Prendiamo spunto per recensire questo testo di diversi anni fa, da una riflessione dell'architetto Vittorio Gregotti, recentemente scomparso: Oramai ci chiedono solo di meravigliare. Ai giovani invece vorrei dire di non allontanarsi dalle nostre radici. Anche se il testo che ci apprestiamo ad illustrare appartiene ad un’altro campo esperenziale spesso si arriva a visioni piuttosto simili a quelle suggerite dall’illustre architetto, pur percorrendo strade differenti. Se Gregotti si riferiva al modo di concepire la funzione che l’architettura deve avere nella società, una riflessione affine potrebbe valere anche per il modo in cui si guarda all’equilibrio umano: pensare che molte letture precedenti siano oramai superate risulta essere veramente adeguato? Possibile considerare che siamo andati avanti verso il nuovo, anche perché soffermarci su alcune ipotesi di funzionamento interiore risultava essere qualcosa che imponeva dei tempi di riflessione e quindi di rallentamento verso la materializzazione, alla quale abbiamo consegnato il nostro destino? Nel tempo della presenza di uno dei virus più devastanti ecco che il male si è materializzato: ci tallona e si mimetizza, ci obbliga a dei cambiamenti repentini minacciando fortemente il nostro equilibrio quotidiano, per scoprire che in fondo questo stesso equilibrio era molto meno solido di ciò che avevamo valutato prima. Al tempo stesso, l’apparizione di una sofferenza esterna che coinvolge tutti, ci costringe a fermarci, ad ascoltare dove siamo e cosa vogliamo, ci chiede di riconoscere una fragilità rifiutata, mimetizzata dalla forza di certezze più ideologiche che esperite, e rese ancor meno solide dai cambiamenti che siamo costretti a compiere in tempi brevi. Questa sofferenza ci dice anche qual’è il ruolo formativo che abbiamo dato ai sentimenti difficili nelle nostre esperienze di vita. In questo scenario, ripensiamo a questo testo pubblicato nel 1992 - "Il Male, e come trasformarlo" di Eva Pierrakos - dove si pone l’accento sulla presenza di un nucleo "oscuro" negli esseri umani, che va compreso e regolamentato. Nei momenti in cui più intensamente si è portati a dover fronteggiare l’aspetto distruttivo dell’esistenza, la ricettività al riconoscimento di visioni pregresse, mai veramente integrate, grazie agli stimoli derivanti dalla paura, risulta maggiore. Il libro pone l’accento sullo sforzo di vedersi per ciò che si, è piuttosto che per ciò che si vorrebbe che fosse, la tesi centrale di questa riflessione sul funzionamento umano sta nel dialogo tra un sé inferiore ed uno superiore, che interagiscono ma non sempre riescono ad accordarsi sulle medesime frequenze. La definizione di Sé la troviamo in una citazione di C.G.Jung: In quanto concetto empirico denomino il Sé come il volume complessivo di tutti i fenomeni psichici nell’uomo. Esso rappresenta l’unità e la totalità della personalità considerata nel suo insieme.
