Una visita al Museo Gypsoteca Antonio Canova di Possagno è un’esperienza unica, non solo grazie al fatto che incontriamo l’opera di un grande artista, ma come spesso accade dinanzi alla sublime arte, per incontrare se stessi. Ciascuna opera artistica fruita dallo spettatore è una congiunzione con una parte psicologica dell'autore, un riflesso che, se lo vogliamo osservare, funziona come specchio: in queste creazioni ci imbattiamo in un dialogo profondo con la nostra essenza più autentica. La gipsoteca del Canova, nello specifico, è una struttura intrisa di sacralità che spinge al silenzio, alla meditazione, sovrastati dai monumentali gessi dell’artista ivi contenuti, un pantheon che ci trasporta in una dimensione onirica, dove, la pregnanza delle opere rivela un bisogno comunicativo profondo dell’artista, ovvero, la necessità di rendere un materiale come il marmo capace di modularsi in forme aggraziate. Nel vasto palcoscenico della vita, l'arte si erge come un faro che ci guida attraverso i meandri della verità. “Abbiamo l'arte per non morire di verità”, sussurrò Nietzsche, e queste parole, danzarono nell'aria come foglie caduche. L'incontro con l’opera d'arte è un viaggio oltre il brutto della realtà, potremmo semplificare; una sinfonia che intreccia la bellezza e la ribellione dentro di noi e rispetto a ciò che ci accade intorno, ma anche un ponte che traghetta il passato nel presente. Antonio Canova, vive in un epoca in cui copiare l’antico era una delle massime espressioni artistiche, lui invece si fa portavoce di una visione artistica che dimostra di non voler copiare i greci ma renderli attuali attraverso una concezione moderna. Pensiamo, ad esempio, alla cera rosa con la quale lucidava pazientemente le sue opere per raggiungere quei tratti di morbidezza capaci di renderle vive agli occhi di chi guarda. Raccontano i suoi contemporanei che egli lavorava, di solito, a lume di candela, concedendosi pause lunghe e frequenti, durante le quali usciva dallo studio. Quando vi ritornava, riprendeva il lavoro con gesti rapidi e continui, girando intorno alla statua come in preda a una frenetica urgenza, quasi temesse di dimenticare le intuizioni che lo avevano illuminato durante le pause. Il Cicognara, che conobbe Canova e ne sviluppò i suggerimenti nell’ultimo volume della sua “Storia della scultura”, ci dice che, per “arrossare” il biancore dei suoi marmi e per chiudere i pori, l’artista usava densi strati di cera, colorando quelli destinati a coprire l’incarnato, soprattutto l’incarnato dei personaggi femminili, con gocce di un rosso vermiglione che egli preparava da solo, e la cui ricetta non svelò a nessuno (E. Bassi, Canova, Istituto Italiano Grafiche, 31.12.1942). Quando si accorse che la cera tendeva a ingiallire rapidamente, rovinando la “luce” dell’opera, Canova la mischiò alla fuliggine, come scrisse il Malamani, o a una “pozione di spirito e di erbe” preparata da un suo amico speziale, come suggerì il Sartori, o all’“acqua di rota”, che è l’acqua che si fa colare sulla mola quando vi si arrotano i ferri e gli scalpelli degli scultori. È probabile che il Cicognara, che parla dell’”acqua di rota”, abbia avuto proprio dallo stesso Canova l’informazione, e anche la spiegazione, e cioè che si tratta di “un’acqua di fuoco”, riscaldata dalla velocità della mola e dall’attrito. E questo delicato “fuoco” pare che accenda tutta la pelle di “Paolina Borghese come Venere vincitrice”, la scultura esposta alla Galleria Borghese di Roma, mentre il gesso si trova presso la gipsoteca canoviana a Possagno (Il Mediano, Come e perché Antonio Canova ombreggiava e “arrossava” delicatamente la “pelle” delle sue statue, Carmine Cimmino, 14/04/2019). L’ossequio formale del Canova alla tradizione classica, era un mezzo potente per inventare un nuovo linguaggio, moderno e penetrante. Ma cosa c’è dietro Canova? Qual’è il suo pensiero formante? Possiamo vedere questo artista come un individuo capace di affrontare i propri dolori, approfondendo l’insegnamento degli antichi. La sua biografia narra che, quando