Il libro di Alessio Cremonini, “Ora Dormono - Storia Vera e Immaginaria dei miei Antenati Tedeschi”, ed. Einaudi 2023, si confronta con l’eredità del trauma ritessendo le fila della storia familiare. Un nonno paterno Bruno, contrario alla dottrina hitleriana che, però, entra a far parte della propaganda nazionalsocialista attraverso la radio della Repubblica di Salò. Il fratello Karl, alto rappresentante delle SS al servizio di Ribbentropp, lo introduce dentro la nomenclatura del Reich per evitargli il fronte, in quella seconda fase della Seconda Guerra Mondiale dove, in Germania, il reclutamento era massiccio a causa delle ingenti perdite subite dai tedeschi. La storia narra le vicende della famiglia Lang (nome di fantasia) e dei loro meccanismi conflittuali, in un arco temporale che va dal 1926 ai nostri giorni. Attraverso il racconto si avverte la necessità di collegare la memoria a qualcosa dell’oggi, il bisogno dell’autore di confrontarsi con ciò che resta di quel passato scomodo e violento e di come poterlo evolvere. La narrazione parte dai nonni tedeschi e dai loro due figli: Karl imbevuto di dottrine nazionalistiche, per sfuggire a quel senso di stantio e fermo presente nella famiglia, Bruno il minore, nonno dell’autore, innamorato di un senso della vita più sfaccettato e complesso, incline ad aprirsi a domande fondamentali circa la dignità dell’uomo in un epoca in cui la Germania, pure patria di filosofi e poeti straordinari, sembra aver smarrito il senso dei valori profondi che governano l’umano.
“Alessio, nessuna famiglia è felice, e nemmeno la mia faceva eccezione. Però mi manca, - mi disse poco prima di morire. La fuga stava per finire, si preparava a ricongiungersi con i suoi. Forse è per questo che ho viaggiato nel tempo, che l’ho percorso in lungo e in largo. Per conoscere per dare forma ai racconti che nonno faceva a tavola tra mille reticenze, malinconie, sensi di colpa. Per riannodare i fili di una separazione durata sessant’anni. Quando lo ascoltavo, o quando taceva immerso in chissà quale ragionamento o ricordo, percepivo la forza della storia. La presenza di nonno rendeva reali, veri, vividi, i filmati in bianco e nero della televisione. Era il passato nel presente: un fossile vivente”. Frasi che esplicitano l’importanza di elaborare nel presente quelle modalità comunicative indirette vissute in tante circostanze, per trovare una voce che possa creare significati in grado di restituire a quelle vicende drammatiche, e a quella storia, un significato accettabile. In questo senso il ricordo del nonno s’interseca con il vissuto del nipote autore del libro, lasciando trasparire l’esigenza di dare un volto a delle angosce che non si riesce acquietare, la necessità di riconoscere i sentimenti di allora con lo stato d’animo dell’oggi, per correggere ciò che è stato appesantito da situazioni gravose. Troviamo anche un altro aspetto importante in questa lettura, ovvero la comprensione profonda di come siano proprio le nostre emozioni a dare una direzione all’esistenza di ognuno, intessendo e penetrando la trama degli eventi. Bruno, il nonno, attraverso il confronto con il fratello Karl, imbevuto di retorica nazionalsocialista, comprende una parte della propria natura, orgogliosa nel dare spazio al senso di uguaglianza degli esseri umani, ma anche debole davanti alla formidabile macchina delle teorie promosse dal nazismo. E, attraverso questo travaglio, plasma la propria interiorità accettando, non senza dolore, che i familiari possono prendere strade diverse, riconoscendo che la vita ci mette davanti a delle esperienze forti a cui si può arrivare emotivamente impreparati. Bruno si conforma al volere del fratello d’introdurlo nella gerarchia nazista per evitare il fronte e salvargli la vita; davanti ad Hitler in persona, nella Tana del Lupo, assume un espressione di riverenza che non vorrebbe avere. Eppure, proprio quel momento di implicita consapevolezza dell’affanno a cui il nonno espone il riconoscimento dei propri limiti, rappresenterà per il nipote, molto tempo dopo, una nuova coscienza, qualcosa a cui dare riabilitazione: l’intima consapevolezza che per evolversi bisogna avere cura delle storie familiari, dare un senso diverso a ciò che è rimasto sepolto perché la famiglia si struttura nell’inconscio di ognuno come una scultura. Se il nonno non avesse partecipato a quella fase della guerra con