«Ho tante cose da dire! Quasi direi da salvare: tutta la tragica bellezza di ciò che è passato in noi e vicino a noi, cose che io sola sento di aver visto e sentito fino alla sofferenza e che assolutamente non devono morire. ‘Rapisci la luce dalle fauci del serpente’...» (C. Campo, Gli Imperdonabili, Ed. Adelphi, 1987) Nella serie di approfondimenti dedicati al simbolo della bisaccia di Perseo (trovate alla fine di questo testo i link relativi), abbiamo iniziato la nostra riflessione illustrando la problematica dell’uomo moderno, alimentata dalla ricerca di una produttività continua che apre le porte al narcisismo. Successivamente la nostra attenzione si è concentrata sui meccanismi della mente - il Sistema 1 e 2 - così come vengono descritti da Daniel Kahneman, le cui ricerche pluripremiate approfondiscono e chiariscono diversi aspetti della complessità di un funzionamento interno, dove gli errori di valutazione del Sistema 1 paiono essere all’origine di molte delle nostre difficoltà di traduzione del mondo, in quanto, tale ingranaggio, dotato di una maggiore velocità rispetto al Sistema 2, da per scontati alcuni dati, che in realtà non sono veritieri ma a cui si da credito, rivelandosi poi fallaci nelle decisioni che prendiamo. Il Sistema 2, quello lento, è in grado invece di dare forma all’implicito, a ciò che nell’immediatezza non appare ma che concorre in modo decisivo nel dare forma ad un evento. Aspetto che, per esempio, ci collega all’influenza dell’epigenetica, nel senso che i fattori in grado di influenzare la genetica sono apparentemente poco visibili ma decisivi nel dirottare il comportamento umano verso determinate direzioni. Abbiamo, a proposito, sottolineato che i geni influenzano il nostro funzionamento in base alla predominanza di quelli che vengono maggiormente utilizzati. Questo comporta il condizionamento diretto dell’esperienza traumatica sull’espressione genica poiché, tanto in un individuo, quanto nei suoi discendenti, vengono conservati attivi i medesimi geni che sono stati direttamente implicati in una determinata condizione di vita. Tutte queste considerazioni portano dritte al concetto di trauma intergenerazionale. Ovvero la definizione clinica del meccanismo attraverso il quale i vissuti difficili, non elaborati, si trasmettono alle generazioni successive. E, alla luce di tali esplorazioni, risulta importante riconoscere in quale modo l’esperienza dall’esterno diviene interna; ciò è possibile attraverso il significato di confine in rapporto al modo in cui si fa esperienza del mondo, un aspetto che viene gestito dalla percezione e funziona come filtro, traducendo gli stimoli esterni all’interno, al fine di interiorizzare l’esperienza. Il “confine di contatto” è un concetto caro alla psicoterapia della Gestalt e definisce quella condizione percettiva, quello spazio, dove si dà un significato a ciò che “riconosco perché mi è consono”, come pure a ciò che non è riconosciuto in rapporto all’esperienza. Le persone assorbono quello che è per loro abituale e allontanano quello che gli appartiene meno, o che non sono abituate a valutare come utile per loro stesse. Attraverso il riconoscimento di questa diversità la psiche si muove per assorbire il nuovo. Il confine, così rappresentato, ci appare dunque un non luogo d’incontro, non solo qualcosa che separa, ma piuttosto la condizione per mettere in relazione due parti tra loro. La metafora della bisaccia, per tradurre il concetto da astratto a visibile, contiene tutti gli elementi per descrivere questo confine: un contenitore dove viene posta la testa del mostro, simbolo del nuovo e dello sconosciuto; la vicinanza che serve a Perseo per integrare nuovi significati, legati al potere che la testa riveste, i quali risulteranno utili per il prosieguo del suo viaggio. Quando dobbiamo interagire con il cambiamento si mette in moto un meccanismo comune a tutti i mortali: risulta necessaria la sperimentazione di un vuoto fertile. La spinta verso la rinuncia di un completo appoggiarsi al consueto, come nella metafora dell’acrobata che, attraverso il lavoro sul corpo, ha registrato variabili che gli consentono il salto nel vuoto, un immagine altamente efficace di ciò che precede il nuovo. L’assimilazione del nuovo è la vera scommessa che l’individuo si trova ogni volta a dover giocare con se stesso. Le peculiarità familiari ed i conseguenti modelli di riferimento, uniti ai traumi intergenerazionali, rendono questa acquisizione non automatica, al tempo stesso, danno l’opportunità ad ognuno di noi di realizzare cambiamenti e trasformazioni che evolvono la mente umana in modo significativo. Il mito è presente da secoli come elemento di collegamento dei vari dinamismi della psiche, spiegandoci attraverso metafore avvincenti quali sono i passaggi che bisogna effettuare per crescere. Il linguaggio mitico, collegato ai miti di creazione, racconti che hanno plasmato il significato del mondo descrivendo la nascita dell’universo e dei suoi abitanti, di cui si è nutrita la nostra coscienza, è lo strumento, che attraverso la parola e le immagini, tenta di collegare psiche e materia, come anche interiorità ed azione. Il compito svolto dal mito risulta quindi centrale, anche oggi, riguardo alle modalità imperanti del nostro tempo, dove gli aspetti polari, che costituiscono il buon funzionamento della nostra psiche, sono stati separati con lo scopo, erroneo, di