scolpiva, amava avere sempre qualcuno che gli lèggeva i grandi classici greci. Un uomo passato per traumi infantili, delusioni amorose, attrazioni erotiche represse. Come suggerisce Vittorio Sgarbi era “… una vera epopea di vita e di morte, risolta nel segno della redenzione” (V. Sgarbi, “Canova e La Bella Amata”, p.54, ed. La Nave di Teseo). Canova, dunque, è un artista che ci porta verso la possibilità di trasformare il disagio armonizzando ciò che appare inadeguato all’anima, ci stimola verso la creazione di una bellezza che si fa strada attraverso la materia. Come se ci spronasse a non mollare, a far esistere ciò che si cela dentro, dando valore alla fatica. Lo spirito della sua arte è sempre stata uno stimolo, una ricca fonte d’ispirazione, anche per la ricerca sulla figura di Medusa che trova sfogo nelle pagine di questo libro. Il lavoro di Antonio Canova, che si propone di far dialogare l’antico con il moderno, il mito e le sue metafore, che ci fa trovare collegamenti attraverso gli approfondimenti che oggi anche il linguaggio scientifico ci offre, rappresenta lo stesso dialogo che sempre si rinnova al cospetto del mito di Medusa: una storia in grado di sostenere saldamente i nostri bisogni e indicarci la strada maestra per evoluzioni future. Medusa, che sia mito o animale - come la “Medusa Turritoptis”, un organismo immortale presente nei mari caldi, con un ciclo di vita che reagisce alle influenze esterne negative regredendo allo stadio di polipo, per poi tornare medusa, e, attraverso questo meccanismo, è in grado di rimanere in vita fino a 66 milioni di anni - rivela sempre nuove cose; un simbolo che si associa con vigore ad un concetto di perenne trasformazione, aspetto che ci riguarda moltissimo poiché tocca corde molto profonde dentro di noi. Oggi, in un epoca dove il benessere sembra essere al centro dell’attenzione degli individui, sono i legami sociali a soffrire maggiormente. In questa ottica il concetto di trasformazione è divenuto di fondamentale importanza. Come la “Turritoptis”, dobbiamo riuscire a creare condizioni di vitale efficacia quando l’esistenza ci mette davanti ai problemi, cercando la possibilità emotiva di un’evoluzione appagante. Per andare in tale direzione è importante che le nostre menti siano orientate alla realtà, così da esercitare una propria mobilità nel selezionare gli stimoli provenienti dall’esterno. Le opinioni del singolo sono assolutamente rilevanti, al tempo stesso devono mantenere un occhio fisso alla sperimentazione attraverso lo scambio con il mondo, solo questo, apre alla realtà, ed ai rapporti umani. Uno dei più importanti rimedi anti-età, per esempio, sta nel dare un senso profondo al nostro rapporto con gli altri perché questo crea coinvolgimento e responsabilità, per tale motivo, la solitudine o l’isolamento sociale, sono estremamente dannosi. Abbiamo bisogno di costruire legami forti per vivere meglio e più a lungo. Invece, il tipo di vita celebrata oggigiorno come vincente, ha poco tempo per approfondire qualità psicologiche ed empatia. “L’accelerazione imposta alla società dalla rivoluzione informatica e dalla competizione del mercato ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e scrupoli, favorendo l’emergere di tipi intuitivi, cinici, opportunisti.” (L. Zoja, ”La Morte del Prossimo”, p.356 ed. Einaudi) Il problema si complica, ed è per questo motivo che spesso si finisce a parlare delle qualità morali in astratto, di fatto regna uno squilibrio evidente, con condotte di vita spesso troppo disinvolte, che portano al degrado sociale e personale. Avere rapporti umani problematici è peggio dell’adottare cattive abitudini nello stile di vita, sono infatti proprio i nostri stati mentali a governare i processi fisici di deterioramento. I dati per il futuro sembrano essere molto preoccupanti. Se consideriamo che passiamo al lavoro gran parte delle ore presenti in una giornata, è proprio in questo ambito che spesso si creano le problematiche maggiori. Non a caso è nata la corporate psychopathy (psicopatia aziendale) poiché sempre di