Muoversi all'interno dello sguardo interiore implica andare fuori da letture generalizzate che molto spesso non contengono verità psicologiche adeguate al nostro reale modo di funzionare. Ad esempio, essere ottimisti o pessimisti, aperti all'altro o sostare a lungo nelle proprie diffidenze, più che riguardare genericamente il nostro modo di essere, risulta legato a ciò che abbiamo sperimentato nei rapporti con le figure parentali. Si tende a riprodurre verso se stessi, il medesimo vissuto dei rapporti creati con le figure genitoriali e, tale abitudine mentale, essendosi insediata in un età precoce, plasma i nostri scambi con gli altri, soprattutto quelli di natura affettiva. Riconoscendo questa impostazione psichica è possibile trasformarla in modo da riuscire a gestirla diversamente. Per muoversi in tale direzione è necessario accettare che: [..] la metamorfosi della coscienza e la nascita di nuovi simboli, proprio come i miti e l’arte hanno rappresentato, implica una temporanea destabilizzazione dell’Io. Una temporanea ‘asinità’. Infatti esperienze che sviluppano una intensa partecipazione emotiva attorno ad un tema interiore hanno proprio il potere di creare nuovi apprendimenti. La partecipazione vi crea all’interno, vi suscita qualche cosa e allora questo suscitare dà a noi un senso di onnipotenza. Infatti dopo che voi avete fatto quest’esperienza, se qualcuno vi si avvicina, voi non parlate più. Siete troppo gasati... è un'altra cosa! Però si può capire, non è mancanza di tatto, perché uno sta in una situazione di eccitamento che gli permette però di superare delle situazioni, altrimenti non potrebbe farlo. E in quel momento ha la consapevolezza di una grossa potenza rispetto alla propria crescita, rispetto alla natura, rispetto al mondo. Poi piano piano cala... uno si addormenta e finisce così. Però, diciamo, uno le deve vivere queste esperienze! Le deve vivere perché sono esperienze molto importanti che danno un senso alla propria sicurezza interiore e come al solito vanno verso la formazione della personalità. Queste due citazioni rispondono a due quesiti importanti circa ciò che stiamo via via elaborando:
La condivisione che si viene a creare nelle esperienze di gruppo ad esempio, può generare alla loro conclusione un senso di tristezza; prima l’anima creatrice ha trionfato, poi il quotidiano riprende la scena, lo sguardo si adombra, è ricatturato dal sentire abituale. Se riusciamo a vivere queste emozioni come facenti parte di una reale evoluzione riusciamo a comprendere che lo sguardo và allenato per essere diretto diversamente. Lo spazio creato per momenti di intensa partecipazione rafforza, chiarisce, restituisce un vissuto abitabile al nostro essere nel presente. Talora ho udito un organo cantare nella navata di una cattedrale, senza capir parola, ma trattenendo sempre il mio respiro. [...] E poi mi sono alzata, ed ero, uscendo, una fanciulla più assorta, benché ignorassi cosa mi era accaduto nell'antica navata benedettina. Queste parole esprimono in maniera poetica la sensazione che si prova davanti alla sperimentazione di un nuovo che passa attraverso il contatto emotivo, si è destabilizzati ma coinvolti profondamente. Una logica emotiva che si sostituisce a quella razionale, la speranza per tutti noi di un'emozione salvifica che riempia i nostri cuori ancora di salvezza umana e spirituale. Il tempo del male si estende dal presente al passato, e dal presente al futuro, lasciando tracce che solo la speranza consente di arginare, ma vorrei ora chiedermi cosa ciascuno di noi possa fare nelle infinite scansioni delle nostre giornate al fine di decifrare sempre meglio le orme del male in noi. Non stancarsi di guardare cosa avviene in noi, dentro di noi, quando siamo in relazione, e lo siamo sempre, con gli altri, riflettendo senza sosta sulle conseguenze delle nostre azioni, delle nostre parole, dei nostri silenzi e dei nostri gesti, e pensando anche al dovere di rispondere alle voci che nel silenzio chiedono aiuto: l'aiuto di un gesto di una parola, di