Prendiamo spunto per recensire questo testo di diversi anni fa, da una riflessione dell'architetto Vittorio Gregotti, recentemente scomparso: Oramai ci chiedono solo di meravigliare. Ai giovani invece vorrei dire di non allontanarsi dalle nostre radici. Anche se il testo che ci apprestiamo ad illustrare appartiene ad un’altro campo esperenziale spesso si arriva a visioni piuttosto simili a quelle suggerite dall’illustre architetto, pur percorrendo strade differenti.
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Per una visione della cura attenta alla persona più che al sintomo Intervenire alle radici di un problema di salute, dove le condizioni lo permettano, e non sui soli sintomi, è ciò che si propone la Medicina Funzionale, la quale si concretizza in un approccio che considera l’uomo nella sua complessità e unicità, come avveniva nelle scuole mediche classiche: cinese, araba e greca. L’approccio risulta focalizzato sull’essere umano, sulla sua persona, che và preservata nel suo stato di salute cercando di mantenere un equilibrio dinamico. In questa ottica le malattie vengono considerate una perturbazione di questo stato e, pertanto, qualsiasi intervento terapeutico viene finalizzato a riacquisire quell’equilibrio.
In occasione della Giornata della Memoria, siamo lieti di ragionare su un romanzo di Helga Schneider, "L’inutile zavorra dei sentimenti. Un caso d’amore ai tempi del nazismo". Helga Schneider, da anni si occupa di divulgare vari aspetti del fenomeno dell’Olocausto da una visuale "privilegiata", quella di una bambina tedesca che a tre anni viene abbandonata dalla madre per seguire l’ideologia nazista per lavorare come guardiana nei campi di concentramento, prima, e di sterminio poi, del Führer.
“L’inutile zavorra dei sentimenti” pone in primo piano la storia di Karl avviato alla carriera militare, l’adolescente che scriveva poesie e fantasticava sulla vita viene sacrificato sull’altare del rigore e della rigida disciplina militare. Johann Hari è un giornalista che scrive per le maggiori riviste americane ed europee come “New York Times” e “Le Monde” e il suo libro, "La Fine del Buio", è un avvincente studio sui meccanismi depressivi che occupano tanta parte del vivere di milioni di individui. Hari analizza i sintomi della Depressione partendo dal proprio disagio individuale, a diciotto anni gli è stata diagnosticata una forma depressiva e per molto tempo ha considerato l’assunzione del farmaco come l’unica risposta capace di contrastare il proprio disagio.
La necessità di pensare l’anima come un elemento insostituibile che costituisce l’umano, insieme al corpo e alla mente, è il fulcro del bellissimo libro scritto dal grande letterato francese, cinese di nascita, François Cheng “L’anima. Sette lettere a un'amica”. Nella frenesia del mondo contemporaneo, come per altro dimostra il successo del libro, abbiamo ancora bisogno di metterci all'ascolto dell'anima e connetterci con essa.
La modernità ha rimosso il problema dell'anima, soprattutto ad occidente, ma oggi molte persone si accorgono che non è così facile negarne la realtà. Tutti noi abbiamo una nostalgia dell'anima e nella nostra società, dove si ha l'impressione di poter avere tutto, in realtà manca sempre qualcosa. In un mondo dove siamo spinti continuamente a divertirci, ma dove questo tipo di frenetico intrattenimento è l’esatto opposto del vivere la gioia, l’anima è stata accantonata. L’anima? Non si misura, non si pesa, non si compra, non si vende. Dunque non esiste. La tecnica ci ha salvati e continuerà a farlo, non abbiamo alcun bisogno di realtà nebulose intorno a noi. Ma è davvero cosi? Sicuramente no, e il grande intellettuale francese ci aiuta a capire. Le grandi scoperte della scienza di questi decenni, i benefici che hanno portato nelle nostre vite, hanno contribuito a farci credere che tutto ormai sia misurabile e risolvibile e che, ciò che esula da questi canoni, non sia altro che un relitto di vecchie credenze. Alfred Rosenberg e "Il diario perduto del Nazismo" La recente pubblicazione degli scritti di Alfred Rosenberg, con l'avvicinarsi annuale della giornata della memoria del 27 gennaio, riportano l’attenzione sull’immane tragedia dell'Olocausto, come pure sugli interrogativi che tutto questo suscita ancora oggi. Di quali uomini parliamo quando ci riferiamo ai membri del comitato direttivo del Terzo Reich? Quale era la loro visione dell'uomo? In che modo avevano nutrito le proprie personali convinzioni? Il ritrovamento del diario di Alfred Rosenberg, l'ideologo di Adolf Hitler, apre uno squarcio su un modo di guardare se stessi e gli altri. Ci racconta di come la personale e limitata visione di un uomo come Alfred Rosenberg, abbia stimolato al meglio i vissuti paranoici di Hitler donando loro una ulteriore forma di legittimazione.
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