più, in questi ambienti, si assiste allo sviluppo di comportamenti poco equilibrati. “Negli scandali di fine secolo XX e inizio secolo XXI, infatti, non si sono trovate immoralità occasionali di persone che hanno sbagliato, e possono pentirsi, ma perversioni morali permanenti che, se non fossero state scoperte, sarebbero continuate perché non lasciavano sensi di colpa: è la condizione chiamata psicopatia, considerata difficile da redimere”. (L. Zoja, La morte del prossimo, p.98, ed. Einaudi, Torino 2010) A questa riflessione potremmo aggiungere il fatto che la velocità del progresso informatico presente nella società, la quale abitua ad una distanza affettiva tra osservatore e osservato, diffonde attraverso i modelli che hanno maggiore risonanza, immagini perfette che poco hanno a che fare con noi e con le nostre vite. Possiamo cogliere questi aspetti anche nel linguaggio cinematografico, che si fa portavoce di messaggi sociali che hanno grande diffusione, dove vengono narrati gli ostacoli, come pure le soluzioni, senza che il protagonista viva un reale smarrimento, o disagio, dato da un cambio di prospettiva. Tale comunicazione alimenta l’idea che nell’esperienza umana sia tutto facile, mentre poi, nella realtà, ci si trova davanti al tempo lento della messa in pratica, aspetto che è in grado di produrre un effetto destabilizzante in chi lo attraversa. Il film “Barbie” (2023) rappresenta molto bene questo tipo di comunicazione. Soffermandoci sulla trama dell’opera cinematografica possiamo coglierne il messaggio. Barbie viene spinta dalla Barbie Stramba a confrontarsi con il modo degli umani, a compiere il passaggio da un mondo utopico ad uno reale per ottenere la sua evoluzione personale. Il film, pur confezionato benissimo nelle scene e nei costumi, si fa portavoce di un messaggio di contrapposizione tra mondo reale e irreale di facile risoluzione. La storia è costellata da immagini che anche quando sembra vogliano uscire dalla perfezione utopica, proposta nel mondo delle bambole, in realtà la celebrano perché non riescono a proporre messaggi alternativi. Ciò che fa presa nelle persone, quindi in generale nello spettatore, è avere l’idea di trovare sempre risposte adeguate piuttosto che vivere con i propri limiti. Questo tentativo di uscita di Barbie dalla perfezione del suo mondo di plastica è infarcita di richiami psicologici ma, alla fine, è solo una disputa tra il poter portare o meno i tacchi rosa, dopo che a Barbie sono divenuti i piedi piatti: Barbie passa da un mondo all’altro ma la sostanza non cambia, il mondo rimane lo stesso, con le stesse dinamiche profonde. Ci troviamo quindi di fronte al problematico tema della maturazione personale, ma in termini molto didascalici, e, anche quando vengono utilizzate espressioni finalizzate a dare l’impressione di un approfondimento, l’approfondimento reale non c’è. Un altro piano di lettura riguarda riguarda il fatto che il film propone un confronto tra umani e non umani che rappresenta ciò che nel futuro avverrà realmente. Mentre ci si occupa del pericolo dell’intelligenza artificiale, si riflette molto meno sulla soddisfazione che gli esseri umani manifestano nello scambio con una macchina, come lo sono i device digitali, in grado di rendere facili molte attività, di sfornare dati velocemente e senza che questo implichi conflitti. I film che rappresentano maggiormente situazioni di vita reale, non godono di clamore mediatico quanto Barbie, quanto i film di fantascienza o i fantasy. Questi esempi ci servono per portare alla nostra attenzione i messaggi contenuti nei prodotti di consumo di maggiore risonanza, che, al di là delle apparenze, celebrano la distanza dall’altro. Ciò che è al di fuori di noi, non importa che si tratti di una macchina o di una persona reale, per funzionare nei mezzi di comunicazione di massa, è importante che abbia un’immagine in linea con il bisogno di depurare gli aspetti meno congrui dell’esistenza, le difficoltà del vivere, nei quali utilizzare espressioni infarcite di termini psicologici, in grado di stimolare in