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Dalla crisi pandemica ad una prassi psicoterapeutica aggiornata

4/5/2021

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Il danno neurologico da covid, a lungo termine, sarà il fattore più preoccupante.
(Sonia Villapol, intervista de El Pais)
Pandemia, Covid, Neurologia, neurologico, Studio Pancallo, psicoterapia, psicologia
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
La ricercatrice galiziana Sonia Villapol, in una intervista apparsa nelle colonne de El Pais, avverte che ci sono più di 50 effetti persistenti causati dal coronavirus e che il danno che, a lungo termine, sarà il più preoccupante riguarda proprio l’aspetto neurologico.
Sonia Villapol lavora presso il Texas Medical Center di Houston, dove è ricercatrice e professoressa presso il Center for Neuroregeneration del Methodist Hospital Research Institute. Lì, la neuroscienziata, laureata in biologia molecolare e biotecnologie, ha il suo laboratorio che concentrata la ricerca su nuovi trattamenti per i danni cerebrali e sulla scoperta di terapie alternative che possano recuperare il cervello danneggiato o che riducano la risposta infiammatoria e le drammatiche conseguenze negli altri organi.

Da un anno, la ricercatrice, fa parte dell'International Covid-19 Research Team (COV-irt.org) che analizza come il coronavirus colpisce il cervello.

L’attenzione sulla problematica che il virus possa creare problemi di tipo neurologico, spiega la dottoressa intervistata dal giornalista de El Pais, viene dal fatto che la via di ingresso del virus nelle cellule è attraverso i recettori dell'angiotensina. Questi recettori per l'enzima di conversione dell'angiotensina II (ACE2) sono la via di ancoraggio del virus, quindi sin dall'inizio si sapeva che ciò avrebbe avuto delle conseguenze di tipo neurologico.

I recettori dell'angiotensina sono i più importanti recettori del sistema nella regolazione della pressione sanguigna. Il virus ha dei “ganci” che si attaccano a questi recettori ACE2 che si trovano nelle cellule umane e funzionano come una chiave. Ci sono recettori ovunque nel nostro corpo con proporzione maggiore o minore a seconda dell’organo: polmoni, intestino, cuore, cervello.

Anche i neuroni sono forniti di recettori e, come racconta Sonia, è stato uno shock quando si sono avute le evidenze che questo avrebbe causato problemi di tipo neurologico come avviene per molte malattie infiammatorie tanto che, se la carica virale è particolarmente virulenta, non esiste un organo del corpo al sicuro.

Essendo questa malattia fondamentalmente una malattia infiammatoria e cardiovascolare - anche le cellule nei vasi sanguigni hanno questi recettori di ancoraggio - e una malattia multisistemica, cioè che colpisce tutte le cellule, tutti gli organi del corpo sono suscettibili a danni proprio a causa dell’infiammazione che il virus scatena.

Un anno fa non si sapeva quasi nulla, racconta la nostra ricercatrice:
... ora stiamo lavorando alla ricerca sul microbiota cerebrale e sull'intestino e abbiamo scoperto che il Covid-19 gioca un ruolo molto importante in tal sneso poiché ci sono cambiamenti del microbiota associati all'infiammazione nelle prime fasi della malattia. Così cerchiamo di identificare i batteri che possono essere predittori di gravità per capire come si evolverà il Covid a lungo termine. Il microbiota è la nostra flora intestinale: batteri. A seconda della diversità del proprio microbiota si può essere più o meno sano. Lo stato del microbiota è altamente associato a malattie, comprese le malattie del sistema nervoso. Il Covid ha una fase molto infiammatoria che fa cambiare il microbiota e, a seconda dei batteri che sopravvivono e di quelli che non lo fanno, possiamo più o meno prevedere come si svilupperà la malattia.
(Sonia Villapol, intervista de El Pais)
Quindi la flora intestinale è un indicatore della nostra salute e sappiamo che con molte malattie esiste una relazione di causa ed effetto diretta.

