata nel contesto del ragionamento pasoliniano rispetto al consumismo, non sia soddisfacente. Sarebbe più giusto affermare che "il bello non ci salverà dal consumismo e dalla sua etica". Riuscire a stare nella tensione tra brutto e bello ci salverà L’arte ha affascinato i pensatori d'ogni epoca che hanno sempre cercato di comprendere quanto la stessa possa influenzare il mondo o possa essere un paradigma per spiegare l'esistente. Come molti altri filosofi anche Friedrich Nietzsche si domandò come l’arte potesse interagire con la vita dell’uomo e quale fosse l'esempio portato all'umanità. "La nascita della tragedia dello spirito della musica" (1872) è una delle prime opere del filosofo. Questo testo risulta influenzato dagli studi di filologia classica che Nietzsche stava affrontando in quel momento, motivo per cui il tema centrale del libro è sospinto dall'analisi dei concetti di apollineo e dionisiaco, i due impulsi vitali dello spirito e dell’arte greca. In questo testo, dove la filosofia di Nietzsche doveva ancora svilupparsi completamente, il pensatore esprime per la prima volta la sua concezione estetica, che poi riprenderà nell’ultima fase della sua produzione nel potente e famoso "Così parlò Zarathustra" (1883-1885), dove il filosofo riafferma la tesi che l’arte ricopre un compito essenziale in quanto possiede una forza vitale straordinaria, una forza che impone la spinta verso nuove forme d'etica. In contrapposizione con la filologia dominante della sua epoca e con l’immagine neoclassica dell’Ellade, come mondo dell’equilibrio e della serenità, in sostanza come regno dell’apollineo, il filosofo tedesco si concentra sul carattere originariamente dionisiaco della sensibilità greca, volta a trovare in ogni dove il dramma della vita, della morte e degli aspetti orribili dell’essere. L’apollineo, come suggerisce il nome, è legato ad Apollo, dio dell’equilibrio e dell’armonia. Al contrario il dionisiaco, richiama Dioniso, dio dell’estasi e dell’ebbrezza. Secondo Nietzsche nell’età della tragedia attica (di Sofocle e di Eschilo), questa coppia di opposti si armonizza tra loro ed è completamente bilanciata, creando la potenza della "vera arte". Resa viva dallo spirito dionisiaco, la grande tragedia manifesta un perfetto connubio attraverso la coesistenza armoniosa di apollineo e dionisiaco. Nell’arte successiva, invece, il miracolo metafisico della civiltà ellenica viene condizionato dal prevalere schiacciante dell’apollineo sul dionisiaco. Questo processo di decadenza si esplicita nella tragedia di Euripide che porta l’uomo di tutti i giorni sulla scena. Secondo Nietzsche la decadenza della tragedia, con lo sbilanciamento verso l'apollineo, mostra a sua volta il declino della civiltà occidentale nella sua interezza e si concretizza nella contrapposizione tra spirito socratico e quello dionisiaco, ovvero tra uomo teoretico e uomo tragico. Ricapitolando, secondo il grande pensatore tedesco, tutto ciò che ci circonda è una sorta di gioco estetico e tragico, fondato su un continuo scontro tra gli opposti primordiali, ne segue che l’arte che sa cogliere e comprendere veramente il mondo in tal senso può rappresentarlo nelle sue istanze più profonde. Nel fenomeno tragico egli (Nietzsche) scorge la vera natura della realtà; il tema estetico raggiunge per lui il rango di principio ontologico fondamentale; l’arte, la poesia tragica diventerà per lui la chiave che spiega l’essenza del mondo. L’arte diventa l’organon della filosofia, viene considerata la più importante via effettiva di accesso all’essere, la comprensione originaria, alla quale segue il concetto. Nietzsche formula i suoi giudizi fondamentali sull’essere con le categorie dell’estetica. […] La chiama metafisica dell’artista. Il fenomeno dell’arte viene posto al centro; con esso e a partire da esso viene spiegato il mondo. Così l’arte ci mette in sintonia con la vita o meglio, è la manifestazione più alta dell’esistenza. Con l’arte si ripresenta anche la figura dell’artista come colui che incarna pienamente l’ideale dell’Übermensch (l'Oltreuomo), che torna ad essere estimatore e seguace del dio Dioniso. L’Oltreuomo è colui che danza liberamente e con leggiadria, l’uomo che sa godere della terra, del corpo, della vita e delle sue gioie senza farsi frenare dal senso di colpa e dalla voce della coscienza. Nell’arte, esperienza estetica per eccellenza, l’essenza, che nel mondo viene oscurata e confusa, viene alla luce in maniera più forte. L'artista, o l'eroe come nei miti e nelle tragedie greche, sono tali solo quando riescono, grazie ad un allenamento allo sguardo di sé, delle proprie emozioni, a cogliere, a decifrare, ad elaborare, a vivere il proprio lato dionisiaco, potremmo dire mostruoso, meno buono e tragico, che spesso la nostra psiche rifiuta e nasconde nell'ombra della nostra