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LA CHIAMATA INTERIORE

3/11/2018

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La chiamata interiore arriva sotto forma di situazioni diverse da quelle che vorremmo.
Dover modificare le nostre aspettative, riguardo a ciò che ci sembra giusto portare avanti nella vita, scuote le nostre sicurezze o certezze. Ci obbliga a considerare in maniera differente persone o situazioni, e a prendere coscienza della necessità di una modalità di intervento meno nota per le abitudini mentali consuete.
Foto
Alchemy, Jackson Pollock, 1947 (Peggy Guggenheim Collection, Venice, 1976)
L’anima con le sue richieste molto spesso è costretta ad irrompere nella vita di ognuno poiché il linguaggio interiore viene recuperato in genere nei termini di un bisogno - ciò che è finalizzato ad un ottenimento - per soddisfarsi e non mettere troppo in crisi le proprie certezze.
Abbiamo percorso un lungo cammino per cercare di eliminare la mente [...]. E, alla fine di questo percorso, abbiamo scoperto che spontaneamente moltiplichiamo le menti presenti nel mondo esterno. Appena possibile appiccichiamo a ogni oggetto, a ogni invenzione grafica presente nei fumetti, nei cartoni animati e nella pubblicità, emozioni e sentimenti che animano una storia. Non solo quando abbiamo a che fare con esseri viventi, animali e piante. Persino oggetti astratti, immateriali, che si muovono all’interno di scenari incontrati in precedenza, possono emozionarsi, gioire e soffrire. Al limite possiamo animare una voce artificiale se, dietro a questa voce, pensiamo ci sia una mente. Cosi avviene nel film “Her” (Lei) di Spike Jonze (2013), dove il protagonista s’innamora di un sistema operativo che si presenta nelle vesti di un’affascinante assistente. Animare la voce seducente di un sistema operativo (nel senso letterale di dare un’anima) garantisce la certezza che LEI è nostra, e che ci amerà per sempre. Purtroppo questa certezza si trasforma in gelosia quando si scopre che non è stata programmata per la fedeltà. Lei dichiara di intrattenersi, in parallelo, con “altri 641”, anche se 'credimi non cambia il fatto che sia innamorata di te'.”.
(P. Legrenzi - C. Umiltà, Perché Abbiamo Bisogno dell’Anima)

Quando il protagonista si rende conto che non potrà tenerla con se per sempre è costretto ad affrontare l’esperienza che ha cercato di accantonare, la tristezza che scaturisce da una solitudine con cui ha difficoltà a confrontarsi, per il disagio e il dolore conseguenti.
 
La difficoltà di metabolizzare i sentimenti scomodi connessi alle esperienze che creano dolore è uno di quei disagi a larga diffusione, la tecnologia ha ridotto l’incertezza abituando i soggetti a confrontarsi con il prevedibile. Ecco allora che gli abbandoni, le sconfitte fanno parte di quell’Universo Altro, scomodo e puntellato di situazioni difficili da introiettare, non foss’altro perché non si accettano, e perché intralciano la linearità di un progresso teso ad eliminare le variabili indipendenti.
 
Muoversi nell’ambito di questo tipo di esperienze vuol dire accettare di farsi toccare dalla vita nella sua interezza, entrare in relazione con la storia completa della propria esistenza e accettare che alberga dentro di noi. Non è così importante riconoscere che si è poco abituati o che scatta la paura, quello che importa sta nella possibilità che ci diamo di allenare i nostri circuiti percettivi all’integrazione, favorire l’opportunità di ampliare il modo in cui proviamo le cose, divenire più forti rispetto ai vissuti di disagio, rimodularli partendo da dentro.
 
