La maggiore difficoltà dell’essere umano sta nel potersi perdere nel nulla, nello stato di angoscia. Questo vissuto può essere ben plasmato dal mito, nel senso ampio del termine, così da evitare un disgregarsi delle forme spirituali, che sono un vero e proprio dramma esistenziale, che deve essere mediato tramite un dialogo tra pratico e teorico, azione e coscienza. Per superare questo problema è necessario far rientrare il mondo magico nella struttura della mente umana, cioè dare valore al fatto che la struttura dell’esistenza porta alla trascendenza come elemento costitutivo dell’essere. Un destino, quello dell’uomo, inteso come opera aperta sulla quale poter intervenire al fine di ricreare più e più volte il senso della propria esistenza. Un nucleo importante è quello del “potere magico”, che ha il compito, nell’esperienza umana, di far emergere la crisi della propria presenza nel mondo per poi poterla fronteggiare con maggiore fiducia attraverso pratiche come, per esempio, la magia o la religione. Tali esperienze sono in grado di proteggere dal rischio di perdere le proprie categorie di senso in modo da schiudere un mondo nuovo di valori compromessi dalla crisi che il soggetto sta affrontando. Il filosofo Heidegger con il termine cura intendeva indicare una strada in grado di abitare il mondo tra possibilità differenti senza possedere preventivamente gli esiti di tale scelta. Oggi invece si assegna spesso al significato della parola cura una valenza problematica, il sentirsi vincolati da qualcosa che ci appartiene ma che al tempo stesso non è deciso da noi. Questa tendenza ha contribuito ad allontanare gli individui da un riconoscimento dei propri bisogni di rigenerazione evolutiva. Un modo di fare cura è sicuramente attuare delle attività conservative per la cura del corpo in grado di rafforzare la continuità di vita. Quando queste sono poste in essere, attraverso un ascolto di ciò che il corpo richiama alla mente, si pone un problema più ampio, quello cioè di saper tradurre i segnali che il corpo invia all’interno di un quadro di riferimento maggiormente complesso e articolato. Il corpo sperimentato si fa portavoce del desiderio, “di divenire pienamente quello che si può essere, dando forma alla propria originale presenza nel mondo” (L. Mortari, “La Pratica dell’aver cura”). Affermazione che ci porta in contatto con il concetto di tempo, dove non è importante solo l’aver cura per poter sopravvivere, ma piuttosto riuscire a dar luogo a un progetto di vita che possa restituire una forma alla nostra presenza nel mondo, percorrere cioè un tempo vivo. Un tempo in diretto contatto con la capacità di trascendere, cioè di trovare delle qualità necessarie oltre il proprio ambito, la capacità di andare oltre. A questo punto della nostra riflessione è necessario associare l’aspetto educativo ad un processo formativo, dove l’acculturazione non s’intende come passaggio di dati, ma in funzione di un processo più ampio che necessita di un ambiente in grado di facilitare lo sviluppo del soggetto. La cura sdoganata dalla rappresentazione colpevolizzante dell’errore, come esperienza in grado di approcciare il proprio spazio vitale al fine di dare un senso alla propria vita, dove il tempo, per definire il proprio spazio vitale, è connesso ad un tempo qualitativo, non a quello che scandisce l’ora o il non ora delle azioni. Ecco quindi la “magia” letta come una serie di rituali ai quali si fa ricorso per ricostituire un equilibrio. “La magia fornisce all’uomo un preciso metodo mentale e pragmatico nelle situazioni di precarietà e di pericolo e contribuisce all’organizzazione del lavoro sociale; è quindi simile alla scienza.” (B. Malinowski, “Magia, scienza e religione”) E ancora, in epoche più recenti: “[...] la magia si profila come sistema articolato di classificazione, tale da costituire una scienza del concreto che opera, anziché con concetti, come la scienza, con segni e immagini significanti, attraverso analogie e accostamenti.” (E. Fachinelli, “La Freccia ferma”) Magia quindi da considerare non come una forma timida e balbettante della scienza, ma come una sorta di espressione metaforica della scienza, differente da questa perché si applica