Come le creature del regno acquatico anche gli umani lottano, soccombono e allo stesso tempo resistono ai pericoli, al male, al “nemico”. Un confronto reale con il mare, tra metafora ispiratrice e pratica corpo/mente: una visione e una proposta alla cura di sè stessi. "La cerimonia del nuoto" di Valentina Fortichiari (Bompiani), un libro tra vita e morte, dove il nuoto, lo spazio sconfinato marino e le sfide che i mari e gli oceani rappresentano in un viaggio letterario d'osservazione del vivere che, evidentemente, non riguarda solo tonni, squali e cavallucci marini, è stato un libro ispiratore che ci ha accompagnato nell'esperienza che, anche quest'anno, lo Studio di psicologia e psicoterapia Pancallo ha organizzato presso l’isola di Porto Santo, situata nell’Oceano Atlantico. Il nuotare, lo stile del nuoto, il solcare le acque diventano un paradigma di un altro cammino, quello della vita. Ma il nuoto è anche ritorno alle origini, libertà, condivisione, luogo di composizione dei dolori, delle gioie, è cerimonia di iniziazione e di commiato verso la vita. Il nuotatore deve entrare nell’acqua il più dolcemente possibile, come una lontra che abbandoni la tana. Le intense e vibranti pagine di "La cerimonia del nuoto", scritte con un uso sapiente delle descrizioni e un ritmo che ti abbraccia, che a tratti si ripropone nel forte realismo documentaristico, ci regala alla fine un grande momento catartico: una storia più intensa nello spazio di due capitoli fortemente coinvolgenti. Il lettore, che prima di approdare a questo momento, ha consumato in una lettura vorace il libro, in un rapporto quasi da osservatore d'un mondo affascinante e sconosciuto - ma pur sempre grande ispiratore specchio delle nostre esistenze - viene catapultato in un universo di sentimenti e paure che ognuno in modo diverso ha vissuto, temuto, immaginato nella propria vita. È qui, alla fine del libro, che la presenza degli uomini si delinea maggiormente in un quadro narrativo popolato di balene, unicorni marini, squali e capodogli. Accanto a loro storie di abitanti di luoghi al confine del mondo conosciuto. Predatori e prede in una battaglia, senza esclusioni di colpi, per la sopravvivenza. Sullo sfondo di bellissimi paesaggi tra mare e monti delle isole norvegesi, la relazione di un padre e una figlia. La storia di Arya e di suo padre, della sua crescita, del suo rapporto e iniziazione al mare, della sintonia con il genitore nelle traversate, ogni volta vissute come un riconoscersi e come un tenersi reciprocamente in vita. Nell’infanzia era il papà a orientare la bimba in un cammino educativo e di relazione, nel nuoto. Con l’andare degli anni, dall'adolescenza, è lei Arya, a voler portare il suo papà con sé, è lei a insistere per farsi seguire, con lo scopo di non cedere e non soccombere alla malattia che lo ha aggredito. Ma viene sempre il momento di dirsi addio. Perché nuotare insieme, dal giorno in cui ho potuto seguire mio padre, era per me patto, imitazione, condivisione di radici, appartenenza. I gesti, le bracciate, il modo di uscire con testa e bocca per prendere fiato, valevano come un esempio, un modo per dire 'ecco, sei mia figlia anche in questo'. Si stava in superficie, e non solo in acqua; successivamente, sarebbe venuto il momento di conoscere in profondità il suo garbo, il decoro, i sentimenti mai rivelati per pudore. Ancora adesso nuotare con qualcuno ha per me il significato di un legame affettivo importante e non detto. In quel solcare l’acqua, in quel nuotare tutto si ricompone: È in questi momenti che prendo coscienza di uno stato di grazia indicibile. Sono senza età, senza nome, non ho identità. Non conosco passato né futuro. Solo il qui e ora di puro movimento, muscoli e pulsazioni, respiro. Letture correlate:
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