L’Alfabetizzazione Emotiva sta nella capacità di riconoscere ciò che si prova e di poterlo modulare in rapporto alla realtà che si vive. Cosa si oppone oggi a questo tipo di possibilità evolutiva? La crescente necesssità di individuare bisogni connessi ad un piacere legato ad un esterno, ed inoltre la difficoltà di riconoscere le spinte interiori che governano l’individuo hanno portato ad una tensione nevrotica verso la realizzazione di un mondo ideale connesso ad una visione virtuale dell’esistenza. In questo tempo la frattura tra conscio e inconscio è divenuta maggiormente marcata, uno spazio popolato da fantasmi che rende piuttosto difficile l’individuazione di un sentire che non può essere solo in rapporto a se stessi quanto piuttosto in una relazione tra se e il mondo. Un interessante libro di C. Bollas, parla di “Età dello smarrimento” per intendere il crollo dei valori umanistici venutasi a creare dopo la fine della Grande Guerra. I cosiddetti millennial si sono formati all’interno di una cultura di massa che rigetta il mondo interiore perché considerato un ostacolo al raggiungimento di obiettivi materialistici, questa tendenza trova il suo appagamento in una comunicazione veloce e sintetica, l’unica in grado di confermare una visione del mondo sottomessa al proprio ego. La deriva narcisistica però non è in grado di fornire risposte a quelle turbolenze interiori che spesso affondano le radici in un disagio familiare e sociale antichi. Il superamento di traumi pregressi è stato affidato alla tecnologia, che appaga, piuttosto che ad una lenta ricostruzione capace di riordinare sogni e frammenti di bisogni passati, trasformati in macerie dal vento forte che attraversa l’esistenza. Oggi siamo ad un punto in cui bisogna reggere le intemperie per poter guardare con fiducia ad una evoluzione possibile e i problemi giovanili rispecchiano una “crisi morale”, tale è stata definita dall’Institute for Policy Studies nel 2017, che esplicita in modo chiaro la difficoltà di dar credito a se stessi e alle proprie risorse. La crisi risiede principalmente nel fatto che tutto diviene merce, anche i vissuti emotivi. Se risultano appaganti allora vale la pena esplorarli altrimenti meglio lasciar perdere. Questo dato risulta confermato dalla crescente richiesta psicologica in vari ambiti a cui non fa necessariamente seguito un processo di maturazione. Nelle famiglie i genitori faticano ad accettare che risulta importante non solo dare ma porsi nella condizione di trasmettere un eredità interiore; questo passaggio risulta spesso confuso o fuorviato e porta inevitabilmente a cercare degli pseudo maestri nel web. Il valore della trasmissione esperenziale risulta indebolito, ne consegue che spesso i giovani trovano una ragion d’essere in letture semplicistiche della realtà che offrono conforto circa l’insicurezza interiore. Alla lunga questa tendenza al rifugio alimenta derive paranoiche che trovano il loro fondamento nel conflitto verso il mondo esterno. Tutto questo può assumere i contorni di un dramma collettivo mondiale? Si, e in parte lo è già. Il dilagare dei fenomeni di violenza giovanile si muove in questa direzione. L’importanza della trasmissione genitoriale e sociale frena la tendenza di ributtare in maniera incontrollata i propri vissuti di paura e angoscia all’esterno. Nel pieno di un vissuto pandemico appare evidente come gli stop conseguenti al pericolo di libera circolazione abbiano giustificato un disagio giovanile che affonda le sue radici in processi pregressi. Il vissuto iniziale di ogni bambino è quello di rifugiarsi in se per evitare l’insoddisfazione ogni volta che non viene compensato. Laddove i genitori e le figure sociali offrono una valida alternativa a questo disagio, insegnando al bambino come sopravvivere al proprio senso di frustrazione, stanno cooperando per insegnare come tollerare un processo che, allenato, può portare ad uno stato di minor difficoltà nelle tappe di crescita, e una migliore collocazione di ciò che si è in rapporto al mondo.
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