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Medusa e Perseo: l’incontro

2/3/2021

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Il potere del contatto pone le basi di un'esistenza compiuta. Il potere del contatto getta le fondamenta di una diversa giustizia, ovvero di una convivenza tra diversi. Il potere del contatto si stabilisce nel gioco delle relazioni primarie profonde. Il potere del contatto si instaura nella difficile, feconda naturalezza dei processi intersoggettivi, dove non si comanda in virtù della forza o di un ruolo scontato, ma grazie al riconoscimento e alla disposizione equanime dei partner nel campo organismo-ambiente.
(A. SICHERA)
incontro, Perseo, Medusa, trasformazione, Studio Pancallo, psicologia, psicoterapia
Illustrazione Martinez Flores
Il materiale presente nei miti greci può essere utilizzato per vari approcci. Allo  stesso tempo bisogna tenere in conto che la narrazione mitologica non rappresenta la storia reale di un evento, ma racchiude in se il bisogno di trasmettere concetti ed esperienze al fine di sostenere l’uomo nel suo cammino di vita. In questo senso possiamo guardare al mito in vari modi, senza imprimere forzature che ne altererebbero i presupposti, occultando la forza implicita contenuta negli eventi che descrive.
La storia di Perseo e Medusa è una delle narrazioni più ricche di riferimenti al concetto di trasformazione che pone in primo piano nell’impatto, il tema dell’Incontro tra il giovane e il mostro. Cosa si vuole evidenziare nel mettere in relazione l’eroe e la fanciulla trasformata, a causa di una punizione della dea Atena, in una creatura orripilante?
Il mito trasfigura, il suo divenire implica una metamorfosi, una trasformazione, è la storia di un’alchimia, segna un passaggio. Il mito è il racconto di un transito, di un’esperienza che trasforma. Il mito è un divenire dentro l’Essere, dalla potenza all’atto, non fuoruscendo dal solco e dalla matrice.
(M. Veneziani, ”Alla Luce del Mito”)
Entra in gioco il tema della relazione tra se e se e tra se e gli altri.
Incontrare il diverso è una scelta o una necessità insita in noi? E ci si può sottrarre?

Se consideriamo l’attrito come uno degli aspetti fondanti riguardo al funzionamento umano, ci rendiamo conto del fatto che siamo obbligati dal nostro modo di procedere, a prendere in considerazione elementi dell’esperienza che a prima vista appaiono sullo sfondo, tanto da farci pensare che possano essere considerati trascurabili. Nell’esperire la vita spesso si parte da considerazioni lineari, tipo:“se mi tratto bene starò bene”, ”se mi tengo lontano dal malessere non soffrirò” ; poi, cammin facendo, ci si accorge che emerge la polarità dei nostri vissuti emotivi ed allora l’aspetto della disarmonia assume un ruolo tutt’altro che secondario.

Gian Carlo Roscioni in un suo testo sulla scrittura di Emilio Gadda parla di “Disarmonia Prestabilita”, per spiegare come nell’autore un elemento dominante nella scrittura, faccia da contraltare ad un’altro più sottile e ne evidenzia le ambiguità. Il termine era stato precedentemente utilizzato da Calvino riferito alla lettura degli autori:“la disarmonia prestabilita segna un momento nuovo, un modo nuovo di leggere un autore.”.

La disarmonia come ponte di collegamento verso domande più ampie, come disvelamento di un piano di realtà più complesso che ci consente di operare in armonia con la disarmonia di noi stessi e degli altri.

L’Incontro tra Perseo e Medusa pone l’attenzione su tale aspetto, il giovane Perseo difatti non è conscio della propria disarmonia finché non incontra la deformità di Medusa, lui che ha subito molti torti: un nonno che lo ha scacciato dal proprio regno, un pretendente della madre che vorrebbe allontanarlo, un padre mai conosciuto, rappresenta a pieno titolo l’eroe coraggioso ma ingenuo, del tutto inconsapevole del proprio disagio.