Il Center for Neuroregeneration del Methodist Hospital Research Institute, “capitanato” da Sonia Villapol, ha sviluppato uno studio sui giocatori di football americano dove è stato rilevato che, anche se i giocatori prendono colpi nella testa per tutta la stagione sportiva, non essendoci biomarcatori per le commozioni cerebrali, anche ad uno studio approfondito le scansioni cerebrali si rivelano perfette, mentre sono stati identificati cambiamenti a livello del microbiota.
Quando c'è una commozione cerebrale o una lesione cerebrale si potrebbe non vedere nulla su una scansione cerebrale poiché non ci sono biomarcatori nel sangue, o non sono abbastanza sensibili, ma ci sono cambiamenti nella flora batterica, quindi il danno causato dai colpi recepiti da queste persone può essere previsto dai cambiamenti nel loro microbiota.
(Sonia Villapol, intervista de El Pais)
Così l'infiammazione può essere rilevata in una persona e possono essere eseguiti diversi tipi di interventi di riabilitazione. Ad esempio, nel football americano , con tali e tanti colpi continui, si consiglia di fare una pausa fino a quando questa infiammazione non si attenua o si può consigliare la somministrazione di un probiotico, il quale può sostituire questa flora batterica che è stata alterata.

Anche in Inghilterra è appena uscito uno studio simile sui giocatori di rugby in cui sono stati rilevati cambiamenti nell'RNA nella saliva dopo una commozione cerebrale. Ma, come abbiamo detto è molto difficile diagnosticare qualcuno che ha subito ripetuti colpi alla testa e non ha avuto lesioni gravi ed evidenti, ma gli effetti di questi colpi alla testa sono strettamente correlati a lungo termine, soprattutto sui 50 anni di età, ad episodi di depressione, ansia, atti violenti, suicidi, sviluppo del Parkinson o dell'Alzheimer precoce.

Questo è dovuto all'accumulo di infiammazioni croniche nel tempo, che non vengono mai rimosse dal corpo e nemmeno individuate, come abbiamo detto sopra, perché non ci sono buoni marcatori per queste lesioni cerebrali “occulte”. La proposta, scaturita dalla ricerca di Sonia Villapol e del suo team, è indirizzata a trovare le evidenze dell’infiammazione che causano i problemi di tipo neurologico nell'intestino.

Ma qual’è la connessione tra il microbiota e il cervello?

Nell'intestino ci sono circa 500 milioni di neuroni che compongono il sistema nervoso enterico. Questi neuroni si connettono al nervo vago, che a sua volta collega gli organi periferici al cervello. C'è una connessione nervosa molto veloce; i cambiamenti di gonfiore nella pancia o nell'intestino vanno direttamente al sistema nervoso.

Poi c'è un'altra via più lenta, quella dei metaboliti e dei neurotrasmettitori, sostanze che questi batteri secernono nel sangue e che inviano segnali al cervello.

Queste sono tra le principali attività della dottoressa Sonia Villapol e del suo team, ma ce ne sono altre, non meno importanti, legate ai vaccini o a ciò che viene chiamata “somministrazione di farmaci”.

I vaccini a RNA sono stati realizzati con nanoparticelle e nel laboratorio della ricercatrice vengono utilizzati per proteggere il cervello, per somministrargli trattamenti antinfiammatori e proteggerlo dai danni causati dai virus, come succede nel caso del Covid-19, e farlo recuperare più velocemente.
Il problema con il danno cerebrale è che i farmaci non arrivano dove dovrebbero poiché non ci sono buoni vettori. Uno dei successi di questo anno pandemico è che queste nanoparticelle assicurano che i vaccini raggiungano le cellule bersaglio in modo efficiente e senza alcun rigetto da parte dell'organismo e, apprendendo da questi meccanismi di rilascio di farmaci con nanoparticelle, stiamo conducendo studi per trattare il cervello.
(Sonia Villapol, intervista a El Pais)
Il virus, durante e dopo la malattia può causare altri danni cerebrali ed a livello acuto è una bomba. Quella che viene chiamata tempesta di citochine, una risposta infiammatoria che si manifesta in modo diverso in ogni persona e che può essere brutale - anche se non si sa perché ci sia così tanta variabilità e suscettibilità da persona persona, sia per tipo di risposta al Covid che per gravità - nel cervello provoca danni allo strato che protegge i neuroni.

