Vicinanze animose è il prologo a "Nemici Miei, la pervasiva rabbia quotidiana", di Nicoletta Gosio, edito da Einaudi che consigliamo vivamente di leggere (trovi il link QUI!). Successivamente proporremo una nostra recensione specifica. Vicinanaze animose di Nicoletta Gosio Love is in the air (l’amore è nell’aria) è il felice titolo di un grande successo discografico di qualche decennio fa. Magari non era proprio così neppure allora, vivere in armonia, andare d’amore e d’accordo non è mai stata una prerogativa dell’umanità; ma di certo oggi suonerebbe più appropriato «rage is in the air» (la rabbia è nell'aria). La rabbia, l’aggressività è nell’aria: la respiriamo, la avvertiamo, la condanniamo, ne soffriamo tutti. E tutti in fondo pensiamo che i responsabili, quelli che sbagliano, i cattivi, in continuo aumento, siano gli altri. Quegli altri, vicini o lontani, familiari o estranei, che sempre più vengono percepiti come un intralcio al proprio cammino, una possibile fonte di prevaricazioni e vessazioni, una minaccia reale o potenziale. In una parola, nemici. La figura del nemico per antonomasia – e dunque della non accettazione –, quello con la enne maiuscola, è incarnata dallo straniero. Ma se pure toccheremo il tema dell’inquietante risorgere dell’odio etnico e interrazziale, la mia attenzione è principalmente rivolta a quanto sta accadendo nel nostro contesto abituale, nell’ambito degli ordinari rapporti fra membri della medesima “civilissima” comunità. È fra “eguali” infatti che il presente appare prepotentemente contrassegnato da un crescendo di espressioni di ostilità, insofferenza e reattività esasperata. Ed è nelle nostre relazioni quotidiane che in un clima sempre più offuscato dalla facile offesa e da una fin troppo vivace propensione all’accusa, l’inasprirsi dei toni, il ribollire di tensioni e animosità vanno di pari passo col subdolo diffondersi della tendenza ad attribuire sempre a qualcun altro, o più genericamente a fattori esterni, la causa dei propri malumori, fallimenti, sventure o sofferenze, facendone il bersaglio di collere, passeggere o persistenti. Così, la considerazione che un dispiacere, un risultato sgradito, un intralcio, una difficoltà relazionale possano derivare, quantomeno in parte, da disposizioni personali, da una visione condizionata dal proprio mondo interiore e dai fantasmi che lo abitano, di massima ignoti pure a se stessi, trova sempre meno posto. Che la colpa sia sistematicamente di altri, con i quali perciò posso prendermela, è già facilmente verificabile nelle spicciole quisquilie domestiche, laddove se, per esempio, urto un soprammobile, che cade e si rompe, è perché qualcun altro lo aveva messo male; se sbaglio strada è a causa di chi mi stava distraendo; se prendo una multa in divieto di sosta lo devo al vigile odioso. Questi sono ancora modesti peccati veniali di autoassoluzione da cui nessuno è esente, che di norma non inquinano stabilmente l’atmosfera. Se allarghiamo però la panoramica gli effetti si amplificano in maniera significativa in quello che si sta configurando come un tratto saliente del presente. È un abito mentale ormai ampiamente generalizzato il connubio tra stati d’animo connotati da risentimento e l’inconsapevolezza del ruolo svolto da problematiche del tutto personali nel maturare la ferma convinzione di essere oggetto di malevolenza altrui. In altri termini, il ricorso a dinamiche psichiche di proiezione attraverso cui si spostano all’esterno, sull’altro, immagini interiori, caratteristiche, inclinazioni, conflitti e stati affettivi che non si riconoscono come propri. Meccanismi proiettivi, di spostamento e di scissione interna (le polarità opposte e non conciliabili amico/nemico, buono/cattivo, odio/amore, ecc.) sono costantemente attivi in moltissime forme comuni del pensiero, nel continuo rispecchiamento tra mondo interno e mondo esterno in cui cerchiamo di tenere a bada le nostre angosce e trovare conferma della capacità di far fronte ai limiti e alle incognite a cui la vita ci espone. Li rinveniamo già nell’animismo dei popoli primitivi che attribuivano intenti e poteri soprannaturali all’ambiente circostante – e che tuttora permane nella prima infanzia come propensione a dotare di sentimenti e volontà oggetti inanimati –, come nel colorito e turbolento pantheon delle divinità greco-romane, così simili alle nostre umane debolezze ma assai più potenti. Ancora, sono presenti nei miti, nella creatività artistica, nelle credenze superstiziose, nel tema del “doppio” tanto caro alla letteratura di ogni tempo, da Euripide a Plauto, da Dostoevskij a Stevenson, da Oscar Wilde a Saramago, per citare solo alcuni autori. Proiettiamo aspetti di noi (e della nostra storia personale) nell’innamoramento e nella gelosia, nell’amicizia, nelle simpatie o antipatie in genere, quando ci immedesimiamo nei personaggi del grande schermo o dei romanzi, nell’attaccamento a oggetti che acquistano valore affettivo. In misura maggiore, l’uso difensivo della proiezione interviene nelle intransigenti valutazioni degli altri e nei pregiudizi, nella sempiterna rigida contrapposizione fra buoni e cattivi, nella paura di essere giudicati, nel sospetto e nella diffidenza ad ampio raggio. Ed è alla base dell’ancestrale costruzione di capri espiatori, singoli o categorie – nella storia, omosessuali, malati di mente, ebrei, ecc. –, sui quali riversare la responsabilità di ogni sorta di male. I n origine rito espiatorio di purificazione dai peccati attraverso il sacrificio di un animale, vittima innocente, la designazione di un colpevole al posto nostro è un meccanismo che anche l’evoluta società moderna non cessa di utilizzare come strumento di discriminazione e persecuzione. «L’ostilità, della quale nulla si sa e nulla si vuol sapere, viene reietta dalla percezione interna verso il mondo esterno, e in tal modo separata dalla propria persona e sospinta su quella dell’altro», scrive Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi. «La proposizione ‘io odio’ è trasformata per proiezione in quest’altra: ‘egli mi odia’ (egli mi perseguita), il che mi dà quindi diritto di odiarlo.».
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