Ma è questo bisogno di andare verso Medusa, dapprima per conquistare un trofeo, poi come qualcosa dal quale dipende anche la sua trasformazione, che si pone alla nostra attenzione in maniera particolare.


Questo aspetto ci collega al concetto di trauma, in senso emotivo, una condizione non evitabile quando si attraversa l’esperienza di vita.

E allora Medusa nella sua condizione sembra voler dire: vedi Perseo la rabbia e la tristezza che mi avvolgono come una nebbia? Non posso perdonare, vivo in una casa che non voglio abbandonare, cambiate voi le vostre dimore, forse perché la memoria di cui siete fatti è debole? Queste le mie risorse!

Dimmi perché sono qui sola? Dimmi perché, oh Atena, mi hai così trasformata? Bella un tempo era la mia pelle e candida. che da Poseidone mi fu violata. Ora sono sola in questo tempio senz’anima ingiustamente da te punita. Nessuno mi guarderà gli occhi miei che mutano in pietra anche i boccioli di rosa. Spero arrivi all’alba un Dio o un guerriero che taglierà questa mia orribile testa. Mi hai così trasformata, dimmi perché, oh Atena? Dimmi perché sono qui sola?
(M. Lucchini, Il Lamento di Medusa)
Perseo rimane spiazzato da questo primo impatto, non sa bene come muoversi e teme l’effetto paralisi, è la reazione che sopraggiunge davanti all’emergere della disarmonia, il nostro abituale sistema di riferimento è spiazzato, deve trovare un’altro linguaggio per potersi rapportare.
Lo psichiatra Boris Cyrulnik, ha indagato in modo originale la complessa struttura del trauma e al riguardo sottolinea un aspetto importante:
Quando si è vissuta un’esperienza [...] nel nostro cervello viene tracciato un circuito di memoria. Diventiamo ipersensibili a un tipo di informazione che, ormai, percepiamo con più intensità degli altri. Così si costituisce un mondo in passato nascosto, quello della memoria implicita: le esperienze pregresse che influenzano inconsciamente le percezioni i pensieri e le azioni. [...] La memoria traumatica funziona un po’ così: un’immagine chiara sorprendentemente precisa, circondata da percezioni sfuocate, una certezza avvolta di credenze. Questo tipo di memoria, simile a un’impronta biologica, non è inesorabile, anche se tracciata nel cervello. Evolve a seconda degli incontri che portano il cervello a reagire diversamente. [...] Il fatto di essere in grado di farsi una rappresentazione verbale di quanto ci accade, e di trovare qualcuno a cui raccontarla, facilita il controllo emozionale. Il senso di sicurezza impedisce quindi alla memoria visiva di impadronirsi del mondo interiore imponendo delle immagini terrificanti. [...] Il film che proiettiamo nel nostro mondo psichico è l’esito della nostra storia e delle nostre relazioni. [...] È a questo teatro interiore che noi rispondiamo applaudendo, piangendo o indignandoci, mentre ignoriamo le tracce non coscienti e i ricordi eliminati.
(B. Cyrulnik, La Vita dopo Auschwitz)

Nell’esperienza dell’Incontro con Medusa, Perseo agisce, e il portare con se l’aiuto degli Dei sotto forma di strumenti magici, gli consente di dirimere i suoi spettri interiori così da non esserne dominato.
L’importanza fondamentale dell’Incontro tra i due sta proprio in questa modalità relazionale; ognuno dei protagonisti agisce dalla propria condizione per andare oltre la stasi nevrotica che impediva una loro evoluzione.
Questo perché come acutamente sottolinea Paolo Legrenzi:
La coscienza non sfugge alla legge dell’adattamento biologico, anzi, ne costituisce il massimo esempio: essa emerge quando il comportamento è ostacolato da eventi problematici in ordine alla sopravvivenza dell’organismo, e, una volta svolto il proprio ruolo adattivo, tende ad eclissarsi a farsi sostituire dagli automatismi comportamentali.
(P. Legrenzi, "Perché abbiamo bisogno dell’Anima")
Uno dei passaggi più delicati di trasformazione del trauma è il ritorno nel dolore psichico senza esserne dominati, come sottolinea Massimo Recalcati con un acuta sintesi:"Si dimentica perché si può ricordare.". (M. Recalcati, "Incontrare l’Assenza").

