“Una buona pratica preliminare, migliore di qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciare andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo. Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura.” (Chandra Candiani) La “Forza del Pensiero Magico” è un concetto che pone attenzione sul bisogno di allenare il pensiero simbolico, ciò che sta alla base del nostro funzionamento emozionale. L’approfondimento di questo tema consente di trovare quelle strade interiori che favoriscono una scioltezza riguardo il proprio modo di condurre se stessi. Inoltre, l’individuazione di quello che si frappone tra noi e una maggiore comprensione del nostro funzionamento emotivo, aiuta ad apprendere come dirigere e riorientare la propria complessità. Spesso nel vivere odierno siamo condizionati da abitudini spinte in un unica direzione: quella di definire le relazioni oggettive tra le cose. In questo modo si ha la consuetudine di dare frequentemente un senso compiuto al mondo che ci circonda, mentre le infinite connessioni tra le persone e le loro esperienze viene lasciato sullo sfondo. Come se il mondo fosse un grande contenitore retto da relazioni materiali, dirette, semplici, senza sfumature, relazioni tra persone trasformate in oggetto. La continuità invisibile tra umano e universo è spesso bollata come una visione spiritualista, o figlia di una visione new-age, mentre la psicologia moderna procedere su due binari principali. Uno caratterizzato da uno studio del comportamento basato in considerazione di come determinati dati espliciti si manifestano, l’altro focalizzato sullo studio di fenomeni primari che fanno rientrare l’inconscio, e tutte le sue vaste associazioni non manifeste, nel soggetto rispetto alla sua relazione con il mondo. Fermo restando che la psicoterapia deve esercitare il proprio metodo di cura attraverso ipotesi scientifiche, bisogna considerare che le relazioni oggettive con le cose che maneggiamo risentono delle nostre immagini psichiche e, dunque, sono oggettive fino ad un certo punto. La domanda centrale è dunque questa: possiamo rimanere nell’ambito psicoterapico riflettendo sulle connessioni tra noi e le cose con un linguaggio consono alla descrizione di questo legame, non manifesto in linea diretta, ma profondo? E a quale tipo di visione dobbiamo appellarci per poterci muovere con maggiore agio in tale dimensione esplorativa? Alcuni psicoanalisti hanno approfondito la visione della cura verso un universo di significati più ampio, e oltre a questo, ciò che le neuroscienze oggi hanno valutato essere reale, è il concetto della mente dotata di suoi “fondamenti poetici”, cosa che anni fa sarebbe stata considerata una tesi assurda. Le riflessioni su “La Forza del Pensiero Magico” si propongono di articolare questa visione in modo da restituire una chiarezza ai tumulti interni, governati da immagini particolari, che vanno approcciati con un linguaggio adeguato. Tali immagini hanno molto a che fare con aspetti di trascendenza che la mente è in grado di ricercare ed esperire per dare nuovi orientamenti al suo rapporto con il mondo. Per muoverci in tale direzione dobbiamo aprire la finestra ed ampliare il nostro sguardo. Per favorire ciò si possono riprendere alcuni concetti espressi da Marco Pesatori nella sua illuminante presentazione al Pensiero Magico, realizzata per lo Studio Pancallo, che troviamo nel video sottostante. Il Sé moderno è frutto di una parabola straordinaria che si compie tra la fine del quattrocento e la fine del seicento, il ‘cogito ergo sum’ di Cartesio è il punto culminante di una visione il cui inizio era stato determinato da Pico della Mirandola con il suo saggio “Discorso sulla Dignità dell’Uomo”: “Né determinata sede, né un aspetto tuo peculiare, né alcuna prerogativa tua propria ti diedi, o Adamo, affinché quella sede, quell’aspetto, quelle prerogative che tu stesso avrai desiderato, secondo il tuo volere e la tua libera persuasione tu abbia e possieda. La definita natura degli altri esseri è costretta entro leggi da me stabilite, immutabili; tu non costretto da alcun limitato confine, definirai la tua stessa natura secondo la tua libera volontà, nel cui potere ti ho posto. Ti ho collocato al centro dell’universo affinché più comodamente, guardandoti attorno, tu veda ciò che esiste in esso. Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, affinché tu quasi libero e sovrano creatore di te stesso, ti plasmi secondo la forma che preferirai.” (Pico della Mirandola, in R. Tarnas, “Cosmo e Psiche”) Questa citazione libera una visione dell’uomo autodeterminante, capace di esprimersi e in grado, attraverso la comprensione personale, di gettare uno sguardo nuovo sulla natura dell’universo. Necessario è pure collegare tale nuova visione alle straordinarie rivoluzioni che nel 1.500, nell’arco di una sola generazione, vedono la luce. Dalla nuova arte di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, alle scoperta delle indie di Vasco de Gama e Cristoforo Colombo; un viaggio guidato da una visione invisibile comune che finisce per collocare l’uomo al centro della storia. L’idea della Grande Terra, grazie a Copernico, appare trasformata. Non più un punto fisso nell’universo ma “un pianeta, un vagabondo, un corpo celeste esaltato in un nuovo cosmo le cui dimensioni, struttura e significato erano completamente cambiati: una simile rivelazione dovette riempire la mente e lo spirito di un timore reverenziale raramente sperimentato nella storia dell’umanità.” (R. Tarnas, “Cosmo e Psiche”). Gli eventi citati sopra non furono solo nuove scoperte, ma rappresentarono una fiducia nell’essere umano sconosciuta prima di allora. Questa riflessione sull’uomo moderno non può non essere connessa alla natura polare su cui si basa l’equilibrio che regge noi e il mondo: se da una parte abbiamo una narrativa epica del progresso umano, fatta di gesta straordinarie che hanno plasmato molti secoli prima la moderna visione delle cose, dall’altra tutto ciò ha inevitabilmente portato ad una separazione tra uomo e natura, relazione che rappresentava la base onnicomprensiva del mondo. La natura, vissuta come elemento con il quale interagire, guidava verso un’intima connessione dell’uomo all’universo circostante. Un genere umano così fatto lo si può scorgere nella narrazione dei miti greci: l’uomo greco antico infatti possedeva una conoscenza istintiva e sottile di connessione con la natura delle cose, si fidava dei messaggi che gli pervenivano dagli oggetti. Oggi invece sono presenti due paradigmi di lettura: quello oggettivante e quello soggettivante. Da una parte il progresso e la coincidente lenta distruzione dei messaggi di cui il mondo è portatore, dall’altra il linguaggio limitato alla sfera cognitiva che opera una lenta erosione dei simboli di cui il mondo è portatore. Come diceva Oscar Wilde: ”Nell’arte, una verità è quella il cui opposto è anch’esso vero.” (O. Wilde, La Verità delle Maschere) Tale frase sottolinea l’elemento di sottile continuità tra il miglioramento e la regressione, e definisce con chiarezza quanto l’evoluzione sia figlia di tale meccanismo invisibile. La visione attuale, postmoderna, indugia in modo significativo in una costante separazione tra l’oggetto e il soggetto, il sé e il mondo, l’uno contro l’altro. Anche laddove il soggetto è fortemente indagato spesso deve essere ricondotto ad una interpretazione oggettiva immediatamente verificabile, per essere considerata adeguata, e questo può essere anche il limite di alcune convinzioni in ambito psicoterapeutico. Tutto ciò tende a tagliare fuori quell’attiva partecipazione che le nostre immagini interiori potrebbero esercitare sugli eventi e sul mondo, come dire che gli eventi sono già letti nella consapevolezza prima che noi possiamo entrarci in contatto profondo. In altre parole, l’oggetto deve essere esplicitato senza che vengano aggiunte quelle qualità soggettive intrinsecamente presenti nello sguardo di chi posa lo stesso sull’oggetto; solo questo processo tende ad essere considerato aderente alla realtà e compatibile ad una visione scientifica. Jung parlava di Anima Mundi, riprendendo un termine coniato da Platone, per descrivere l’inconscio collettivo come un contenitore psichico universale. La struttura della psiche dell’intera umanità, che collega le realtà psichiche individuali, dando vita ad una connessione profonda tra noi e gli altri, tra noi e gli eventi del mondo. Jung infatti affermava che “l’individuazione non esclude, ma include il mondo” (C. G. Jung, Opere, vol. VIII). Ciò sta a significare l’incessante lavoro di mediazione che si compie tra il mondo esterno e quello interno, aspetto su cui è interessante soffermarsi e che sta nel legame tra l’origine della vita e il nostro modo di funzionare. La materia generata dall’energia si è organizzata in livelli di complessità che riflettono quattro principi costitutivi: “la dinamica degli opposti, la rottura di simmetria, la coesione tramite scambio e la necessità di trasformazione.” (M. Pusceddu, “Jung e Pauli parlano”). Da tale affermazione è possibile dedurre come il senso dell’esistenza si ponga in un alternarsi complesso di ordine/disordine che è fondamentale imparare a condurre. Oggi il nodo da affrontare per potersi collocare nel mondo è quello di riuscire a muoversi all’interno di un’incertezza tra l’essere all’apice di una visione determinata dalla consapevolezza, intesa come l’immagazzinare informazioni, e l’inizio di un crescente bisogno di recupero della complessa interdipendenza che regola i sistemi viventi, che solo in parte si rivela attraverso l’acquisizione di dati. Un desiderio di maggiore comprensione del ruolo che l’immaginazione svolge nel mediare ogni esperienza umana serpeggia nei vissuti individuali (pensiamo, ad esempio, alla macchina volante di Leonardo costruita tra il ‘400 e il ‘500 osservando il volo del nibbio reale, e a come noi oggi possiamo volare anche grazie al potere di questa immagine), unita al bisogno di riconoscere la funzione