un dono, o di un perdono. […] Come infine non guardare alla speranza come a quella esperienza, a quella virtù, che più radicalmente si oppone al male: a ogni sua forma? Ecco che allora lo sguardo si evolve verso forme di comprensione che recano in se la tolleranza del disagio evolutivo. La chiave di volta sembra essere proprio questa: ogni esperienza di coinvolgimento interiore profondo lascia inizialmente un po’ di smarrimento, come se la psiche dovesse calibrarsi rispetto al nuovo. Cosa guardare ulteriormente per orientare lo sguardo? Kierkegaard ha ben espresso uno dei passaggi più delicati nell'esperienza trasformativa: La colpa per l'occhio dello spirito ha la stessa forza di affascinare che ha lo sguardo del serpente. Come imparare a reggere questo sguardo intriso di colpa e non lasciarsi affascinare? Il senso di colpa è la coscienza di una realtà inesistente; dirigere lo sguardo verso la responsabilità di coltivare speranza è un esercizio importante, quando viene meno questa, il senso di colpa dilaga. Parliamo di una responsabilità alla speranza cosa vuol dire? Non parliamo delle piccole speranze quotidiane a volte così futili peraltro, parliamo della “speranza come qualcosa che è apertura al futuro, e in fondo apertura al mistero.” (E. Borgna, Resposabilita e Speranza) La fiducia nella propria evoluzione permette dentro di noi la costruzione di ciò che avverrà perché è forma di vita, un apertura verso mistero della vita. L’accesso all'esperienza trasformativa è qualcosa che non può essere deciso a tavolino, portatrice di un incontro con l'altro mentre si cerca se stessi. È ciò che si può sperimentare in un gruppo terapeutico, tutti uniti e protesi verso l'alimentazione di questa speranza di trasformazione con la coscienza che la speranza è fragile, necessita di esperienze e strumenti per poterla alimentare e sostenere. La speranza è l'arcobaleno gettato al di sopra del ruscello precipitoso e repentino della vita, inghiottito centinaia di volte dalla spuma e sempre di nuovo ricomponentesi: continuamente lo supera con delicata bella temerarietà, proprio là dove rumoreggia più selvaggiamente e pericolosamente. Medusa con lo sguardo che pietrifica ci pone una domanda, il suo è uno sguardo privo di speranza? Si può pensare a lei come a qualcuno che ha smarrito il senso di umana pietà divenendo preda di un istinto che non può ricongiungersi al suo spirito. Attraverso un'azione repentina Perseo pone fine a tutto questo, come se il falcetto che utilizza per tagliarle la testa debba funzionare il più velocemente possibile così da fermare la colpa che non dà speranza. Si incrociano a volte questi sguardi, madri rose dall'invidia per le possibilità di vita delle figlie, donne inaridite dalle proprie ferite e dalla fatica di vivere nel tenerle nascoste, caratterizzate da una distanza dal proprio lato ombra. Padri gelosi del talento dei propri figli e del loro rapporto con la loro madre, che essendo anche moglie, viene vissuta con una forte ambivalenza, impossibile da avvicinare in maniera adulta. La pietrificazione dello sguardo ci porta verso tali aspetti, ed è straordinario potersi immergere nella potenza creativa di una natura che è materna nel senso dell'accoglienza e nell'indicarci l'oscurità di una foresta dalla quale dobbiamo tornare vincitori trovando i varchi attraverso i quali passare. La speranza è una psiche restituita alla sua meravigliosa interezza. È da un suono remoto della casa, dalla stanza in fondo, o è un mio tremito interno o è quel giovane ailanto che s'agita là fuori, all'imbocco del parco, il selvatico che alligna dappertutto senza riguardi. Di dove viene che non la vedo, questa speranza io non so in cosa, questa gioia improvvisa fuori del cuore, quest'aliena che canta la sua infinita ragione d’esistere? La potenza riparatrice della psiche resiste allo sguardo di Medusa portando verso un armonia pacificata che solo il superamento di prove interiori riesce a restituire. Letture correlate:
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