“Si sta vicini per fare miracoli, non per ripetere il mondo che già c’è, che già siamo.” (F. Arminio, “Resteranno i canti”) Bisogna riportarsi alla sacralità del parto, ad un’esperienza che non ha come fine quello di determinare l’efficienza delle proprie individualità, ma quella di riscoprire attraverso il travaglio il bisogno di tenerezza che pervade la nostra interiorità. “L’eccesso, [...] agisce sospingendo la vita a divorare se stessa sia nella forma di un godimento illimitato, che finisce per coincidere con la vita nella sua più disperata affermazione, sia in quella del rifiuto dell’apertura della vita nel nome di una sua estrema conservazione che finisce per annientarla. [...] La polarità maniaco-depressiva assunta come figura non semplicemente psicopatologica, ma metapsicologica può forse offrire una immagine efficace di questa alternatività tra i due poli della pulsione di morte.” (M. Recalcati, “Le nuove melanconie”) È dunque l’epoca della melanconia, di una vita morente esposta all’azione perpetua dei valori di non vita. Bisogna dunque tornare a partorire... Arrivati fin qua, la parola parto ha assunto un nuovo significato, ma val la pena rifarci all’antica matrice: "L’etimologia di partorire ha a che vedere con il produrre ed il portare, in particolare il “portare al di là”, come vuole la radice sanscrita “par”.” (E. Geraci, “Oltre il limite”) Nella filosofia greca il significato principale del parto dalla testa è quello di far partorire all’allievo le proprie verità stimolate da un Maestro, per Socrate ad esempio, il parto o l’aborto sono sempre culturali ed in rapporto a ciò che uno ha nell’Anima. La connotazione in se del parto è di natura duale, da una parte è un elemento sacro, qualcosa che ci apre al mistero, dall’altra inenarrabile perché personale. Ciò che risulta innegabile sta nel fatto che: “La nascita ci pone in relazione al nostro passato, alla nostra origine, in una relazione umana nel presente e in una relazione con il futuro sconosciuto verso il quale siamo diretti.” (C. Shues, “Ntataly. Philosophical rudiments concerning a generative phenomenology”) Inoltre come sottolinea la filosofa spagnola Maria Zambrano: “L’animale nasce una volta per tutte, l’umano invece non è mai nato del tutto, deve affrontare la fatica di generarsi di nuovo o sperare di essere generato. La speranza è fame di nascere del tutto, di portare a compimento ciò che portiamo dentro di noi solo in modo abbozzato [...]; la sua nascita è incompleta e così il mondo che lo aspetta. Deve dunque finire di nascere interamente e crearsi il proprio mondo, il proprio posto, il proprio luogo, deve incessantemente partorire sé stesso e la realtà che lo ospita.” (Zambrano 1996, 90-91) L’essere umano nasce senza aver finito di nascere, il vivere lo porta a desiderare una nuova nascita che può essere compiuta attraverso la relazione con l’esterno, potremmo dire che il protendere verso l’esterno porta ad una nuova nascita. In questa ottica risulta evidente come il significato di vita sia poi parallelamente legato a quello di morte, Perseo deve far morire Medusa, decapitandola affinché possa partorire, una messa in discussione di se stessi per avere un nuovo inizio, la nascita di un nuovo modo di sentire individuale. Il parto sotto intende una trasformazione e la parola in se ci dice che non si tratta di sistemare un equilibrio preesistente, quanto della creazione di un … “processo discontinuo e irreversibile con cui un sistema (organico, sociale o personale) crea un nuovo equilibrio generando, nello spazio aperto dalla rottura dell’equilibrio preesistente, una forma che prima non c’era. Nella trasformazione c’è qualcosa di più d’una stabilità dinamica, in cui il sistema riproduce continuamente sé stesso: si genera qualcosa di nuovo andando oltre ciò che c’è già. La trasformazione non si limita ad adattare o riparare un equilibrio preesistente, ma ne fa emergere uno nuovo. È creativa nel senso che introduce un nuovo inizio, cioè una novità ontologica (ciò che riguarda la conoscenza dell’essere) rispetto all’inizio precedente.” (G. Cusinato, “Trasformazione e germinazione. Per una filosofia della nascita”) La nascita della coscienza trasformativa implica anche il tema del tempo poiché la temporalità interiore è diversa da quella degli eventi. Riprendiamo una citazione di S.Agostino delle Confessioni, per articolare questo concetto: “Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa.” (Agostino Ed.1965, XI, 26) La citazione suggerisce che il tempo dell’animo umano è formato da questi tre elementi in connessione tra loro e che la creazione è un elemento che raggruppa tali elementi in se. Ad esempio la memoria non è riconducibile solo al passato ma ci dice anche qualcosa della nostra possibilità di creare esperienza nel presente, i nostri modi di fare, i nostri gusti, il modo in cui sviluppiamo la nostra giornata, tutto