Sappiamo che oggi la sofferenza psichica si colloca tra le maggiori sofferenze contemporanee. Ogni epoca potremmo dire ha avuto le sue sofferenze ma, in quale modo si manifesta quella dell’oggi. La sofferenza prevalente è quella legata alla solitudine, nonostante le situazioni nelle quali creare legami siano svariate. Possiamo ipotizzare, quindi, che le persone si sentono sole pur all’interno delle relazioni e ciò avviene perché, tale scambio, mette in gioco solo alcune parti di se stessi: rimaniamo nella superficie delle cose. Questo aspetto pone il problema di riuscire a creare uno scambio prima di tutto dentro se stessi, il sentimento di solitudine, poi, si crea dal non riuscire a sentirsi in connessione profonda con gli altri. Una lontananza questa, che riguarda la propria natura vivente, ci rimanda allo specchio della nostra epoca, un epoca che crea smarrimento ed impone di essere continuamente in movimento al fine di interpretare un ambiente che aggredisce con i suoi modelli di riuscita. Il prezzo da pagare a questo adattamento, che richiede un bisogno costante di potere, è l’emersione di fragilità che si manifestano in svariate forme e si traducono in sofferenza; ciò si evidenzia laddove non si riesce più a reggere tale meccanismo esistenziale. Inoltre, “La medicalizzazione della vita induce una patologizzazione della sofferenza che ne muta la natura e la rende insopportabile.” (M. Benasayag, Oltre le passioni tristi) Allargando il campo di osservazione sulla nostra epoca, possiamo rintracciare un elemento fondamentale racchiuso nella visione dell’uomo occidentale: un uomo isolato, portato a rivolgere le domande solo a se stesso mentre, un tempo, le rivolgeva alle divinità. La “morte di Dio” (Nietzsche), o l’assenza di aspetti mitologici, del divino appunto, mettono in risalto tutta la crisi del linguaggio simbolico, che non è più in grado di fornire elementi di riflessione e crescita all’uomo moderno. Il narcisismo contemporaneo, crea un sostanziale ripiegamento sui propri punti di vista e chiude all’incanto del mondo. Anche l’arte, sismografo dell’anima, sembra risentire di questo problema: le forme non parlano più, il senso di stupore e magia viene sostituito da contenuti discorsivi. La tendenza imperante nell’epoca della tecnica è quella di aprire sempre nuove strade evitando le chiusure delle cose, eludendo i riti di chiusura attraverso i quali i cicli si compiono per dare spazio all’apertura di altri, come le stagioni. Questa ciclicità non è più possibile laddove la prassi dominante appare quella di aprirsi sempre a un nuovo che avanza, al fine di sintonizzarsi con un movimento perpetuo che crea l’illusione di evolvere verso qualcosa. In una realtà rigidamente determinata da contenuti misurabili matematicamente, si lascia poco spazio ad un linguaggio che fa uso di metafore, espressione che nomina una realtà per significarne un’altra: statistiche, rischi, profitti e costi, dominano la verità della nostra vita. La ricerca della competenza ha fatto si che gli individui non siano più importanti per la loro storia personale ma per la preparazione che hanno accumulato. Nella metafora invece si esercita stabilmente il meccanismo della similarità per cui due cose che sono distanti nei contenuti non lo sono nella forma, laddove il significato non è pertinente può risultare efficace in quel contesto. Ad esempio potremmo dire che la vecchiaia è la sera, o che la sera è la vecchiaia del giorno, due soggetti diversi ma una forma simile, entrambe le frasi rendono bene il significato di ciò che si vuole comunicare pur non rifacendosi a contenuti oggettivi. A cosa servono questo tipo di riflessioni? Servono intanto a comprendere che la mancanza di allenamento al pensiero simbolico ha impoverito i contenuti delle nostre vite e che questo aspetto, massicciamente espresso dalla nostra società, ha finito per minare il contenuto vitale della relazione con noi stessi e con gli altri. Infatti, tornando all’uso della metafora, non si tratta semplicemente di spostare una parola sull’altra, quanto piuttosto di creare una nuova realtà linguistica in cui qualcosa del vecchio significato e qualcosa del nuovo significato permangono legati tra loro costituendo un nesso. La psiche davanti ad una realtà scaturita da questo tipo di linguaggio si allena a cercare le connessioni possibili tra oggettivo e soggettivo, aprendo lo sguardo ad una visione diversa, apparentemente indecifrabile, poi via via sempre più consona al senso di ciò che siamo nel mondo. Se il pensiero simbolico ci consente di esprimere la realtà attraverso i simboli, ci fornisce anche le chiavi per una visione della realtà medesima più ampia. L’accostamento di concetti apparentemente lontani costringe la mente ad un esercizio che la obbliga a staccarsi dal mettere le cose assieme senza assimilarle, difatti attraverso il simbolico, passa quell’informazione non codificata razionalmente che può diventare un nuovo elemento di conoscenza. Passiamo dunque a definire i modi attraverso cui il simbolico si manifesta: 1. Astrazione Questa capacità ha rappresentato una svolta evolutiva nell’utilizzo della mente. A questo processo sono collegate alcune delle manifestazioni dell’intelligenza umana come il linguaggio, la matematica, l’arte e la