semplificare l’approccio alla vita. Attraverso i concetti mitici entriamo in un mondo governato da spinte trasformatrici che non arretrano davanti al nuovo, ma ripercorrono strade sempre simili ma profondamente diverse. I greci avevano compreso il valore della trasformazione ed hanno lasciato testimonianze indelebili che, proprio nell’era del tutto nuovo per eccellenza, presentano caratteristiche straordinarie da utilizzare per non smarrirsi e, ad una società che guarda al costruire come un elemento di certezza basilare, suggeriscono di non dimenticate che il costruire è successivo al creare. La costruzione fine a se stessa lascia insoddisfatta una grossa parte dell’individuo che ha bisogno, invece, di immergersi nella storia dell’umano per trovare motivazioni profonde al proprio vivere. I miti rappresentano il processo di creazione grazie al quale la nostra mente può realizzare tappe fondamentali nel suo esistere, tracciando strade, le quali sono radicate in un ambito che pian piano si rende accessibile, fino a divenire la mappa di orientamento da tenere con se. Il viaggio mitico è un processo che sempre si ripete, ma che, magicamente, ogni volta si rinnova, mentre, la fissità propria dei processi nevrotici nasce dall’aver inibito la parte creatrice dell’anima. Il sintomo è un po’ come Ermes, il messaggero degli dei, ci dice di cosa abbiamo bisogno per tornare a creare. L’eredità emotiva è l’aspetto che qualifica il nostro desiderio di vita, ma la disconnessione è il meccanismo che più di tutti ci allontana da tale opportunità. I modi di disconnettersi riguardano il mondo interno come quello esterno, evidenziano il rapporto con noi stessi e toccano le nostre modalità emotive, i valori che ci contraddistinguono ed influenzano la società. Dal processo che abbiamo sin qui descritto, emerge la necessità di attivarsi per apprendere un cammino interno che possa organizzare le capacità orientative della coscienza verso l’esterno e che rappresenti un allenamento in grado di guidarci. In questo percorso, l’attrito risulta essere l’elemento fondamentale, poiché tutto ciò che attraversa il nostro modo di fare esperienza ha una doppia funzione: da un lato quello di gestire la tensione che si sviluppa, originata da esperienze dolorose, come pure dalle difficoltà che s’incontrano nel plasmare il nostro modo di essere, garantendo un equilibrio interno; dall’altro lato spostare il limite, che tale necessità crea, per rispondere alla spinta evolutiva. Un insieme di tensione-risoluzione che governa il modo in cui assimiliamo l’esperienza. Il mito celebra il valore del patto e del vincolo con se stessi, è testimonianza di innumerevoli viaggi interiori che trovano un approdo sicuro. L’obiettivo del combattimento per Perseo, attraverso Medusa, è lo sviluppo e la capacità di comprendere la propria anima e riunire in essa la matrice spirituale con quella istintiva. Nel percorso sin qui proposto, i vari temi che hanno caratterizzato la struttura di questi approfondimenti, rappresentano l’espressione di una ricerca che porta a ricomporre le due matrici. La coscienza sta tra il dentro e il fuori. Attraverso un processo psicologico l’inconscio mastica a vari livelli, così da contribuire a costruire il Sé, cioè l’identità generale dell’individuo, ed espandere la Coscienza. Questa ha necessità di venire attrezzata, stimolata e istruita, al fine di poter rispondere in modo efficace alle spinte evolutive che la caratterizzano. L’eroe è dunque tale sempre in un senso interno, come rappresentante delle forze e dei contenuti che mancano alla coscienza umana democratizzata e che sono comparsi, per la prima volta, nella sua esperienza mitica dando forma ad una nuova coscienza in lui. Il corpo dell’eroe è il terreno nel quale si sperimentano nuovi tentativi collettivi dell’umanità. Un luogo metaforico e fantastico in cui si costellano i contenuti che successivamente si estenderanno a tutta la coscienza umana. Siamo organismi evoluti ed è per questo che possiamo passare dal gestire il comportamento sociale per migliorare quello umano, come al suo contrario. Per molti secoli abbiamo pensato che la complessità di funzionamento fosse legata ad una maturazione. Oggi siamo portati verso un’altra valutazione, dovuta a studi più avanzati in materia di biologia e da indagini realizzate con strumenti sofisticati, che ci porta a concludere che la capacità di cooperazione sorregge la stabilità del sistema naturale quindi anche la stabilità di quello umano. La cooperazione regna dappertutto nel mondo biologico e ciò che possiamo considerare come una visione moderna, che riguarda nello specifico, è la capacità di una scelta maggiormente sofisticata. È proprio su questo punto dove la psicoterapia si interroga, esplorando varie strade, con l’obiettivo di sviluppare cooperazione dentro e fuori. Tutto è meravigliosamente complesso e perfetto, anche negli attriti; allenare la coscienza si rivela un’opportunità straordinaria, ciò che forma la mente a dare un senso altamente significativo alla propria storia. “Cerchi che si tendono sempre più ampi sopra le cose è la mia vita. Forse non chiuderò l’ultimo, ma voglio tentare. Giro attorno a Dio, all’antica torre, giro da millenni; e ancora non so se sono un falco, una tempesta o un grande canto.” (R. M. Rilke: “Il libro d’Ore”, Edizioni Einaudi) Letture correlate:
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