Il desiderio di evolvere e migliorare richiede una competenza emotiva. Spesso si ritiene che sforzarsi di riuscire in vari campi procedendo su un unico binario, possa consentire traguardi importanti, applicarsi al massimo in tutto. Tale visione poggia su un unilateratismo poco consono all’impianto della psiche poiché essa per sua natura presenta una tendenza polare: và avanti perché può tornare indietro, costruisce perché può demolire, apre all’esterno o chiude ecc.. L’incessante bisogno di produttività tende ad orientare la psiche in una direzione diversa dalla sua modalità di fondo, stimola in un unica direzione così da creare l’illusione di una continua progressione verso il miglioramento che produrrà risultati notevolissimi. Nella pratica giornaliera invece gli individui tendono a scontrarsi con la grande difficoltà di gestione di un istinto che fa della polarità il suo linguaggio elettivo, tale prospettiva pur essendo legittimata da più parti fatica ad essere metabolizzata. In ogni individuo esiste una tonalità espressiva riguardo se stesso e il mondo, e ognuna di queste tonalità contiene in se una polarità, [...] la differenza fra gli esseri umani non è fra chi ha un’emozione e chi ne ha un’altra, ma sulla forma con cui le manifestiamo, sul loro stile. La maniera in cui proviamo a gestire la nostra polarità rimanda alla paura di dover riconoscere che nella propria interiorità possa esistere qualcosa di brutto, come se andare dentro se stessi in una dimensione sociale che predica l’efficienza, possa dover significare dover incontrare ciò che invece dovrebbe essere scartato. Anche la rincorsa ad un eternamente giovane può rispondere a tale vissuto, se si pensa al bisogno imperante di nascondere l’età piuttosto che sostenerla al meglio, le due prospettive infatti, sono nettamente differenti e coinvolgono interventi antiage notevolmente diversi. L’idea del brutto blocca l’andare dentro se stessi; si cercano forme di approccio interiore che possano by-passarlo così da non dover approcciare il disagio conseguente a tale scoperta. Bisogna tornare al concetto di brutto allora ma in un modo nettamente diverso: Ai Greci non si torna, caso mai da essi si riparte. La domanda che dobbiamo porci è: come può l’uomo, nella sua finitezza, dispiegare le sue capacità senza cadere in deliri di onnipotenza? Forse i Greci possono ancora insegnarci qualcosa soprattutto nel nostro tentativo di riproporre un’etica delle virtù. Mai come in questo momento indispensabile. Da questo punto di vista risulta molto utile considerare come la creatura mostruosa per i greci non sia tanto legata al mostro in se, quanto ad un prodigio emanato dalla volontà degli dei, un concetto di grandezza che implica un percorso nuovo e diverso di cui questi esseri immortali si fanno portavoce, come suggerisce Cicerone parlando delle arti oracolari nel De Divinatione: Sono chiamati mostri, apparizioni, portenti e prodigi, le cose che mostrano, che fanno vedere, pronosticano, predicono. Il "mostro" è dunque una figura evocativa del vissuto che anima la psiche. Poter dare al brutto interiore nuove valenze, regolamenta in maniera sottile e creativa la legge dei contrasti interni portando a nuove e stupefacenti acquisizioni, come la figura di Medusa per i greci, nobilitata attraverso il proprio parto, simbolo di un’incessante rigenerazione attraverso la nascita di nuove polarità, sinonimo dell’eterno e incessante rinnovamento della psiche. Letture correlate:
0 Comments
Your comment will be posted after it is approved.
Leave a Reply. |
|
NOTE LEGALI e CONDIZIONI DI UTILIZZO
I termini e le condizioni di utilizzo del sito web si applicano nel momento di accesso e/o utilizzo di questo sito web. Per saperne di più leggi la pagina note legali e condizioni di utilizzo del sito. |
PRIVACY e RETARGETING
Questo sito web usa Google Analytics per l'analisi delle visite e del traffico, inoltre utilizza il pixel di tracciamento di Facebook per fare retargeting. Per saperne di più leggi la PRIVACY POLICY. |