L’Incontro tra Perseo e Medusa avviene perché hanno entrambi bisogno di rientrare nel trauma per superarlo ed andare oltre, il favore degli dei rappresenta il sostegno delle forze inconsce affinché tutto questo possa compiersi.

La ricerca del senso attraverso il racconto è essenziale tanto per la psiche individuale quanto per quella collettiva. Al cuore della narrativa individuale - e forse di quella universale - sta la tragedia, costituita dal racconto del l’ambivalenza umana e della sottomissione al destino.
(L. Zoja, Giustizia e Bellezza)
Attraverso il racconto mitico possiamo dare forma all’ambivalenza, riempirla di significato e imparare a condurla. Perseo parte per portare a casa la testa di Medusa come un trofeo che lo renderà più forte, l’esperienza dell’incontro cambia la sua visione e lo porta a sviluppare doti di mobilità e astuzia che si rendono necessari per superare le prove che lo aspettano. Il mito ci dice che le nevrosi sono sempre esistite, la psicoterapia ci consente di descriverle in modi nuovi, ed è a questa possibilità che dobbiamo attingere dando nuova forma ai racconti esistenti sull’uomo e le sue necessità di vita.

La nostra visione del mondo non può astenersi dal dare valore all’inconscio che possiede una memoria traumatica e quindi da qualche parte, un mostro da stanare dentro di noi. Il valore dell’Incontro tra Perseo e Medusa è proprio qui, e il mito è presente per rinnovare tale ricordo con la sua narrazione, e se a questa storia diamo contenuti nuovi, in linea con ciò che la ricerca psicologica ci suggerisce, potremo essere a passo con i tempi, beneficiando dei contributi che la ricerca sa offrire.

Abbiamo bisogno di una competenza che si ottiene esercitando la sublime arte della propria ambivalenza. Per questo ci vogliono storie che stimolano all’esercizio interiore e tanto allenamento.