che l’inconscio esercita sulle nostre vite. Inoltre, esiste l’esigenza di dare un significato simbolico e metaforico alla vita umana, rivedendone gli archetipi costitutivi, così da dare luogo ad una più intima connessione tra soggetto e oggetto. La “Forza del Pensiero Magico” è una riflessione che articola talune risposte ad alcune domande per comprendere l’uomo moderno, collegando il principio della filologia umana alla cosmologia, in modo da accorciare quel senso di distanza tra soggetto e oggetto, tra anima e corpo. Una sostanziale contrapposizione presente nello stato attuale delle cose, che spinge, non a caso, sempre di più verso la cybercultura. Una condizione questa dove il mondo appare sempre più intollerante alle proprie pene, incerto nel collegare la malattia del pianeta terra ad una lettura efficace delle ferite del singolo, connessione che, invece, consentirebbe di arrivare a decifrare ciò che ci sta accadendo con più lungimiranza: “Bisogna salvare le ferite. Non lasciarle sole, sperdute nell’idea fissa della medicazione e della guarigione. Bisogna interrogare le ferite e aspettare le risposte. La risposta alla ferita siamo noi. I nostri gesti, le nostre possibilità accolte o respinte, i tremori e gli assalti rispondono tutti alle ferite.” (Chandra Candiani, “Questo Immenso non Sapere”). Grazie ai miti la nostra mente è in grado di dare spessore all’intuizione, di trovare il nesso tra presente e passato come tra passato e futuro, in un perpetuarsi di avvenimenti che assumono il senso di un disegno compiuto sul quale intessere le nostre principali valutazioni. “I miti sono stimoli di ispirazione che in ogni tempo hanno aiutato l’uomo ad utilizzare in modo sincronico la mente razionale e quella creativo– intuitiva.” (A. Ceriani, V. Tosetti, “Lo Specchio Magico”) Ciò che ci si propone è calarsi nelle profondità del “Mito di Medusa” dove cogliere lo spessore del “Pensiero Magico”. Perseo si appoggia al magico per andare verso Medusa, dà voce dentro di lui a quei consiglieri interiori che gli aprono la strada e lo proteggono dalle insidie. Man mano che s’inoltra lungo il cammino, il bisogno iniziale di vincere il mostro, per avere un trofeo da esibire, si trasforma nella necessità di un incontro che dica a lui qualcosa di più su se stesso, sul suo passato, sui suoi errori e sui propri punti deboli da riorientare. Nel momento in cui Medusa partorisce il cavallo alato Pegaso, ecco che il magico si è materializzato. Dall’unione tra il dio Poseidone e l’umana Medusa si crea infatti Pegaso, figura nella quale troviamo la celebrazione dello stupefacente. La metafora che sottolinea la possibilità di reinterpretare la vita senza perire nella materialità delle cose e senza perdersi nel fascino del sogno. Pegaso si fa portatore di questa istanza risvegliando il potere delle immagini ancestrali racchiuse nelle nostre menti. Queste visioni possono apparire distanti dalla realtà a noi che stiamo per riemergere da una durissima pandemia, ma come sottolinea l’acclamato libro di David Quamme “Siamo stati noi a generare l'epidemia di Coronavirus. Potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l'attività umana a scatenarla.” (David Quammen, The New York Times). Un’attività umana la nostra, permeata da un contrasto tra una visione fortemente illuminista della vita, definita attraverso i canoni scientifico materialisti, e una prospettiva romantica che domina la visione interiore, legata ai propri desideri. Il pensiero domina il mondo materiale, mentre l’anima è fedele ad un approccio romantico-idealista. In questo contesto nel quale si muove la psiche moderna, possiamo certamente affermare che esistono e proliferano diversi percorsi di natura spirituale, che offrono conforto, ma poiché separano il problema più che ricondurlo al malfunzionamento della nostra dualità, divengono soluzioni poco gestibili proprio per la profonda separazione a cui inducono. Utilizzando un linguaggio junghiano potremmo affermare che non si riesce a tirare fuori l’Anima del Mondo, poiché tutto è consumo ed è guardato attraverso queste lenti. Ciò che si è dunque perso è l’incanto e lo stupore. Privilegiando l’umano a tutti i costi abbiamo svuotato il cosmo. Le considerazioni sul “Pensiero Magico” sono un allenamento alla magia, per educare lo sguardo di noi uomini moderni all’eterna capacità di rinnovamento della vita, affinché quel luogo misterioso dove soggetto e oggetto s’incontrano, manifesti ai nostri occhi la forza vitale di una visione profondamente trasformativa. “Se esiste una legge di simpatia cosmica che connette l’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, il particolare all’universale, in una trama di reciproche, fittissime influenze, allora, per chi pensa in termini magici, lo spostamento di significato [...] rivela un potere segreto che emana da tutte le cose, ed è inscritto sin dalle origini nell’anatomia del mondo”. (G. Guidorizzi, “La Trama Segreta del Mondo”)
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