spiritualità. Le prime rappresentazioni risalgono al paleolitico, ma alcuni reperti mostrano che l’uomo era pervenuto a tale capacità rappresentativa molto prima. Nel paleolitico appaiono le rappresentazioni delle Dee Madri, e successivamente il simbolo del Dio Serpente attorno al quale venivano eseguiti riti sciamanici. La spiritualità era coltivata attraverso la sepoltura del defunto, già consuetudine dei Neanderthal. L’avvento della modernità comportamentale si fa coincidere con la comparsa del pensiero simbolico, circa 50.000 anni fa in Europa, ciò che ha caratterizzato la radicale differenza tra l’uomo e le altre specie viventi. “Nel pensiero simbolico l’oggetto perde le sue caratteristiche individuali per trasformarsi in una rappresentazione che contiene, si potrebbe dire, schematicamente tutte le possibili variazioni dell’oggetto. Questo processo permette di dedurre, da una immagine complessa, tutte le parti che la compongono, l’uso che se ne può fare, le trasformazioni indotte dalle variazioni di spazio e tempo.” (R. Lucioni, “Lo sviluppo del pensiero”) 2. Capacità Sistemica dei Simboli I simboli funzionano in modo ampio, cioè non rimandano solo ad altre cose ma sono interdipendenti tra di loro. Questo fa si che un simbolo si associ ad un’altro simbolo creando significato attraverso una relazione sistemica presente nel soggetto, la cui interpretazione è data dalla modalità che il soggetto stesso ha acquisito e i dati interpretativi scaturiscono dal mondo esperenziale della persona. Non a caso il “Metodo delle Libere Associazioni” ideato da Freud, rappresentava una modalità di utilizzo-ripristino del simbolico nel soggetto, poiché il paziente veniva sollecitato ad associare una parola, o un evento, a qualcosa e poi via via a qualcos’altro, così da favorire una presa di coscienza del proprio mondo interiore, il materiale emerso veniva poi utilizzato dall’analista per favorire un contatto con l’inconscio. 3. Disegno Il disegnare prende forma da un immagine visiva che per poter essere veicolata ha bisogno di rifarsi ad un oggetto interiorizzato, cioè ricostruito a livello interno. A questo processo concorre il Pensiero Simbolico tramite l’uso delle figure che possono rappresentare anche qualcos’altro. L’arte rappresenta una delle massime espressioni del simbolico. 4. Immagini Mentali Le Immagini Mentali hanno delle proprietà derivanti dal Pensiero Simbolico, e sono grandi catalizzatori di energia. Sono considerate la via regia di esplorazione dell’inconscio. Jung le considerava dei simboli individuali collegati alla vita del paziente, inoltre alcune immagini mitiche nascoste nell’inconscio collettivo rappresentavano delle immagini archetipiche su cui l’umanità aveva plasmato la propria coscienza. Jung ne aveva individuate dodici: l’Innocente, l’Orfano, il Guerriero, l’Angelo Custode, l’Amante, il Cercatore, il Distruttore, il Creatore, il Sovrano, il Mago, il Saggio e il Folle. “L'immaginazione non è, quindi, l'osservazione della realtà, ma permette, piuttosto, un mezzo di adattamento alla realtà… Solo con lo sviluppo del processo immaginativo, la capacità di creare una rappresentazione mentale dell’oggetto assente, il bambino progredisce dalla risposta immediata senso-motorio-affettiva sincretistica (cioè mescolata) alla risposta concettualizzata astratta e ritardata che è caratteristicamente umana”. (D. Beres, “Int’l Journal of Psych Analysis”, XLI, 327,1960) 5. Evocazione Verbale di Eventi non presenti Il potere evocativo delle immagini sta nella loro capacità di mettersi in contatto con l’inconscio di ognuno. Difatti allo stimolo evocato dall’immagine la psiche risponde facendo affiorare eventi e situazioni che vengono verbalizzate dal soggetto. L’immagine cambia il punto di vista su ciò che si è vissuto poiché la verbalizzazione aiuta a collegare l’immagine al sentimento che si prova nel qui e ora, ritraducendo aspetti della vita del soggetto. Le immagini permettono di viaggiare nei ricordi, riattraversarli e portarli con se con un nuovo assetto. Le immagini si collegano tra di loro creando la trama della nostra storia rimandando a dei vissuti presenti nel soggetto. Perché è importante considerare tali caratteristiche del linguaggio simbolico? La ragione principale sta nel fatto che sono da considerare come un’anticipazione del futuro, e da ciò scaturisce un forte impatto sulla qualità delle nostre vite. L’utilizzo del simbolico attraverso una modalità più esperta garantisce una guida migliore per la mente. Damasio, uno dei più accreditati studiosi di neuroscienze, dice proprio questo al riguardo: “Le cose che ci auguriamo nel futuro e il modo in cui affrontiamo la vita che ci aspetta dipendono da com’è stato vissuto il passato; e non solo in termini oggettivi verificabili nei fatti, ma anche nella esperienza o nella ricostruzione dei dati oggettivi nei propri ricordi. [...] Come e cosa creiamo culturalmente, e come reagiamo a fenomeni culturali, dipende dai trucchi dei nostri ricordi imperfetti manipolati dai sentimenti.” (A. Damasio, “Lo strano ordine delle cose) Padroneggiare dunque questa forma “imperfetta” della mente è una strada per poter usufruire di uno strumento espressivo capace di sostenere la nostra esistenza.
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