Diversi studi junghiani hanno dato una prospettiva approfondita riguardo all’immaginario umano che troviamo nei miti, nelle religioni e nelle arti. Linguaggi pervasi da archetipi che costituiscono i fondamenti universali della psiche e il loro dispiegarsi attraverso processi.
Il bisogno di storie non è meno vitale per un bambino del bisogno di cibo, e si manifesta con lo stesso meccanismo della fame. Raccontami una storia, dice il bambino. Raccontami una storia.
Ti prego, papà, raccontami una storia. Allora il padre si siede e racconta una storia a suo figlio. Oppure si sdraia accanto nell’oscurità, tutti e due nel letto del bambino, e comincia a parlare, come se la sua voce fosse la sola cosa rimasta al mondo, raccontando una storia a suo figlio nell’oscurità. Spesso è una fiaba, o un racconto di avventure. Altrettanto spesso, però, non è che un semplice passo nell’immaginario.
C’era una volta un bimbo di nome Daniel, dice A. a suo figlio che si chiama Daniel, e queste storie, in cui l’eroe è il bambino stesso, sono forse quelle che lui preferisce. Allo stesso modo, A. comprende che, mentre seduto in quella stanza scrive Il Libro della Memoria, sta parlando di sé come se fosse un’altro per raccontare la propria storia.
Deve assentarsi per essere presente. E così dice A. anche se intende Io. Perché la storia della memoria è una storia di sguardo anche se le cose che si devono vedere non ci sono più. Per questo la voce prosegue. E anche quando il bambino chiude gli occhi e si addormenta, la voce di suo padre non cessa di parlare nell’oscurità.
(P. Auster, "L’Invenzione della Solitudine")
Cresciamo cullati da un immaginario che fa da sfondo alla nostra esperienza di vita, ma questo linguaggio non elimina le asprezze determinate da un attrito che arriva sotto varie forme, un po’ come le prove di vita che Perseo porta con sé. Ma è la consuetudine ad un allenamento interiore, volto a non escludere la polarità, che può portarci a trovare soluzioni nuove e ad allargare i confini della nostra coscienza.
Gli eroi semplificati dell’industria dello spettacolo ci intra-[t]tengono,ma non raccontano l’uomo. Si limitano a facilitarci il compito di riempire le porzioni di tempo che sentiamo vuote, il non-tempo che sta fra (intra)gli impegni più ‘produttivi’. Sono scacciapensieri, intra-tempo, passa-tempo che combatte il non-tempo. Conservano una segreta parentela con il vuoto che a malapena nascondono. Finito il racconto, può restare in noi una sensazione vagamente piacevole: eppure, l’intrattenimento non lascia la mente in attività; si dimentica. Non avendo profondità, le sue storie non proiettano ombra: non resta, così, né un buio da illuminare né una zona grigia da esplorare. Ci lasciano un rilassato distacco, invece di una turbata identificazione. Ci tranquillizzano, forse davvero ci an-estetizzano: infatti seguitando a consumare questi spettacoli, perdiamo il senso estetico. Per contrasto, l’industria dello spettacolo ci ha riportato alla cultura greca: solo l’eroe tragico accende l’identificazione, ispirando terrore e pietà.
 Questo significa che il vero eroe è tragico e non si può racchiudere nelle tradizionali categorie di bene e male. Il suo paese è la complessità, la sua casa è nella zona grigia [...], il suo eroismo non sta sul campo di battaglia, si dispiega all’interno dell’anima.”
(L. Zoja, Giustizia e Bellezza)
È proprio a questo punto della storia che Perseo guarda Medusa e comprende che per poter vincere nello scontro deve percepire il proprio senso di fragilità senza sottomettersi ad essa. E così facendo compie un gesto grandioso, guarda Medusa attraverso lo scudo, e ne intuisce la sofferenza, allora colpisce, colpisce! Si, ma per liberarla!

Viene un momento in cui il conflitto deve assumere una forma vitale, accendere la fiamma dell’energia anziché spegnerla. Questa consapevolezza di un legame con Medusa consente a Perseo un gesto di grande gentilezza in suo favore, custodisce con cura la testa brutta e sanguinolenta, successivamente, la poggia con estrema attenzione su uno strato di foglie, affinché non si sciupi.

Si coglie una fierezza in questo gesto che rende Perseo vicino a tutti noi, un po’ come un fratello maggiore che indica la strada. Egli si nutre della propria storia, interpretandola fino in fondo, vuole sperimentare una sua completezza nel rapporto con il mondo. E in questa interpretazione di se stesso si applica con decisione e desiderio, poiché per lui ‘Essere’, anche quando non può fare altro che andare verso il mostro, è la cosa per cui vale la pena vivere.

Infine, il taglio prima e la gentilezza del deporre il capo mozzato dopo, denotano un’intimità profonda tra loro, capace di far emergere quell’elemento unico di umana comprensione che esprime la grandezza di un destino compiuto.

Ora, in lontananza si odono gli echi delle tante battaglie reciproche e intanto, si fa strada, la magia di un’atmosfera nuova, scaturita, dall’incanto di un Incontro.


Letture correlate:
  • Il Parto di Medusa: Una riflessione sulla polarità
  • Anfesibena: la polarità declinata
  • Trasformazione
1 Comment
Luisella CALCINOTTO
6/4/2021 12:02:17

Grande intensità in questo brano e nell'analisi che porta a confrontarsi con l'identificazione nel racconto delle storie al bambino. Un (come) ritrovare se stessi,
come imparare ad alleggerire parti un po' aggrovigliate, a sbrogliarle e guardarle in modo diverso...quasi conciliato...prima di agire.

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    La Dr.ssa Anna Pancallo, psicologa-psicoterapeuta è iscritta all’Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma.

 Svolge l’attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.

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La Dr.ssa Anna Pancallo,  psicologa psicoterapeuta iscritta all'Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma. Svolge l'attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.
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