Queste attitudini contrastanti coesistono nell’animo umano ed è importante riconoscere che la medesima cosa può essere desiderata da entrambi i Sé ma per motivi diametralmente opposti. Per Sé inferiore s’intende quello strato del sentire che confina con la parte immatura dell’individuo, costituita da attività mentale, come pure da una spinta emotiva distruttiva, che coinvolge sentimenti difficili quali ostilita, insensibilità al dolore altrui, ecc.. Una definizione interessante di Sé inferiore la troviamo anche in M.L. Von Franz: [...] una tremenda carica emotiva è di solito legata ai suoi processi. Non appena entriamo in questo regno - della funzione inferiore -, le emozioni divengono difficili da controllare. Eva Pierrakos, nel suo "Il male", sottolinea anche come sia fondamentale non avvicinarsi al l’inconscio con un atteggiamento moralistico, perché non risponde alla realtà del modo di funzionare del nostro sentire. L’analisi emotiva comporta andare oltre i pregiudizi al fine di prendere coscienza di come si reagisce a determinati stimoli esterni. Il lavoro proposto dalla Pierrakos sottolinea tre livelli del funzionamento interiore:
L’allenamento ad un dialogo interno porta alla luce ciò che di disagiato si sente ma che al tempo stesso è portato verso un’elaborazione responsabile, così da creare una base esperenziale solida. Le emozioni vanno riconosciute e convogliate, piuttosto che lette e imbrigliate. Quest’ultima è sicuramente una modalità più veloce ma tende a risultare improduttiva nel calibrare e dosare gli attriti interni. Tra i difetti principali presenti negli individui, l’autrice sottolinea:
Se analizzate con attenzione le vostre reazioni interiori negative, non potete non scoprire che il più delle volte alla loro base vi è un elemento di paura, paura forse che gli altri non facciano ciò che volete o non agiscano in conformità ai vostri desideri. In altre parole, una forte volontà che le cose vadano a modo vostro, automaticamente genera la paura che i vostri desideri vengano frustrati, e che il vostro orgoglio sia ferito. Se in voi non ci fosse orgoglio, non avreste paura d’essere feriti; se non ci fosse ostinazione, non avreste paura di rimanere frustrati. Le immagini interiori Bisogna partire dall’elemento basilare che le immagini sono di natura irrazionale, per tale motivo le conclusioni errate alla base di alcune immagini interiori non possono sostare a lungo nella mente conscia, e laddove la sua conoscenza intellettuale contraddice tali immagini, queste vengono relegate sullo sfondo. Tanto più si depositano nell’inconscio, maggiormente entreranno in contraddizione con ciò che la mente conscia pensa. Il ripetersi poi di eventi simili è indicativo di un immagine fissa che rimane sullo sfondo che chiede di essere letta e veicolata in maniera efficace. Paura del dolore Il riconoscimento esterno è ciò a cui il bambino si lega poiché attende di essere accudito, tale aspetto nel processo di crescita dovrebbe pian piano essere ridimensionato ma l’abitudine a provare piacere grazie alla ricompensa ottenuta, porta l’adulto a mettere in atto comportamenti compensatori anche laddove risultano inadeguati ai fini di un’evoluzione personale. La paura della sofferenza induce a comportamenti che tendono a non mettere in campo la parte meno idealmente orientata secondo un criterio di non sofferenza, se l’essere umano lo facesse dovrebbe esporsi a dei rifiuti che fatica a sopportare ed accettare. I grandi ideali di comportamento spesso sottendono una grande paura del dolore che in questo modo risulta essere abilmente tenuto a distanza, l’ideale supporta una visione ripulita dal dolore come ambizione personale in rapporto all’esistenza. La soluzione del potere L’evoluzione sociale, sempre più portata al potere del ruolo, conferma l’ipotesi fatta dall’autrice: si cresce pensando che l’unico modo per risultare poco deboli possa essere quella di avere molto potere; in altri casi questo aspetto può assumere una forma più vaga e meno definita, tesa però a condizionare tutte le relazioni dell’individuo. Dal momento che questo tipo di immagine non è sostenibile, la vita espone l’individuo alla continua dimostrazione di non poter soddisfare le proprie aspettative. La depressione può essere la risposta al continuo bisogno di dover proiettare sugli altri le emozioni considerate inadeguate per se stessi, come amore, amicizia, aiuto, solidarietà. È più facile determinarle quando una di loro risulta essere predominante, meno quando sono mescolate assieme. La necessità della crescita La responsabilità di una crescita