anima. A cosa serve la malattia che tutti prima o poi siamo chiamati ad attraversare? Medusa ci chiede di interrogarci sull’allenarci al contatto con il disagio divenendo più forti e più abili, piuttosto che valutare che saremo così fortunati da non dover attraversare nulla. L’impreparazione verso il proprio mondo emotivo permette al dolore di stagnare dentro l’anima. Per verificare quanto nella modernità la vita si caratterizza come scacco, privazione, dolore... diceva Nietzsche che per avere una grande salute, ossia per essere creativi, bisogna prima diventare maestri in malattia, fisica o mentale non importa. L'esperienza estetica del dionisiaco, del brutto, del tragico, del mostruoso è la fonte che ispira l'etica e la sua evoluzione, l'assuefazione del bello ispira la decadenza. L'equilibrio e la ciclicità delle due cose rappresentano la vita dell'eroe che sa rigenerarsi, l'artista della propria vita. L'elogio del mostruoso nelle cose inanimate Colui che sa trarre beneficio dall'esperienza "mostruosa" come avviene per gli eroi nei miti greci, soprattutto l'esperienza del brutto dentro di se, e non si fa bloccare da essa cercando forme di approccio che possano nasconderla per non dover approcciare il disagio conseguente, è colui che ha riscoperto l'animo rigenerante degli antichi greci cioè, una proposta verso un nuovo percorso ad una trasformazione di se. La figura del mostro rappresenta la paura dell’ignoto e di come questa vada considerata e rispettata, come pure l’importanza di nutrire il cambiamento attraverso ciò che in generale spaventa e crea timore, in questo modo la psiche può liberare energie insolite allo scopo di nutrire la propria forza vitale. Incontrare ciò che dovrebbe essere scartato secondo la logica di una dimensione sociale che predica solo efficienza, successo e bellezza estetica attraverso le cose inanimate, significa dare una forma nuova alla nostra visione estetica. Ritornando ai greci antichi, e al loro concetto di mostro, è possibile dare sfogo ad una visione nuova e diversa di se, generare altre opportunità e modificare il nostro paradigma etico. Sono chiamati mostri, apparizioni, portenti e prodigi, le cose che mostrano, che fanno vedere, pronosticano, predicono. Il 'mostro' è dunque una figura evocativa del vissuto che anima la psiche. Dare al brutto interiore nuove valenze regolamenta in maniera sottile e creativa la legge dei contrasti interni portando a nuove e stupefacenti acquisizioni, e a un incessante rinnovamento della psiche. Non di meno risulta necessario dare lo stesso valore al "brutto" che impera fuori di noi, nell'altro e nelle cose, che come immagini ci condizionano nel giudizio, in una presa di posizione morale, che da luogo ad una volontà che è, molto spesso, solamente esteticamente bella e che ci condiziona: la superficie delle cose. Per dare una visione più ampia di ciò che qui si afferma, è interessante ritornare ancora a Brodski e alle sue disquisizioni e suggestioni sul poeta Thomas Hardy, dove ci spiega come la poesia dello stesso riesca a raggiungere, grazie alla sua persistenza, come per altro in Pasolini, il traguardo di ogni conoscenza: la materia inanimata. Gli esseri umani hanno intrapreso questa indagine da molto tempo, sospettando, giustamente, che condividiamo la nostra struttura cellulare con la materia, e che se c'è una verità sul mondo, deve essere non umana. Hardy ha inseguito l'inanimato per inseguire la voce dell'inanimato; le sue poesie spesso suonano come se la materia avesse acquisito il dono della parola, come un aspetto in più del suo travestimento umano. La lingua è la prima informazione che l'inanimato dà di sé all'animato. In parole povere: il linguaggio è un aspetto diluito della materia. Potremmo dire che Hardy era solito fissarsi su cose non umane, da qui il suo "occhio" per i dettagli naturali e le sue numerose meditazioni funebri. Nella sua poesia aveva dato sfogo alle leggi che governano la materia; le affinità tra l'umano e il non-umano, che prendono forma attraverso le immagini che ci costruiamo del mondo esterno. Espressioni inanimate che plasmano l'inanimato dentro di noi, immagini che si appropriano della nostra psiche. Le cose inanimate appartengono all'esperienza estetica, visiva, tattile, odorosa e pure sonora. Ciò che ci resta, anche grazie ai nostri sensi percepiti come più corporei, è sempre e comunque un'immagine in forma di ricordo. L'album dei ricordi nascosto nel cassetto della nostra anima contempla anche quelle immagini mostruose, spesso di morte, che è utile riscoprire con uno sguardo diverso. L'estetica delle cose inanimate, delle immagini che accudiamo, è la madre dell'etica. La rilettura o sostituzione di tali immagini un vortice di nuove opportunità. (Testo a cura di Nicola Giuliato)
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