Uno dei documenti appena pubblicati dal Center for Neuroregeneration del Methodist Hospital Research Institute, frutto di ricerche svolte con ricercatori provenienti da Svezia, New York, Messico, Boston e Atlanta, elenca più di cinquanta effetti a lungo termine di Covid persistente dopo la guarigione dalla malattia.

Non sono tutti effetti a livello neurologico ma la stragrande maggioranza si. Il disturbo più importante è la stanchezza cronica, che colpisce fino al 60% di coloro che si stanno riprendendo dall’infezione da Covid, ma sappiamo che ci sono altri sintomi come mal di testa, anosmia, disturbi dell'attenzione o perdita della memoria. Nelle persone anziane con demenza o Alzheimer sopravvissute al Covid-19, queste malattie sono notevolmente accelerate.
Sulla base dell’esperienza di altre malattie virali, sappiamo che questa infiammazione cronica causata dal Covid potrà portare allo sviluppo di Alzheimer, Parkinson o altre malattie neurodegenerative. Sarà molto probabile che nei prossimi anni ci sia un aumento dei casi di Alzheimer. Questa è un'ipotesi abbastanza fondata visto che è già accaduta con altre malattie virali e, in ogni caso, l'aggravarsi di malattie neurodegenerative preesistenti, dopo aver sofferto di covid, è un fatto provato.
(Sonia Villapol, intervista a El Pais)
Importante è anche notare che ictus e danni cerebrovascolari sono aumentati del 3% senza condizioni di rischio preesistenti. L'1,4% dei pazienti ricoverati per Covid ha un ictus. Dati sostenuti da alcuni importanti studi sviluppati dall'ospedale di Albacete, e anche dalla meta-analisi fatta su un campione di 18.000 casi di Covid dal Center for Neuroregeneration del Methodist Hospital Research Institute.

Il 3% è un aumento percentuale molto alto con relazione ad ictus e dannicerebrovascolari. L'ictus è una questione preoccupante, così come lo stress post-traumatico, ma ci sono altre malattie associate alla “stanchezza pandemica” classificabili come effetti neurologici causati dell’infezione virale: ansia, depressione, malattie psichiatriche e problemi del sonno.

Dopo il superamento della malattia è comune che si inizi a soffrire di questi disturbi anche dopo alcuni mesi. Tale fenomeno colpisce tutti, anche i giovani che hanno superato il Covid senza sintomi o persone che hanno superato l’infezione come un semplice raffreddore e, mesi dopo, presentano mal di testa, vertigini, stanchezza, dolori muscolari.

Molte persone non associano al Covid questi disturbi e questo sarà un problema anche a livello clinico, ma studi preliminari dicono che tra il 10% e il 30% delle persone che hanno avuto il Covid-19 hanno questi strascichi.

Molte persone colpite dal virus hanno difficoltà a recuperare la loro condizione fisica, spesso anche mentale e, soprattutto, manifestano problematiche respiratorie e cardiache. Tutto ciò ha ripercussioni sull'economia: le persone sono stanche al lavoro, hanno il fiato corto e non si comportano come di consueto. Il Covid persistente può anche influenzare i ragazzi, le loro prestazioni a scuola, anche se hanno superato l’infezione senza sintomi. Così il post Covid è, e sarà, un problema sociale e di salute pubblica.