È molto importante sottolineare in questo contesto come la CHIAMATA INTERIORE sia un modello presente in tutte le culture e che ha accompagnato la storia degli esseri umani fin dall’antichità. Non a caso J. Campbell, uno dei più importanti studiosi dei miti, la descrive in questo modo:
I problemi affliggono la tribù. Sentite il suo richiamo nel brontolio dei nostri stomaci e nel pianto dei bambini affamati. L’area circostante è desolata e non coltivabile ed è chiaro che qualcuno deve spingersi oltre il territorio familiare. La terra sconosciuta e straniera ci riempie di paura ma è sempre più necessario fare qualcosa, rischiare, in modo che la vita possa continuare. Una figura emerge dal fumo dell’accampamento, un anziano della tribù, indicandovi. Si siete stati scelti come cercatori e chiamati a cominciare una nuova ricerca. Mettete a repentaglio la vostra vita affinché quella più importante della tribù possa continuare.”
(J. Campbell, L’Eroe dai Mille Volti)
Oggi è più diffuso il fatto che la chiamata avvenga in termini individuali poiché il senso della tribù cioè della collettività risulta maggiormente frammentato, al tempo stesso, l’eco di tale aspetto si ritrova ugualmente nella vita di ognuno.

La chiamata interiore avviene attraverso molteplici modi: possono crearsi delle coincidenze o si può creare un bisogno che chiede di prendere una strada. Nel caso di Perseo, nel Mito di Medusa, è la tentazione forte di vincere una sfida e poter essere considerato diversamente da chi lo umilia quotidianamente, a staccarlo dal suo mondo, ma esistono moltissime leggende similari. Pensiamo ad esempio a Parsifal, il giovane eroe che essendo rimasto affascinato dalla vista di cinque magnifici cavalieri in armatura li segue, incantato, senza sapere che diverrà presto uno di loro.

Una vecchia canzone dei Pooh descrive con parole efficaci, sicuramente entrate nell’immaginario di molti, questa chiamata:
Nato selvaggio puro nell’anima non sai paura cos’è / Quei cavalieri simili a Dei non li hai mai visti però non paura nasce dentro / Folle nell’alba / tu vuoi conoscere / ciò che nel bosco non c’è / hai scoperto il tuo destino [...] (Parsifal, 1973)
La figura di Parsifal non a caso si trova poi in molte altre storie, ad esempio con il nome di Percival Silente, la troviamo anche nella saga di Harry Potter, in “Harry Potter e i doni della morte”.
 
Alla chiamata interiore è associato sempre un Messaggero che nel caso della storia di Perseo è incarnato da Ermes, un mentore che offre al nostro eroe la possibilità di iniziare il cammino. Spiega a un Perseo disperato, per aver accettato la sfida, come muoversi per trovare gli strumenti magici, come saperli utilizzare e, sopratutto, indica la strada da percorrere per arrivare a Medusa (Il mito di Medusa).

Nel nostro mondo moderno potrebbe essere incarnato dal terapeuta, oppure da una voce interiore che suggerisce di muoversi diversamente e andare oltre la staticità presente nella propria esistenza.

Ogni eroe che si rispetti poi ha delle ferite, possiamo descriverne alcune in senso generale:

  1.  FERITA DA INVASIONE:
    aver vissuto la presenza di qualcuno nella nostra vita in modo pesante, a volte velato. Pensiamo ad esempio all’abuso nei confronti dei bambini, inizia sempre come un modo di provare affetto. Anche aver avuto un adulto con grosse aspettative che ha assunto un ruolo pervasivo nella vita del soggetto, oppure un genitore rigido che pretendeva una omologazione del comportamento del figlio ai propri principi, sono elementi che portano il bambino a sentirsi invaso.

  2. FERITA DA ABBANDONO:
    la morte di un genitore, di una persona cara che può occuparsi del bambino nel processo di crescita disegna nella psiche il senso cocente dell’abbandono.
    Al di là di tale esperienza, esiste un senso di abbandono fortemente connesso alla gestione di un distacco interiore che deve necessariamente avvenire nella vita di ognuno per poter formare la propria individualità nel processo di vita.
    Quasi sempre i distacchi non coincidono con l’età che si ha poiché, a livello interiore, avvengono molto dopo del naturale distacco biologico del bambino dai genitori. Anche corrispondere all’idea altrui per paura di venire rifiutati, sottende un disagio legato al distacco.