i suoi travagli, il nipote non sarebbe venuto al mondo e la trama familiare sarebbe rimasta sospesa, bloccando l’intimo desiderio di trasformazione di quel nucleo. Le circostanze straordinarie di un tempo, dove i normali equilibri risultavano sovvertiti, hanno fatto sì che Bruno sviluppasse il desiderio d’impegnarsi in una stabilità affettiva che ai suoi familiari non era riuscita, ed è questo bisogno di dare valore alla famiglia che porta alla nascita del padre dell’autore. “Quante persone, se guardassero alla propria storia di famiglia, troverebbero la guerra, e quindi il Führer, artefice di un incontro o di un lutto, che ha influito sull’effetto domino delle scelte successive?”. Questa la domanda che si pone Alessio Cremonini e che sta a sottolineare come possiamo essere collegati gli uni con gli altri attraverso gli invisibili fili della storia, e avere un bisogno di ricreare un’unità che sta alla base dei problemi e delle virtù del singolo all’interno del tessuto familiare. Le giornate della Memoria, in cui si ricordano varie situazioni scaturite dagli eventi passati, sono un momento dove potersi sintonizzare con ciò che ci ha preceduti, cogliere cosa è rimasto dentro le nostre vite, e cosa serve per poterlo indirizzare diversamente: l’occasione per riflettere sulla realtà degli accadimenti, passati sotto traccia, che abitano traumaticamente le storie familiari. È questo lo spunto per ogni storia umana, anche quella “ispirata” dai fatti più deplorevoli: trovare, attraverso le vicende passate, nuovi significati al bisogno evolutivo della Coscienza di viversi: è indispensabile tornare al passato per trovare il futuro. Inoltre, ricordare che “i fatti non penetrano nel mondo in cui vivono le credenze” - come sottolineava Marcel Proust - e che, quando si vive un’esperienza soverchiante in prima persona, la lettura delle circostanze risulta condizionata, facendo sfumare la considerazione delle implicazioni future, sfilacciando le trame della propria vita, è di fondamentale importanza per chi seguirà, per chi, suo malgrado, sarà chiamato a riprendere in mano il disegno, l’ossatura di questo apparente ovvio sentimento, per restituire un nuovo significato alla propria storia, che fin a quel momento non sarà palese. Viene in mente la nonna di Isabel Allende nel suo romanzo “La Casa degli Spiriti”, quando, prima di morire, si fa portare a letto dalla piccola Isabel le scatole di latta piene dei ricordi di una vita, pregandola di conservarle per il futuro in modo da poter dare un senso alle vicende accadute alla luce del significato assunto nelle loro vite. Nelle storie familiari, a volte risulta evidente come determinati fatti sembrano accadere come sospinti dal vento degli eventi in una direzione precisa, una traiettoria che sottolinea determinati accadimenti piuttosto che altri; temi precisi, come gli spostamenti continui, le rotture affettive, il bisogno di emancipazione, i lutti ricorrenti e via discorrendo. La Giornata della Memoria, sul piano psicologico, è anche un momento in cui guardare alle proprie radici per elaborare dei pensieri, creare nuove associazioni con quello che ci ha preceduti, un’occasione preziosa, al di là di qualsiasi retorica, per dare spazio a quella parte della psiche che parla un linguaggio antico: un modo utile per riattraversare la difficoltà di quanto il nostro sentire arranchi rispetto al nostro agire. Il filosofo Gunther Anders parla dell’uomo come di un essere antiquato, per definire una mal sincronizzazione riguardo a tutti gli elementi di cui siamo fatti, ribadendo così che il modello che ci si è prefissi possa non adeguarsi al mondo reale, fatto che si dovrebbe accettare. Durante il nazismo è stata proprio questa modalità imposta a determinare l’orrore. Il bisogno di far coincidere l’idea di una razza al di sopra delle altre con le persone reali. Un tentativo senza dubbio respinto, ma presente tutt’oggi in quella diffusa tendenza a camuffare la realtà quando incrocia aspetti che richiedono il rispetto delle differenze, l’esercizio alla divergenza, la capacità di confrontarsi con il contrasto, come elementi formativi piuttosto che di squalifica verso gli altri. Al tempo stesso, proprio oggi, è parimenti possibile essere maggiormente in grado di ritornare su quel passato storico tragico dell’esperienza nazista, perché la distanza emotiva dai fatti permette l’insorgere di riflessioni