Per quanto riguarda parti del cervello che possono essere particolarmente vulnerabile al Covid, Sonia Villapol spiega che non ci sono molti studi autoptici in tal senso ma cellule danneggiate sono state trovate nell'ippocampo e nella corteccia, che sono regioni cerebrali correlate, a seconda di quali aree vengono colpite dal virus, con perdita di memoria, disfunzione motoria, stati di confusione o con ciò che viene chiamata “nebbia cerebrale”. Di solito si tratta di stati transitori, ma possono anche essere disturbi dolorosi e debilitanti che si cronicizzano.

Un’altra questione importante che la dottoressa Sonia Villapol ed il suo team stanno cercando di scoprire è la relazione tra il microbiota e una possibile infezione, in sostanza se sarà possibile capire anticipatamente se una persona soffrirà di un virus.

I problemi intestinali sono uno dei primi sintomi del Covid. Quello che si sa dopo anni di studio del microbiota è che è molto difficile ripristinarlo. Quando c'è una disbiosi batterica (cambiamenti nei batteri) che colpisce i lattobacilli, che scendono abbondantemente, è inutile prendere una pillola con un probiotico e basta poiché è difficile creare un ambiente colonizzante per batteri buoni e qualsiasi alterazione dovuta a una malattia, come il cancro o il Covid, modifica questi batteri ed è difficile ripristinare la flora benefica.

Ci sono trattamenti per tentare una colonizzazione di nuovi batteri ma non sono così efficaci. La cosa più importante è la dieta, mangiare cibi sani, naturali e non trasformati, vitamina D o acidi grassi Omega-3, sostanzialmente una dieta anti infiammatoria e anti ossidante. Si possono utilizzare anche probiotici, che vengono somministrati a seconda di carenze specifiche, o antibiotici specifici contro un batterio dannoso.

In ogni caso bisogna fare attenzione, un abuso di probiotici potrebbe causare una maggiore disbiosi e peggiorare la situazione. Necessaria sarebbe un'analisi di sequenziamento del microbioma di ogni persona per analizzare accuratamente le carenze nella composizione batterica e determinare quale possibile trattamento personalizzato seguire.

Ma cos'è un probiotico?

I probiotici sono i batteri che producono alcuni benefici per la salute. Il probiotico è un lattobacillo, o un bifidobatterio, per esempio il kefir è uno yogurt probiotico, perché contiene batteri vivi. Poi ci sono i prebiotici, che sono colloquialmente il cibo dei batteri buoni, che stimolano la crescita di batteri benefici, la fibra può essere un prebiotico.

Ogni persona ha un "codice a barre" del microbiota. In futuro, con la medicina personalizzata il medico dirà al paziente di quali batteri e di quale tipo di medicina avrà bisogno.
In futuro ci potranno essere probiotici per le vittime di danni cerebrali. Si tratterebbe di prevenire l'ictus ingerendo una pillola fatta con trapianti fecali una volta sintetizzato il DNA dei batteri di persone sane; la somministrazione nell'uomo di questo farmaco potrebbe durare uno o due anni.
(Sonia Villapol, intervista de El Pais)
Il Center for Neuroregeneration del Methodist Hospital Research Institute sta conducendo studi con topi che hanno un microbiota molto alterato, ad esempio animali vecchi. La flora batterica può essere trasferita da un animale giovane a uno vecchio e si nota una riduzione dell'infiammazione. Così molti processi legati all'invecchiamento mediato dai batteri possono essere recuperati.
Lo abbiamo fatto con i probiotici e continuiamo a indagare in questo senso. La stessa tecnica può essere applicata all'ictus con lo stesso scopo di ridurre l'infiammazione e riparare i danni, speriamo possa avere presto un'applicazione clinica.
(Sonia Villapol, intervista de El Pais)
Negli esseri umani, quello che è stato fatto è nelle malattie gastrointestinali, perché tutto il problema è lì, nell'intestino. E c'è stato un recupero del 100% dalle malattie croniche con i trapianti fecali. Con il danno cerebrale si deve essere più sofisticati perché si deve selezionare e pulire i batteri nell'intestino delle persone dopo il danno.