  3. FERITA DA PRIVAZIONE:
    è una delle più diffuse a livello psicologico. Aver ricevuto anche molto, ma non necessariamente quello che serviva, genera una "fame", a volte anche in termini reali di cibo, a cui va dato un nome; il bisogno continuo di sesso è un’altro dei modi attraverso cui si manifesta; [...] ci si può saziare di ogni cosa ma non è così facile saziarsi di quello che cerchiamo in ogni cosa." (G. Covini, Le Ferite dell’Eroe).
    Il meccanismo dell’invidia ad esempio, sottende questo genere di ferita perché porta a ritenere di essere sempre in credito con la vita.

  4. FERITA DA VERGOGNA:
    l’idea di non essere mai adeguati per come si è, il dover spesso mascherare i propri reali vissuti, dover alterare i propri comportamenti esagerandoli o deprimendoli, al fine di venire ammessi nel territorio sociale di un gruppo o di una comunità, o dell’intera società.
    Tale meccanismo è fortemente sviluppato dalla nostra dimensione sociale odierna.
    A causa di tale ferita risulta difficile essere solidali con la parte che reclama dei bisogni ma che possono essere seguiti solo se accettiamo quello che ci è possibile avere in quel dato momento della nostra vita.
    "L’aspetto peggiore della vergogna è che si crede di essere gli unici a provarla." (A. Ernaux, La Vergogna). Al fondo di tale ferita infatti esiste l’idea che l’amore non è un diritto, (il bambino ha bisogno di amore per crescere) ma che debba essere connesso ad un merito. Ci si vergogna perché non si merita mai l’amore altrui.
    "La non-condivisione delle emozioni insedia nell’animo della persona ferita una zona silenziosa che parla senza mai fermarsi, una sorta di basso parlante, che mormora in sottofondo un racconto inconfessabile. È difficile tacere ma non è possibile non dire. Quando non ci si esprime, l’emozione si manifesta ancora più forte senza parole: "finché soffre un individuo ferito non parla, tutto ciò che fa è stringere i denti." (B. Cyrulnik, La Vergogna).

  5. FERITA DA TRADIMENTO:
    il tradimento è sempre connesso alla rottura di un patto di fiducia, può accadere con tutti: genitori, persone incontrate nel corso dell’esistenza a più livelli, partner.
    Ma è sopratutto la rottura della fiducia in termini di futuro a creare tale ferita, e questo porta inevitabilmente a non fidarsi di nessuno o a sottoporre gli altri ad innumerevoli prove che spesso non soddisfano nei risultati.
    Uno degli inganni maggiori infatti è dato dall’idea che il problema stia fuori, cioè nell’altro ma non in noi. Questa ferita obbliga dunque al tradimento di se stessi, cioè dei propri bisogni evolutivi perché è difficile stabilire priorità o mete, tanto è radicata dentro. Le gelosia nei rapporti e in generale il bisogno di esclusività ad esempio, sottendono a questo genere di ferita.
 
Le emozioni come sottolinea Kandel, uno dei maggiori studiosi delle relazioni tra funzionamento della mente ed emozioni, sono alla base dei nostri processi di decisione, e anche quando riteniamo di procedere razionalmente sono le nostre emozioni a guidarci.

L’esistenza di due memorie, una esplicita e l’altra implicita, che non può essere recuperata in termini di ricordi ma che ha una grande valenza affettiva, condiziona più di quello che siamo in grado di riconoscere il nostro sguardo e le nostre azioni.

Alla luce di questo possiamo affermare che traumi molto precoci, come la privazione del contatto con la madre, possono generare risposte emotive forti davanti a fenomeni apparentemente non così significativi come il tono della voce, i silenzi, il modo di parlare.

Rispondere alla Chiamata è come aprire le porte su un mondo molto abitato i cui abitanti spesso non sono così familiari per noi.

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    La Dr.ssa Anna Pancallo, psicologa-psicoterapeuta è iscritta all’Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma.

 Svolge l’attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.

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La Dr.ssa Anna Pancallo,  psicologa psicoterapeuta iscritta all'Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma. Svolge l'attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.
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