questo contiene memorie del passato che si fanno sentire nel presente e che ci proiettano verso il futuro. Noi non guardiamo il futuro con occhi vuoti, guardiamo il futuro attraverso ciò che abbiamo vissuto e il desiderio del “qui e ora” è di volerlo trasformare. Per muoverci in questa direzione come abbiamo sottolineato in precedenza, è necessario sperimentare una morte interiore, il far morire ciò che non ci serve a favore di quello che risulta maggiormente evolutivo per il nostro spirito. Le dimensioni sociali, con i loro riti, inscenano il tema del parto inteso come nascita del nuovo. A titolo di esempio ricordiamo due rituali regionali che si verificano nel nord Italia, ma ce ne sono molti soprattutto al sud: il “Pane e Vin” nella provincia di Treviso, che si svolge la notte del 5 gennaio, dove si brucia della legna creando un falò, con lo scopo di salutare il passato e la direzione delle faville viene letta come propiziatrice per il futuro, e il “Falò della Ecia”, a Mantova, dove un fantoccio costruito appositamente viene bruciato come simbolo dell’oscurità invernale che lentamente se ne sta andando per lasciare spazio alla nuova stagione primaverile. Con questi riti rinnoviamo il desiderio di nuove nascite, stimoliamo la potenza creatrice di rituali che possano aprire ad un’evoluzione. Il parto è un bisogno dell’essere umano che passa attraverso una ridefinizione di se stessi, necessaria ai fini della relazione tra individuo e mondo. Attraverso il parto riconosciamo i nostri bisogni ma anche in che modo tali necessità sono collegate a qualcosa che dentro si muove ed ha la forma di un desiderio cui dare spazio. Attraverso il parto ci portiamo verso i nostri obiettivi poiché il volerli raggiungere mette in moto la necessità di chiudere delle cose. Tramite il parto sappiamo chi siamo in questo momento nella nostra vita, ci rendiamo conto che possiamo lasciare delle cose e che tale azione ci crea uno spazio interiore per nuove acquisizioni. Un aneddoto raccontato dallo psicanalista Massimo Recalcati (M. Recalcati, “A libro aperto”) trovo sia in linea con il parto. Recalcati parla del momento in cui dopo la laurea doveva vagliare due proposte per continuare gli studi, gli scritti di Lacan gli aprirono le porte alla sua angoscia, “è stato il groviglio inestricabile dei miei sintomi a imporre un drastico cambio di direzione alla mia formazione.”. Per sua stessa ammissione era completamente rapito dalla lettura di Lacan, ma al tempo stesso smarrito, non ci capiva nulla, in seguito divenne chiaro per lui come una scienza dell’esperienza, quale si propone di essere la cura interiore, non poteva risultare chiara all’impatto e necessitava di un ascolto di se diverso e nel contempo di una sperimentazione. Ogni lavoro interiore opera con questa iniziale indecifrabilità scaturita dal l’avere dentro dei vissuti che desiderano nuova vita ma che al tempo stesso parlano un linguaggio di non facile comprensione, il vissuto che la terapia risveglia comporta la disponibilità del soggetto a dare importanza ai processi trasformativi, richiede una disposizione ad essere attraversati per poter giungere ad un luogo dove il corpo e la mente creano un vissuto nuovo, non semplicemente diverso ma rivoluzionario: una nuova forma scaturita dall’aver ridato all’individuo la sua capacità di movimento verso il desiderio. “[...] c’è’ in te qualcosa che è più di te, un soggetto che è in te ma che parla in un’altra lingua, in una lingua straniera che devi imparare a riconoscere e a decifrare se vuoi intendere qualcosa di te stesso.” (M. Recalcati, “A libro aperto”) Cercare l’essenziale è fonte di un sentire positivo, partorire è il nuovo che avanza ed il potersi liberare di ciò che non serve se si è capaci di trasferirlo nel nuovo. Il parto ci rammenta che il dialogo con il mondo è radicato nell’esperienza del sentire il desiderio attraverso il corpo che diviene un varco attraverso il quale la vita interiore giunge ad una nuova possibilità, al tempo stesso ciascuno perviene a questo processo attraverso il confronto con più saperi, ed è proprio nell’incontro con gli altri che sviluppiamo una diversa via per il nostro sentire. Questa autoformazione esperenziale collettiva diviene autenticamente preziosa quando sperimentiamo lo stare in relazione con gli altri, da questo scaturisce la capacità di collocarsi nuovamente nel mondo. “Ed eccovi qui. Eccovi! Nel sacro presente. Io non posso guarire ne’ voi ne’ nessun altro, ma posso congratularmi per la vostra scelta di smantellare la prigione che c’è nella vostra mente, un mattone alla volta. Non potete cambiare quello che è stato, non potete cambiare quello che avete fatto o che vi è stato fatto. Ma potete scegliere come vivere adesso. Miei carissimi, voi potete scegliere di essere liberi.” (E. E. Eger, “La scelta di Edith”)
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