Questa tecnica potrà essere applicata anche con il cancro, sarà una rivoluzione, ma ha bisogno di essere plasmata. Ci sono bioingegneri che progettano pillole in modo che si possa ingerire i batteri di cui si ha bisogno a seconda della malattia che si ha. È molto realistico che si arrivi a questo approccio in un futuro prossimo: i batteri saranno bioingegnerizzati per diagnosticare e curare le malattie infiammatorie, comprese quelle legate al cervello.

Saremo in grado di prevenire un ictus?

Secondo la nostra ricercatrice sì, poiché quello che succede è che il ruolo principale dei batteri ha a che fare con l'infiammazione e la regolazione del sistema immunitario.

Questi batteri producono composti tossici che entrano nel sangue, lo rendono “pastoso” e provocano la formazione di coaguli che causano problemi cerebrovascolari. Esiste una relazione tra questi prodotti tossici dei batteri, lo stile di vita di una persona, la dieta e persino le sue caratteristiche caratteristiche biologiche dalla nascita.

Ogni persona ha un “codice a barre microbiota”, in futuro, con la medicina personalizzata, il medico dirà che batteri ha una persona e che tipo di medicina sarà necessario applicare. Sta accadendo con il cancro dove, manipolando il microbiota, si riesce a far funzionare meglio i trattamenti chemioterapici. Inoltre, uno dei motivi per cui i trattamenti medici funzionano meglio in alcuni pazienti rispetto ad altri è dovuto alla diversità di microbiota da persona a persona.

Per combattere le malattie neurodegenerative l’idea è la stessa: modificare i componenti tossici dei batteri e ridurre l'infiammazione.

Dopo il danno c'è un'infiammazione sistemica e per abbassarla bisogna avere batteri benefici che producano antinfiammatori o antiossidanti. Aumentando la diversità batterica non solo ci proteggiamo dalle infezioni virali ma anche da altri problemi di salute, compresa la salute mentale.

Dalla disamina della dottoressa Villapol, emerge con chiarezza come risulti fondamentale prendere in esame le relazioni tra il funzionamento biologico e i processi neurologici al fine di prevenire i danni legati alle patologie cardiovascolari, nonché per poter beneficiare di una salute maggiormente personalizzata.

Le relazioni tra microbiota e cervello, come abbiamo potuto capire, apriranno sempre più strade nuove, dandoci l’opportunità di lavorare, anche come psicologi e psicoterapeuti, le problematiche emotive in termini diversi.

La psicoterapia del nuovo millennio beneficerà in modo consistente di nuove scoperte sul ruolo di determinati apparati biologici e la loro influenza sugli stati d’animo dell’individuo.

Inoltre, le scoperte neuroscientifiche hanno implicazioni nella vita di tutti i giorni, occuparsi del cervello sociale vuol dire stare al passo con la sua evoluzione poiché le singole connessioni relative al suo funzionamento acquistano maggiore significato se si tiene conto del ruolo del cambiamento che la pandemia ha impresso.

Il nostro funzionamento è frutto di uno scambio continuo tra neuroni che hanno sede nel cervello, il quale risiede nel nostro corpo, che a sua volta è immerso in un mondo relazionale.

Va da se che se il progresso scientifico apporta di continuo nuove considerazioni, anche rispetto al funzionamento umano, così anche la psicologia dovrà valutare cambiamenti di prospettiva, volti a mettere al centro del suo fare una aggiornata funzionalità dell’intervento terapeutico.

Fonte d’ispirazione generale, intervista de El Pais di Manuel Jabois del 25 aprile 2021:
https://elpais.com/ciencia/2021-04-25/a-largo-plazo-los-danos-neurologicos-a-causa-de-la-covid-seran-los-mas-preocupantes.html

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    La Dr.ssa Anna Pancallo, psicologa-psicoterapeuta è iscritta all’Albo Regionale Veneto, è specializzata in Psicoterapia della Gestalt, titolo conseguito presso la Fondazione Italiana Gestalt di Roma.

 Svolge l’attività dal 1993 e opera negli studi di Treviso e Mantova.

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