a situazioni diverse. Il senso generale dell’accostamento tra magia e scienza è ben delineato dalle parole di Elvio Fachinelli, psicoanalista oggi in riscoperta che ha il merito nelle sue indagini sulla psiche di sapere intrecciare l’analisi delle potenze psichiche, che reggono l’individuo, con quelle che operano a livello cosmico. “La magia intende ripristinare un ordine turbato e il suo intervento sul tempo è volto a una ricostruzione del ciclo cosmico e umano nei punti in cui è stato interrotto. La scienza è invece parte integrante di un progetto diverso, animato, come si è detto, da una logica di esplorazione e conquista, antitetica a quella di osservanza degli arcaici. Il suo intervento sul tempo, appoggiato da mezzi tecnici incomparabilmente superiori, è quindi nel senso della dissoluzione del tempo ciclico arcaico e della produzione di forme temporali (e spaziali) del tutto inedite.” (E. Fachinelli, “La Freccia ferma”) Nel ragionamento sin qui sviluppato abbiamo stabilito un contatto tra pensiero magico e interiorità, attraverso il concetto di tempo, per poter ricordare come la magia si occupa di ripristinare nell’uomo quel tempo arcaico presente nella psiche, anche se si sono avute delle evoluzioni. Ricordiamo che tanto Jung, quanto Marie Luise Von Franz, colei che curò la stesura di molte sue opere, erano pervenuti alla considerazione che gli eventi sincronici, che a volte accadono nella vita umana, tipo pensare a qualcuno che poi ci contatta o cose similari, non rappresentino fenomeni casuali ma collegati all’interno di un ordine privo di nessi causali. Quando arriva l’evento sincronico, il piano causale e quello acausale s’incontrano, come l’immagine del doppio mandala (oggetto di forma rotonda che sta ad indicare il simbolo della vita, un centro che si apre verso l’infinito). “[…] quando si verifica un evento sincronico, la psiche si comporta come se fosse materia e la materia si comporta come se appartenesse a una psiche individuale. Vi è perciò una specie di coniuctio di materia e psiche [...], un evento sincronico è un atto di creazione e un’unione di principi solitamente separati.” (ML. Von Franz, “Divinizzazione e Sincronicità”) Questa lettura si rifà ad un tipo di indagine in grado di dare una traduzione dei fenomeni apparentemente esterni alla psiche ma fondamentali per poter divenire una totalità cosciente, come un microcosmo, un centro dotato di forza e significato all’interno di un macrocosmo universale. Lo scopo di Jung era quello di mettere in relazione la personalità del singolo con il concetto evolutivo dell’Universo. Il passaggio tra uomo e tutto, o per meglio dire la loro fusione, non è possibile se si elimina il materiale simbolico presente nel funzionamento psichico. Il simbolo ha un ruolo fondamentale per la coscienza poiché costituisce un ponte fra la coscienza che vuole emanciparsi e l’esterno in cui si sono riversati molti contenuti di natura trascendente dell’esperienza umana. L’aspettò simbolico ha contribuito nell’uomo primitivo allo sviluppo della coscienza, oggi è fondamentale per smuovere la psiche verso il senso del proprio essere persona rendendo visibile ciò che non è riconosciuto attraverso il lato razionale della della cognizione. Quando il mondo si muove verso strutture evolute è abbastanza naturale che si modifichino gli elementi portanti in un unica direzione, sono proprio questi ultimi ad essere sempre maggiormente esposti all’innovazione e al controllo del sapere umano. In questo graduale cambiamento la coscienza è giunta a differenziare sempre più l’oggetto dal soggetto e ciò che nella visione primordiale veniva considerato appartenente all’anima del mondo, per esempio l’utilizzo della natura come elemento di conoscenza di se. La coscienza, e la nostra visione delle cose, si è così maggiormente radicalizzata nel concetto di consapevolezza al punto da venir considerato come unica matrice di conoscenza. In questo modo lo sviluppo dell’autonomia umana ha finito per coincidere con un più sottile ma preciso elemento di alienazione. “Quella che potrebbe essere considerata la strategia epistemologica fondamentale del pensiero umano in evoluzione - la sistematica separazione del