chi guarda l’impressione di poter incontrare un punto di svolta o di maturazione; sono tecniche che hanno solo lo scopo di rendere coinvolgente la comunicazione, quindi efficace la vendita del prodotto, ma che alla fine, non conducono a nessun cambiamento reale, nemmeno nella storia che il prodotto stesso racconta. Questa modalità, questo sistema di trasmissione di valori, di fatto superficiale, di cui il cinema si fa portavoce cogliendo le tendenze sociali, è presente in tutti gli strati della società. Ne è conferma, per esempio, l’abitudine nel settore della salute, consolidata dalle statistiche, di rivolgersi ad uno specialista maggiormente nel caso di un problema grave, mentre nei restanti casi, sono le nuove figure professionali - life coach, consuelor, trainer - a risultare maggiormente consultati. Ma, con rispetto alle problematiche di tipo psicologico, la previa accettazione di avere un problema è il requisito fondamentale per accedere ad una cura adeguata, allo specialista. Questo comporta anche accettare di non sentirsi sminuiti da tale bisogno. La riflessione s’innesta nella problematica dei temi legati alla longevità, un argomento importantissimo per gli anni a venire, spesso veicolato attraverso proposte poco rappresentative della complessità del nostro funzionamento. L’invecchiamento è un fenomeno che riguarda tutti e rappresenta il dato maggiormente preoccupante per il nostro futuro nei prossimi trenta o quarant’anni. Invertire la curva biologica coincide con il riuscire a far cambiare la mentalità delle persone al riguardo, perché il corpo, allo stato attuale delle cose, è portavoce di una verità che mette in crisi. L’invecchiamento non si rallenta attraverso un percorso estetico o praticando alcune soluzioni spot. Piuttosto richiede, da parte della nostra mente, l’allenamento a stare nella complessità per modificare il proprio stile di vita con piccole soluzioni continuative, e per introdurre dati relativi al proprio funzionamento individuale. Insomma, ci sono gli strumenti d’indagine scaturiti dalla ricerca, che spiegano attraverso quali sistemi sia necessario passare per invertire la curva biologica, ma per essere applicati dal soggetto su larga scala è necessario che lo stesso lavori su una polarità, messa in luce dalla difficoltà a farci carico di noi stessi, in un modo che tenga conto della nostra difficoltà a cambiare. I dati statistici odierni confermano la tendenza a rimanere nell’immobilismo, con la convinzione di essere nel giusto. La riflessione da fare, in un mondo dove il confronto è sinonimo di competizione, dove il mostrarsi al meglio, perfetti, senza sbavature, viene scambiato per un dato confortante, piuttosto che il sintomo di un problema, riguarda il nutrirsi attraverso lo scambio ed il confronto, che passi necessariamente attraverso la resistenza alla propria sensazione di risultare sbagliati, soprattuto se non ci si sente conformi ad un immagine sociale stereotipata, costantemente ripresa e proposta dai mass media, dai social network e saldamente in sella nei vari apparati sociali. Anche l’approccio terapeutico riflette tale tendenza risultando sempre più popolato di vari tecnicismi, riflesso di un bisogno spasmodico di soluzioni rapide, che mette in soffitta approcci che appaiono poco accattivanti per il comune contesto sociale contemporaneo, ma che sono, invece, portavoce di una realtà umana basata sull’allenamento alla percezione di se stessi e al valore dello scambio. Secondo Irvin Yalom, uno dei maggiori esponenti della psicoterapia esistenziale, promotore dell’importanza di una psicoterapia di gruppo, la presenza dei gruppi di terapia è diminuita negli anni per ragioni simili a quelle fin qui descritte. Yalom ha individuato alcuni fattori fondamentali nel setting di gruppo che proviamo a sintetizzare:
I temi individuati da Yalom sono di estrema importanza per lo sviluppo di abilità sociali e relazionali, ma non così facilmente fruibili data la difficoltà al confronto che, come abbiamo visto, impera nella società contemporanea iper tecnologizzata, dove si ricorrere allo scambio soprattutto solamente quando ci si trova in condizioni difficili. “Man mano che il mondo si modernizza, il vero prossimo, il vicino che puoi toccare, è fonte di solidarietà sempre più problematica: ma rimane la riserva aurea dell’umanità. Su di esso si torna a contare durante le tempeste.” (L. Zoja, La Morte del Prossimo, ed. Einaudi 2009) In effetti, tanto per portare un esempio applicabile a tutta la società mondiale, lo scambio durante la pandemia causata dal covid-19 è aumentato, ma i cori tra i vicini sui balconi delle abitazioni, superata la crisi, sono un pallido ricordo. Come previsto, la società non ha prodotto sul piano dello scambio dei miglioramenti dopo la crisi pandemica, anzi, pare manifestare un disagio di proporzioni crescenti rispetto a prima. In questo momento storico, riveste una certa importanza trovare un ancoraggio interno allo scambio che è possibile trovare nell’allenamento alla coerenza. Un ponte di collegamento tra ciò che proviamo e ciò che riusciamo a veicolare all’esterno, nonché tra quello che pensiamo del mondo e il confronto con gli altri. Una pratica di coerenza necessaria per mantenere un equilibrio psicofisico. Risuona importante il monito di Jung: “si diventa però se stessi solo quando si è disposti a difendere la propria pelle nella realtà.” (A. Jaffé, In dialogo con C. G. Jung, Ed. Bollati Boringhieri, 2023). Ovvero, la nostra realtà non può essere giocata senza il ricorso alle varie stratificazioni esistenziali presenti in ognuno, queste hanno il potere di riconnetterci con l’energia vitale e dirigere il presente verso il futuro. “Il significato della mia esistenza è che la vita mi ha posto un problema. O, viceversa, io stesso rappresento un problema che è stato posto al mondo, e devo dare la mia risposta, perché altrimenti mi devo contentare della risposta del mondo”. (C. G. Jung, Ricordi sogni e riflessioni, raccolti ed editi da Aniela Jaffè (1961) ed. Rizzoli, 1978) Oggi la vita ci ha posto davanti alla difficoltà di un rinnovamento, la distanza da ciò che permette una trasformazione alberga nelle nostre vite, impaludando le relazioni: dove c’è distanza esiste una difficoltà ad amare. Il ritorno di Perseo verso casa, e l’incontro con Andromeda, suggerisce la necessità di fare spazio al sentimento di intimità e vicinanza attraverso il contatto. Ci stimola a porci domande per dare uno spessore affettivo alle nostre esistenze. Noi tutti oggi siamo chiamati a difendere non tanto la patria o la libertà, piuttosto il legame che ci tiene in vita e che ci educa a gettare uno sguardo verso l’universo, senza perire. Così, rileggiamo il mito per riconoscere i bisogni fondanti e per ascoltare i sussurri degli antenati, per tornare a casa con la mente dello scienziato che decifra mondi invisibili e con l’animo del poeta che sa dare voce alle trame della propria vita. “Forse si muore oggi – senza morire. Si spegne il fuoco al centro. Sanguinano le bandiere. Generale è la resa. Ciò che nasce ora crescerà in prigionia. Reggete ancora porte invisibili dell’alleanza bastioni di sereno. Puntellate il bene che si sfalda in briciole in cartoni. Il popolo è disperso. In seno ad ognuno cresce il debole recinto della paura – la bestia spaventosa. A chi chiedere aiuto? È desolato deserto il panorama. Si faccia avanti chi sa fare il pane. Si faccia avanti chi sa crescere il grano. Cominciamo da qui.” (M. Gualtieri, Forse si muore oggi senza morire, tratto dalla raccolta Bestia di Gioia, p.60, ed. Einaudi, 2010)
0 Comments
Your comment will be posted after it is approved.
Leave a Reply. |
|
NOTE LEGALI e CONDIZIONI DI UTILIZZO
I termini e le condizioni di utilizzo del sito web si applicano nel momento di accesso e/o utilizzo di questo sito web. Per saperne di più leggi la pagina note legali e condizioni di utilizzo del sito. |
PRIVACY e RETARGETING
Questo sito web usa Google Analytics per l'analisi delle visite e del traffico, inoltre utilizza il pixel di tracciamento di Facebook per fare retargeting. Per saperne di più leggi la PRIVACY POLICY. |