comporta riconoscere le emozioni che si schivano. All’inizio questo processo risulta essere piuttosto doloroso perché l’anima è stata intaccata da tale percorso ed è ammalata, poi pian piano si trova la via. Un elemento fondamentale che sottolinea Pierrakos è questo: [...] superare la vostra tendenza a considerarvi impotenti e ad aspettare che sia la buona sorte a portarvi la felicità; dovete sviluppare la vostra autonomia, le vostre capacità ed imparare a cogliere le opportunità che la vita vi offre. E ancora: Non potrete convincervi della necessità di assumervi completamente le vostre responsabilità, attraverso la mera comprensione intellettuale, in quanto tale convinzione può essere solo frutto di un lungo ed organico processo di crescita interiore. Cos'è il male? Spesso da bambini si è divenuti poco sensibili a causa di un ambiente che mostrava di non saper cogliere i veri bisogni, allora il bambino si difende da tutto ciò portando lo sguardo altrove alimentando questo rimanere insensibili a ciò che fa male. Nelle successive tappe dello sviluppo tale meccanismo psicologico crea le basi del male. Se si analizzano da vicino alcune reazioni comuni si può comprendere maggiormente il meccanismo dell’insensibilità, come ad esempio osservare che spesso all’inizio la reazione verso il dolore altrui è di spontanea partecipazione, ma poi scatta una seconda reazione, che rende queste emozioni maggiormente inibite. Si ha la tendenza successiva a bloccare l’andare verso l’altro, qualcosa scatta dentro ed è quel senso di separatezza che caratterizza il bisogno di sentirsi al sicuro, in ciò che non crea dolore. In una fase successiva tale senso di separatezza può essere compensato o da uno sproporzionato sentimentalismo o da una forte tendenza alla drammatizzazione, come pure da un coinvolgimento costante verso il dolore altrui. L’indifferenza e l’insensibilità possono non essere effettivamente agite ma esistere semplicemente come emozione dentro, ammettere un’emozione per quanto indesiderabile possa apparire, non ferisce mai veramente se stessi a meno che non si confonda l’impulso con l’agito che stanno su due piani differenti. Alcuni reagiscono al male sentendosene oppressi, altri con il sentimentalismo, altri ancora con la durezza e l’indifferenza. È fondamentale che questi concetti vengano attraversati con mente aperta e scevra da pregiudizi: La condizione che stiamo esaminando viene creata dal modo sbagliato con cui reagite al dolore. La crudeltà non associata al piacere non potrebbe mai avere un vero potere. Il non essere coscienti di questa combinazione di crudeltà e piacere, non diminuisce il dirompente effetto che essa ha sul clima emotivo in cui l’umanità vive. La trasformazione come già accennato non implica solo un processo di consapevolezza bensì implica trovare quelle aree interiori in cui il dolore risulta represso che porta a sovrapporre a spontanei moti di simpatia, atteggiamenti costruiti di freddezza e distanza. La tendenza all'autoperpetuazione Questa modalità è insita nel comportamento umano e vale tanto per le emozioni positive quanto per quelle negative. Ciò che risulta importante sottolineare è che la tendenza a ripetere modalità negative apprese può essere modificata solo da un processo messo in atto volontariamente. Positività e negatività sono parte di una polarità sulla quale poggia la realtà del mondo ma rappresentano anche il riflesso di un funzionamento sul quale basare l’equilibrio del mondo interno e vanno attraversati strato dopo strato. Processi di rieducazione La rieducazione può essere intesa in maniera poco efficace, ad esempio, il capire cosa si dovrebbe fare risulta limitativo per un’esperienza emotiva che rappresenti il nuovo, può portare a una nuova repressione come pure ad una negazione delle tendenze distruttive presenti nell’animo umano. Gestire la tendenza al giudizio rimane un elemento essenziale alla realizzazione di un processo rieducativo, imparare ad osservare in modo distaccato le proprie tendenze distruttive è un allenamento lento e altamente salutare. La vita genera movimento, se questa condizione risulta bloccata viene congelata anche l’energia vitale, è fondamentale in questo senso non farsi prendere dal panico nel pensare che ciò che emergerà sarà devastante e catastrofico. All’interno di una psiche sana devono convivere tanto il coinvolgimento quanto il distacco, quest’ultimo non va confuso con l’indifferenza la quale è figlia della paura del coinvolgimento. Il distacco non elimina la presenza della polarità dell’animo umano e della necessità che ogni