soggetto dall’oggetto - portata all’estremo dalla mente moderna, si è dimostrata potentemente efficace e liberatoria. Tuttavia, molte delle conseguenze a lungo termine di tale strategia si sono dimostrate anche assai problematiche.” (R. Tarnas, “Cosmo e Psiche”) La non comprensione dei riti di cambiamento espone l’essere umano a un vuoto rigirarsi su se stesso, su domande poste con il medesimo linguaggio che hanno finito per accentuare i livelli di nevrosi creando un serio ostacolo al cambiamento. I nostri antenati lo sapevano e per questo hanno iniziato a scrivere, e c’è stato un tempo in cui per i libri si era disposti a morire perché rappresentavano il senso del mondo in parte sconosciuto, ma anche un modo per arrivare al futuro. L’incipit di un romanzo straordinario, “Papyrus” di Irene Vallejo, ha catturato come in un fotogramma il desiderio di conoscenza per sapere di cosa era fatto il mondo che animava quel tempo: “Misteriosi gruppi di uomini a cavallo percorrono le vie della Grecia. Gli agricoltori li osservano diffidenti dai campi o dalla soglia di casa. Sanno per esperienza che solo la gente pericolosa viaggia: soldati, mercenari o trafficanti di schiavi.[...] I cavalieri galoppano senza fare caso agli abitanti dei villaggi. Per mesi hanno scalato montagne, costeggiato gole, attraversato valli, guadato fiumi e navigato da un’isola all’altra. Hanno muscoli e capacità di resistenza irrobustiti dalla strana missione affidata loro.[...] Ancora non esistono mappe di regioni estese, e così si sono persi e hanno camminato per giorni interi, sotto il sole inclemente o la tempesta.[...] Non solo chi popola le campagne e sta seduto a curiosare sull’uscio di casa, ma anche mercenari e banditi spalancherebbero occhi e bocca dall’incredulità, se sapessero di cosa vanno in cerca quei forestieri a cavallo. Libri. Cercano libri. Era il segreto di corte custodito con maggiore cura. Il Signore delle Due Terre, uno degli uomini più potenti dell’epoca, avrebbe dato la vita (quella degli altri ovvio; con i sovrani succede sempre così) pur di entrare in possesso di tutti i libri del mondo, per la sua grande Biblioteca di Alessandria. Rincorreva il sogno di una biblioteca assoluta e perfetta, un luogo in cui riunire tutte le opere di tutti gli autori dall’inizio dei tempi.” (Irene Vallejof, “Papyrus”) Queste parole trasmettono il senso di passione che realmente ha animato decine e decine di uomini che rischiavano la vita per il sogno di Alessandro Magno. Al tempo stesso se quel desiderio di Alessandro non fosse stato perseguito la più grande e ricca biblioteca del mondo antico non sarebbe mai esistita. Mantenere viva questa millenaria avventura ci ha permesso di conoscere molte cose e di comprendere aspetti della nostra mente sulla base di quella degli antichi. Non erano invincibili eroi costoro, ma persone che pur nel conflitto erano animati da desideri molto forti che sono pervenuti fino a noi. Oggi è come se dovessimo recuperare la forza di quei desideri per infondere valore alle nostre esistenze. “Voi, che nell’amorevolezza e nelle profondità del futuro imparaste di nuovo a leggere e a scrivere rammentate sempre niente è più bello che essere fragile in un mondo infinito.” (J. F. Rivero, “I Falò Blu”) Ad esempio il “Viaggio di Perseo” nel racconto mitico, contiene degli elementi archetipici, quei modelli originari, su cui la psiche ha plasmato il proprio rapporto con il mondo. Le fasi che l’eroe deve attraversare per raggiungere ciò che cerca: la separazione dalla comunità, il distacco dai propri riferimenti abituali, l’esperienza fisica e spirituale di un grande pericolo, il radicale mutamento del significato delle cose dal passaggio tra mondo esterno e mondo interno, sono tutti elementi che ritroviamo con precisione nel racconto mitico di Perseo e Medusa che stanno a significare le fasi di un confronto per segnare i propri passaggi evolutivi. Tali aspetti sono stati senza dubbio esplorati tanto dalla filosofia quanto dalla psicoanalisi, quello che è mancato sta nel non aver creato un anello di congiunzione tra sé umano e mondo. Jung ha cercato di superare tale dilemma proprio con il concetto di sincronicità, poiché riteneva che la sincronicità