diverse, meno ancorate alle circostanze di momenti più vicini, e all’impellenza di risposte che i fatti stessi richiedevano con urgenza. La lontananza da quegli eventi consente la lettura di quei meccanismi emotivi che esplicitavano il bisogno ossessivo di mostrare la perfezione dei propri comportamenti e il rifiuto verso tutto ciò che aveva a che fare con il dubbio; un meccanismo che ancora oggi fa capolino e che attraverso i social network gode di un’amplificazione ancor più rapida rispetto ad una singola ideologia. Resiste, in modo inequivocabile, la tendenza a tenere sotto traccia l’insufficienza del sentire piuttosto che il sentire compiutamente. Lo sforzo dell’autore di “Ora Dormono” è, in un certo senso, anche questo: dare spazio a questa insufficienza sua e del nonno, dargli un valore, affermare il bisogno di portare a galla il significato di sentimenti forti, scaturiti in determinate circostanze, che non possono venire elusi. Al lettore, tutto ciò, lascia uno spunto per riflettere sul presente, poiché quei fatti così violenti, che non possono essere accantonati, si stanno riproponendo oggi con cruda atrocità, con espressioni banali di violenza e un lancinante disprezzo per l’altro, con la volontà di annientare altri popoli. Il libro fotografa molti momenti che esplicitano uno spaesamento del sentire, come quello in cui nonno Bruno, fuori dalla stanza di Mussolini, ascolta tutto l’accorato disagio di Edda, la figlia del Duce, che chiede al padre di salvare Galeazzo Ciano, il marito, condannato da Hitler a fucilazione per aver tradito il suocero durante la seduta del Gran Consiglio. In quelle accorate richieste di moglie c’è tutta la delusione di una figlia davanti ad un padre reso improvvisamente mortale dalla storia e dai limiti imposti dalla realtà. Anni dopo, Edda, che rimase fermamente fascista, in una intervista di Sergio Zavoli, alla domanda del giornalista circa la grazia che lei chiese per il marito prigioniero: “Ma in fondo suo padre cosa poteva fare di diverso? Era pur sempre il capo del fascismo.”, rispondeva: “Non poteva, ma avrebbe potuto”. In questa frase c’è tutto lo smarrimento e l’amarezza della presa di coscienza che il margine per poter fare delle scelte diverse c’era. Il libro, attraverso le vicende familiari del tempo, risulta un elogio dell’imperfezione, stimola l’antico che è in noi, articola i collegamenti tra l’identità interiore e quella esteriore, descrive come quest’ultima possa travalicare, fino ad inibire, la dimensione dei diritti fondamentali dell’uomo, creare ferite profonde al nostro assetto umano, come singoli individui e come società. L’aspetto fondamentale degli accadimenti storici è che possono essere riletti alla luce di nuove acquisizioni, per poter mantenere uno slancio evolutivo per le generazioni successive. In una società dominata dalla complessità, le riletture del passato a cui i racconti familiari danno forma, assumono il significato di eventi che rispecchiano movimenti collettivi nei quali siamo tutti immersi e dai quali discendiamo, direttamente o indirettamente, e che hanno segnato la nostra interiorità. Testimonianze che richiamano al significato di collettività come bisogno imprescindibile per plasmare il nostro sentire. Riconoscere che non può essere evitata una certa dose di dolore nel corso del nostro peregrinare su questa Terra, sapere che le nostre scelte possono risultare condizionate dalla nostra eredità, sono riflessioni fondamentali per attraversare gli eventi in modo adeguato. Nel contempo, accettare che la mancanza di un orizzonte più vasto di consapevolezza può risultare limitante per la fiducia in se stessi, costringendoci a reagire ciecamente a ciò che determinate situazioni possono risvegliare in noi, funge da monito, circa tutto ciò che sotto la patina della perfezione tradisce un profondo senso di incompiutezza. L’immagine finale, che lascia la lettura di questo libro, è che le voci dei protagonisti sono presenti affinché l’intricato dedalo delle loro storie possa continuare a far vibrare in noi qualcosa. Come scrive l’autore, a chiusura del racconto, “a volte per vivere a lungo bisogna nascondersi”, è questo che determina il compito maggiore per chi viene dopo: restituire la voce e trovare le parole per poterlo raccontare. Ora Dormono, ma ci parlano ancora. Letture correlate:
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