movimento interiore sia caratterizzato da un processo duale. Conclusioni La polarità è l’equilibrio sottile che attraversa il mondo, ma se da una parte proprio la sete di conoscenza ci ha svelato che la tecnica va integrata con altre visioni, dall’altra esiste un controbilanciamento la cui fede in una ragione umana assoluta viene fatta coincidere con una prospettiva scientifica totalizzante che lascia invero poco spazio alle ragioni del mondo emotivo dei soggetti. Vengono relegati sullo sfondo quegli aspetti legati alla parte distruttiva della psiche che sono apparentemente poco funzionali ai risultati tangibili. Così facendo si evita di educare e quindi di prendere con sé la responsabilità del negativo assumendo comportamenti che tengono poco in considerazione prospettive non strettamente legate alla materialità, ad esempio il riconoscimento di ciò che si prova e di come tale vissuto si riversa nei principi fondamentali del vivere. Vien da pensare a ciò che affermava diverso tempo fa Carl Gustav Jung: Non abbiamo ancora capito che la scoperta dell’inconscio comporta un enorme compito spirituale, che deve essere assolto se vogliamo conservare la nostra civiltà. L’importanza di tale aspetto è fondamentale e necessita di dare spazio a ciò che è già stato espresso in una nuova chiave così da fronteggiare il futuro equipaggiati da insegnamenti pregressi. L’atteggiamento volto sopratutto allo stare con i "piedi per terra" spesso tende a dare poco valore a ciò che l’essere umano ha già esperito ma forse non ben integrato, risulta importante averlo metabolizzato per poter passare oltre. Nei momenti in cui le visioni e le prospettive con cui si guarda all’individuo sono costrette ad aprirsi al cambiamento, riprendere in mano ciò che effettivamente è stato metabolizzato o meno, offre una nuova opportunità per attraversare le difficoltà. Del resto è difficile pensare ad una solidarietà reale laddove non si è individualmente allenati a riconoscere e convogliare gli attriti interni, o quando si ha una percezione spostata più verso il riconoscimento di se stessi all’esterno che verso se stessi. Molte cose nella storia della nostra società sono già accadute anche se a noi ora appaiono nuove, si ripresentano, il dolore sociale fà capolino in modo repentino, si tratta di ritagliargli un posto adeguato nel vivere odierno. Un’atmosfera di distruzione universale e di rinnovamento [...] ha lasciato il segno sulla nostra epoca. Tale atmosfera si fa sentire ovunque, politicamente, socialmente e filosoficamente. Stiamo vivendo quello che gli antichi Greci chiamavano Kairos-il momento giusto-per una ... metamorfosi degli dei, dei principi fondamentali e dei simboli. Questa peculiarità del nostro tempo, che certamente non è frutto di una nostra scelta conscia, costituisce l’espressione dell’inconscio che dentro di noi sta cambiando. Le generazioni future dovranno tener conto di questa cruciale trasformazione, se l’umanità non vuole distruggersi a causa della potenza della sua stessa tecnologia e scienza [...]. La posta in gioco è così grande e così tanto dipende dalla costituzione psicologica dell’uomo moderno. Queste parole presenti in un testo junghiano del 1956, appaiono oggi assolutamente futurologhe. Forse bisogna ripensare al concetto di male per poter porre in essere quell’educazione personale e sociale fatta di transazioni e accordi tra esseri umani che stanno alla base di un vivere proiettato verso il miglioramento, e dove risulti realmente possibile frenare gli attriti quando questi sono il frutto collettivo di un mancato riconoscimento del limite e della responsabilità personale come elemento cardine del benessere personale e sociale. Liberare il concetto di male dalle anguste stanze delle visioni umane ipotetiche, riattraversare la paura e il dolore, non solo perché si è costretti, ma per dare valore e dignità a ciò che si opprime dentro, contenere quell’inseguire affannosamente un funzionamento irraggiungibile. Come tutti i momenti storici in cui il male si è manifestato, oggi si sente maggiormente il bisogno di rivedere abitudini e modi di essere standardizzati. Il male sembra suggerirci che ogni rinascita è l’altra faccia di un gioco di contrasti che ha trovato un nuovo e più solido equilibrio. Un libro, quello della Pierrakos, "Il male, e come trasformarlo", che sembra esortare il mettere alla prova le abituali credenze. Del resto, come ricordava Albert Einstein: È la teoria che determina cosa guardare. la realtà invece è molto più ampia. Letture correlate:
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