fosse un modo per il soggetto di passare da una unilateralità problematica ad una più ampia unità. Si può senz’altro ritenere anche oggi che, effettivamente, l’abitudine a lasciarsi coinvolgere da elementi diversi rispetto alla sola consapevolezza, cioè la capacità di fare della propria percezione un elemento di riflessione sul mondo, aumenti gli eventi sincronici che fungono da guida verso i vari momenti dell’esistenza. “Così avviene che, quando conduciamo un’indagine oltre una certa profondità, usciamo dal campo delle categorie psicologiche per entrare nella sfera dei supremi misteri della vita. Il pavimento dell’anima che cerchiamo di penetrare, si spalanca per rivelarci il firmamento stellato”. (B. Schultz) La visione contenuta in queste parole contiene un elemento di grande fascino per lo sviluppo della conoscenza, cioè l’idea che nel cosmo esista una ricca molteplicità di schemi archetipici, così come esiste nella storia e nella cultura, e che l’apprendimento/capacità di riconoscimento di tali aspetti allena “l’occhio archetipico”, come lo chiamava Hillman. Il sistema di astri che riempie il cielo, a cui sono stati dati nomi precisi, si è formato parallelamente alle vicende dei mortali, seguendo la loro storia ed è quindi una traccia precisa di un collegamento tra noi e tutto ciò che ci ha preceduti. Ad esempio il mito di Er ha offerto una preziosa immagine alla passione per l’astrologia, dove la medesima necessità che governa i moti delle stelle governa anche quella delle anime, ciò che accade all’anima è intessuto sulla stessa tela. Quello che può risultare importante da decifrare sta nel fatto che l’astrologia è una metafora per dire che la vita è governata da potenze archetipiche, alle quali è importante rifarsi per una comprensione personale di più ampia portata. Ovviamente le indagini rigorose degli astronomi, o di altre menti scientifiche, escluderebbe tale visione. Riteniamo, senza sminuire il rigore del pensiero scientifico, che queste letture non tengano conto di un elemento preciso: negano la capacità comune di tutti quegli esseri umani che, nei secoli, è stata impiegata per dare un senso all’universo, cioè di essersi rivolti al pensiero associativo al fine di transitare nel mistero e renderlo utile alle loro vite. Il cielo dei greci con il quadrato di Pegaso, di Perseo e Andromeda, ci dice che sopra di noi esiste un manto che racconta l’inizio e la fine di una storia, il distacco, il salvataggio, il bisogno di sopravvivere per poter raccontare il mondo ancora e ancora. “Abbiamo creato le costellazioni per parlare di dilemmi morali e di regole sociali, di vicende pratiche e spirituali, dei nostri bisogni più immediati e dei nostri sogni più sfrenati.” (A. Aveni, “Stelle”) Oggi questo stesso cielo ci può essere di grande aiuto come professionisti della salute se prendiamo in considerazione che il nostro compito deve essere quello di dare una lettura psicologica del nuovo mondo, delle sue necessità e delle realtà parallele ad esso connesse. Il fatto che sempre più l’Ego si sia fatto forte mentre è l’Identità ad essere debole, spalanca un vuoto notevole nell’anima dei singoli individui. Rielaborare riflessioni che spesso non hanno la forza di penetrare lo sviluppo sociale, non perché non siano vere, ma perché costringono a togliere la nostra visione dal centro dell’universo, oggi più che mai dopo la pandemia da Covid, risultano importanti per la nostra effettiva sopravvivenza. La disinvoltura con la quale si praticano i microabusi emotivi rischia di divenire una consuetudine e si sa che, quando lo sguardo pratica un abitudine, lo stesso non si sofferma su questa per coglierla in modo più profondo, ben si la essenzializza. L’abitudine odierna di alcune pratiche quotidiane come: i whatsapp che perpetuano un linguaggio essenzialmente sintetico, il diventare fantasmi cioè sparire dallo scambio, oppure riapparire all’improvviso come se non fosse accaduto nulla, o la comunicazione sottilmente manipolatoria di molti scambi sul web, sono tutte esperienze disturbanti che rischiano di alimentare labirinti relazionali non più riconoscibili come tali perché normalizzati.
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